L’arte della separazione


“L’arte della separazione è una delle più difficili che esista, perché occorre saper trovare il momento propizio. Ogni separazione prematura è uno strappo e provoca delle lacerazioni.
È nella natura che gli Iniziati si sono istruiti nell’arte della separazione. Non si può separare la noce dal suo mallo, ma la natura sa come fare: lascia maturare il frutto, il mallo si apre da solo e cade. Questa separazione è il simbolo della maturità. Per parecchi mesi la madre porta il figlio nel proprio grembo, ed è pericoloso volerlo strappare prematuramente. Ma venuto il
momento, il frutto cade, e si può recidere il legame che univa il bambino alla madre. E che ne è della nostra anima? Essa è prigioniera del nostro corpo, e per liberarsi, deve separarsi dalla spessa materia che la circonda; questo, però, non prima di avere raggiunto la maturità. Ecco un tema di riflessione, e l’autunno è il periodo migliore per meditare sulla vera liberazione. ” Omraam Mikhaël Aïvanhov

“Non si muore solamente”


di Tiziana Mignosa

Le persone non muoiono soltanto

quando smettono di contare giorni

a volte semplicemente vanno via

e altre il corpo lasciano a pascolare

mentre il canto della follia

la loro mente intona.

.

Quando della morte

uno dei suoi aspetti incontri

che sia quello ufficiale

o uno dei due non riconosciuto tale

è sempre uno strappo al cuore

che non può non fare male.

.

Tutti abbiamo sempre dato credito

al fatto che morire

come qui s’intende

sia il male più pesante

che mai possa capitare

a noi ancora uomini di così poca fede.

.

Eppure anche gli altri due

non posseggono buchi nelle tasche del tormento

quando nel secondo sai che c’è

ma è passo altrove e negazione di presenza

nel terzo invece gli occhi si colmano d’aspetto

ma il singhiozzo si fa pozza nel dolore dell’assenza.

.

“Il gioco dei sensi”


di Tiziana Mignosa

Incurante di chi le sta intorno

inanella i riccioli con le dita

assorta lei è riflessa

sullo scorrere del mondo che le passa accanto.

E’ gioco all’ombra della voglia

dita contro dita

a occhi chiusi il doppio afferra

polpastrelli a sfioro sulle labbra.

Avida col desidero annusa

l’odore del suo corpo sulle braccia
complice dell’estate

si fa presto amante del piacere.

Obliquo arriva il sole per l’incontro

carezza sulla pelle al di là del vetro
ma l’occhio scivola dentro il raggio

zuccherina catena è per lo sguardo.

Pulviscolo e controluce

iniziano la danza dell’incanto

languido stupore

è diletto sopraffino.

Gambe accavallate

inarca il piede e poi sorride
è entrata nel suo mondo

nessuno più la può trovare.

“Carezza”


di Angela Ragusa

Forza  virile emana la mano

che sgorga in carezza  su corpo fremente

suadente attorciglia ,spire  di sensi ,

come se chicco di grano

smuovesse da solo macina in pietra.

E sboccia fiore al valzer d’estate

estasiato si offre alla gioia di un tocco

d’aratro rombante, trucco inventato

a stupire l’istinto del perdersi , persi,

sui solchi  graffianti d’amore e passione.

“E la luna guarda”


di Tiziana Mignosa

E’ così sciocco
voler afferrare la luna
dentro al lago
ma a volte l’acqua
è linfa che rapisce
e pare cielo
e il languore così vivo
che afferra il desiderio
e lo fa mano.
Ma lo specchio non è corpo
e i pensieri offusca
onda fresca sulla gola arsa
realtà
che le dita
e gli occhi bagna
e la luna
sta lì
e dal cielo guarda.

Pensiero rosso


di Tiziana Mignosa

E’ sorriso lento
adesso che la tua emozione
nel vento ho colto
inattesa come il profumo che m’inebria
mi ha sfiorata al di là delle parole.
Danza tremolante
che sul dorso della consuetudine s’esprime
brivido che raddoppia la mia arsura
e malamente cela
il desiderio tuo per me.
Attingo al calice della seduzione
e ti vengo ancora a stuzzicare
tra le pieghe dei capelli e il collo
adesso c’è più gusto
ora che hai ben altro a cui pensare.
Scivola … per te
la spallina del vestito che ho indosso
pelle e pensieri ti si fanno cerchio intorno
mentre l’estate
è fascia seducente intorno al corpo.
Lesta
mi annodo al tuo volere
e ascolto
t’intuisco assorto
rapito dal pensiero rosso.
Sorridendo di malizia
alla terra lancio un fiore
quando accoglie
quello che distratto
hai lasciato scivolare dalla mano.

“Lungo il soffio dell’estate”


di Tiziana Mignosa

Sei l’estate che mi stuzzica

il pensiero che accompagna le ore deste

poesia

che di rosso si lascia scivolare

dolce miele alle pareti.

Sei il respiro

delicato sulle palpebre socchiuse

dita affusolate

brivido

sopra l’arco della schiena.

Voglio trovarti

lungo il soffio dell’estate

quando la cicala alla calura canta

e la goccia scende

gusto e voglia sulle labbra.

Sei l’assaggio

che dal ghiaccio del cubetto

sul calore della pelle goccia

contrasto e desiderio

centuplicano il piacere.

