“Non si muore solamente”


di Tiziana Mignosa

Le persone non muoiono soltanto

quando smettono di contare giorni

a volte semplicemente vanno via

e altre il corpo lasciano a pascolare

mentre il canto della follia

la loro mente intona.

.

Quando della morte

uno dei suoi aspetti incontri

che sia quello ufficiale

o uno dei due non riconosciuto tale

è sempre uno strappo al cuore

che non può non fare male.

.

Tutti abbiamo sempre dato credito

al fatto che morire

come qui s’intende

sia il male più pesante

che mai possa capitare

a noi ancora uomini di così poca fede.

.

Eppure anche gli altri due

non posseggono buchi nelle tasche del tormento

quando nel secondo sai che c’è

ma è passo altrove e negazione di presenza

nel terzo invece gli occhi si colmano d’aspetto

ma il singhiozzo si fa pozza nel dolore dell’assenza.

.

La missione assegnata


“Perché tante persone si aggrappano a questa esistenza? Perché
ignorano che la loro vita non termina con ciò che si è deciso di
chiamare “morte”. Gli esseri umani sono addirittura capaci di
commettere tutti i crimini per sopravvivere, contraendo così dei
debiti karmici che un giorno dovranno pagare. Il discepolo di una
Scuola iniziatica ha invece un altro atteggiamento. A volte dice
fra sé e sé: “Che fatica vivere sulla terra, dove si è limitati,
scherniti, violentati, tormentati, calpestati!” Egli però sa
anche che è giunto qui per fare un lavoro e riparare i propri
errori del passato. Quindi accetta, pensando che quando avrà
terminato quel lavoro, potrà vivere libero nello spazio.
Ecco la verità che gli spiritualisti conoscono, e perciò, anche
se sanno che la vera vita è altrove, sono convinti di avere
qualche cosa da fare sulla terra. Finché non hanno sistemato
tutto, finché non hanno finito il lavoro che il Cielo ha
assegnato loro, il resto li lascia indifferenti. Non si chiedono
se preferiscano vivere o morire, vogliono soltanto terminare il
proprio lavoro. Ma non appena questo è terminato, con quale gioia
se ne vanno, perché sanno che alla terra non vale la pena
aggrapparsi.”

Omraam Mikhaël Aïvanhov

E io qualche giorno fa avevo creato e pubblicato questo post, incredibile, in tempi non sospetti, sembra che Aivanhov l’abbia immaginato per me…:-)

“Avrai un grande destino” mi ha detto l’amica, studiosa di astrologia, un giorno in cui, incontrandola casualmente per strada, le ho chiesto, per gioco, di leggermi la mano. “Questa linea è molto rara, ce l’hanno in pochi e tu non solo ce l’hai in tutte e due le mani ma è pure lunghissima e ininterrotta. E’ un indice chiarissimo del fatto che hai un grande destino, che lascerai un segno…pensa che anche papa Woytila ce l’ha come le tue…”.

Addirittura…ma qual è il mio destino? Cosa devo ancora fare e cosa, invece, ho già fatto per meritarmi di essere una predestinata?

Siccome sono profondamente convinta che la mia missione per cui sono stata mandata su questo pianeta stia per concludersi, che questo mio ciclo di vita sia l’ultimo dei tanti che ho già vissuto e che tra poco tornerò alla Casa, l’anno scorso, in questi stessi giorni, ho provato a scrivere un mio breve testamento spirituale e l’ho affidato, in perfetta buona fede ma erroneamente, col senno di poi, a una persona che ritenevo fosse quella giusta per conservarlo preziosamente anche perché avevo chiesto, come ultimo regalo, a questa stessa persona una favore a cui tengo molto: cantare al mio funerale “Over the rainbow” che adoro sia per il testo stupendo che per la musica struggente. Ma questa persona “arrisultàu acìto”, come si dice in siciliano che è anche la sua lingua natìa cioè, traducendo alla lettera, “sembrava un ottimo vino invece è risultata aceto” e quindi ho sbagliato clamorosamente.

Oggi, a distanza di un anno da quel giorno, ho preso la decisione di affidare a tutti voi, amiche e amici che mi seguite con affetto leggendo tutto quello che scrivo qui nel mio sito, il mio testamento spirituale: non sono Raimondo Vianello, lo so, non ho né la sua fama né la sua biografia artistica e quindi non avrò la risonanza quasi planetaria che ha avuto la sua morte e il suo testamento spirituale, ne sono perfettamente consapevole, ma sento il desiderio di dirvi alcune cose su di me e spero di trovare in voi ascolto e affetto.