Come vento che m’afferra nella notte

sui leggeri polpastrelli

amo raccattare

il fremito tuo nello sfiorarmi

e la luna guarda.

Sei il sorriso

che sul viso mi si specchia

quando mi spalmi gli occhi lungo il corpo

o quando

silenzioso attraversi la mia mente.

“E in te”


di Italo Zingoni

In te che a piedi nudi tracci un segno
sulle spiagge che si bagnano di mare
in questa notte che si accende piano
di desideri accennati e di sorrisi lievi

In te che sai di essere e in te che sei
luna che all’alba si smarrisce e svuota
questo mio cielo di solitudine struggente
per aprirti come un fiore al primo sole

In te che svuoti il tutto con un niente
per colmarne il senso con un gesto
e che d’amore attendi ogni respiro
a farsi luce nella luce dei tuoi occhi

In te che sei mia terra e mio rifugio
resto appeso come lama a un filo
e del tuo corpo ogni brivido assaporo
che di te mi nutre e mi condanna …

e in te malinconia di vivere perduta
adesso io sono e tu lieve mi possiedi …

Come eravamo diversi quando ancora c’era Joe


di Roberto Puglisi

Quest’uomo che fu sindaco nostro e della speranza – malinconico o perplesso nello scatto – può essere benedetto o inchiodato con diversi aggettivi, tutti forse legittimi. Ma a distanza di anni, vorrei dirgli grazie per un dono, uno soltanto. Per avere preso per mano e condotto a Palermo il corpo e l’anima di Joseph O’ Dell – condannato a morte e assassinato in Virginia – per averlo trapiantato qui, nel cuore di tutti. E il dono resta, anche se non ne siamo stati degni.
Joseph detto Joe fu ucciso con un’iniezione letale il 23 luglio del 1997, tra un po’ sarà compleanno.  Pochi giorni dopo, per volere di sua moglie, Lori Urs, e ostinazione di Leoluca Orlando, conobbe la pietosa sepoltura di Palermo, una delle città che più l’aveva amato e che più si era battuta contro un’esecuzione non suffragata dalla certezza. Ma c’era molto altro dietro la partecipazione che ci teneva svegli le notti. Gli occhi di quell’uomo avevano attraversato l’oceano e si erano impressi in una zona molle della nostra sensibilità. Vittorio Zucconi di “Repubblica” scriveva articoli che ci portavano Joe, un estraneo,  in casa. Si compì il miracolo della vicinanza con uno talmente lontano.  Lui, Joseph, diventò uno di noi. Colpevole o innocente, non saremmo rimasti indifferenti per la sua sorte. Non avremmo permesso la sua esecuzione senza battere ciglio, senza un grido. E, in quella età mezzana dell’estate, Palermo si vide finalmente cambiata, all’apice del suo rinascimento. Palermo, come una persona unica, sapeva amare e consolare, sapeva allargare le braccia e stringere per confortare, poteva essere un punto di riferimento: da capitale della mafia a roccaforte della dolcezza. Palermo amava e soffriva gratis per un milite ignoto della condanna capitale.

Sono tornato un paio di anni fa sulla tomba di Joe, che mi tenne sveglio per più di una notte, a Santa Maria di Gesù. Una lapide spoglia. Anche le ultime mani che portavano fiori si sono dileguate. Ho tentato di accarezzare la pietra tombale, come si accarezza un viso, per cercare un contatto, per ritrovare il me stesso di allora. Niente, nemmeno una stilla di pietà, neanche un battito. Forse siamo cambiati tutti e con noi è mutata Palermo. Ha smarrito la compassione, per diventare sporca, feroce e raminga. Magari è solo tempo che passa. Ieri la nostra bandiera era Joe ‘O Dell, oggi il nostro simbolo è una pantera che si aggira tra i boschi. Ed è già nobile, perché poi c’è la munnizza. Colpa di chi? Forse pure dell’uomo della foto e dei sogni che non seppe inverare, delle promesse che non riuscì a mantenere. Forse pure nostra, perché scambiammo il sindaco per un Mago di Oz. Intanto, il guaio è fatto. Abbiamo dato il cuore in pasto alla smemoratezza. Ecco perché fissare gli occhi dell’uomo della foto è un gesto che riflette di sponda malinconie assortite. Mette tristezza.
Riposa in pace Palermo. Addio Joe.

da http://www.livesiiclia.it

Guardami, come io ti vedo


di Maria Grazia Vai

Il battito mio si ferma dentro i tuoi occhi.
Stupiti, stregati, immersi nell’infinito nero-blu profondo
a vestirmi i silenzi, a scavarmi la pelle,
a svelarne ogni segreto recondito.

Come ferma è la tua mano, e mi dipinge – inchiostro e luce
Fluisce, e del pensiero tuo s’addensa,
sorretto l’audace passo di tremule carezze

Si ferma nel tuo sentire, linfa di giada ti scorre nel petto
E profumi d’oriente, di sussurri di luna
e cicale

Il battito mio si ferma, prostrato, davanti ai tuoi occhi
E mentre si eleva il corpo al di là d’ogni mio respiro
si alza, silente e fiero – il volo dei miei occhi
a scrutare dentro

e oltre – i tuoi