Nei prossimi giorni ve lo sottoporrò (se non cambio idea nel frattempo o se…), intanto un “grazie” senza confini.

Come morirò? – How will I die?


di Daniela Domenici

E’ una domanda che molti di voi, almeno una volta nella vita, si saranno sicuramente posti.

Bene, io me lo sono chiesto spesso e “sento”, con assoluta certezza, che me ne andrò con un tumore, non per un infarto o un incidente in auto o un ictus… la cosa non mi stravolge più di tanto, solo vorrei che il medico che me lo annuncerà mi dicesse con sincerità quanti mesi o anni mi restano da vivere su questa terra in modo da potermi organizzare e vivere al meglio il tempo residuo, soprattutto per non lasciare rapporti in sospeso, spiegazioni non date, perdoni non concessi, chiarimenti non detti, insomma…lasciare tutto in ordine così da non portarmi nell’altra vita, quella vera ed eterna, nella Casa, situazioni in sospeso.

E proprio per sdrammatizzare questo argomento che per me è uno come tanti dato che siamo tutti mortali e che, presto o tardi, ce ne dobbiamo andare, non importa come, nella mia follia ho inventato una delle mie solite filastrocche sul…tumore!!!

Il cancro o tumore

è un signore

che arriva senza far rumore

con un gonfiore

e dopo poche o tante ore

ti conduce dal vero Signore!!!

Lettera dal carcere di Velletri


Chi scrive è il detenuto Galante Vito, attualmente detenuto nel carcere di Velletri.
Un carcere spesso rappresentato come fiore all’occhiello ma la realtà non è sempre come viene descritta.
Inizio con il dire che in pochi mesi ci sono stati due suicidi.
In pochi mesi si sono susseguiti tre Direttori, l’attuale ha idee dittatoriali, non rispetta le normative del DPR 230 del 30.06.00, un istituto allo sbando dove la giustizia la si cerca con la fiamma di un accendino acceso proprio come venne rappresentata nelle aule del Tribunale di Milano da un noto avvocato che fece spegnere la luce, prese un accendino, accese e girando attorno a un tavolo, il Presidente del Tribunale gli chiese: “Avvocato che cosa sta facendo?”. L’Avvocato rispose: “sto cercando la giustizia…”. Ecco sono 18 anni che sto cercando io la giustizia per le varie traversie avvenute nelle carceri italiane, dove sono ho soggiornato e dove ho lasciato la mia salute.
Avevo 20 anni quando un reato mi ha visto in concorso, un cumulo pena di anni 30. Avevo un’attività, oggi non ho più niente, non ho neppure la mia mamma che mi ha aspettato invano, sino al 5 febbraio 2009 quando è dipartita.
Con questo appello voglio testimoniare che nelle carceri italiane si muore, ci si ammala proprio come asseriva il filosofo ex senatore Norberto Bobbio: “Il carcere funziona come un ospedale dove ci si facesse ricoverare non per guarire ma per ammalarsi e maggiormente morire”.
Continuo con il dire che bisogna abbattere il muro delle carceri, far entrare un po’ di persone sensibili alle problematiche che avvengono in queste scatolette di carne, sì, scatolette di carne senza valore, senza prezzo, ma con un numero di identificazione, tutto questo non è facile immaginarlo… Viverlo è disumano.
Ribadisco oggi 38enne, preso per il bavero e sbattuto contro il muro della sconfitta, qualcosa dentro di me si è spezzato, qualcosa è andato in frantumi, non è facile ricomporre i frammenti.
Vorrei ribadire che con l’aiuto della fede, del buon Dio, posso dire di aver superato delle tristi realtà, tutto non è una prosa.
Con la presente voglio dire che anche in fondo a un letto, anche in un monastero, anche in una strada, anche in un carcere, se si alimenta la fiamma della speranza si può andare avanti.
Si parla dell’abolizione della pena di morte negli altri stati, quando in casa nostra la pena di morte viene inflitta sotto un’altra forma da parte della Magistratura, sostenendo che nel carcere si può curare le patologie, in un caso il Magistrato negava la libertà a un detenuto affetto da carcinoma epatocellulare perchè nessun miglioramento esterno poteva apportare allo stesso, così poteva benissimo morire in carcere.
Parole che provocano un nodo in gola e ci devono far riflettere che nelle carceri ci sono persone che raggiunto il ravvedimento possono essere reinserite nella società.
Ebbene mi fermo qui, invio i miei saluti, che chi vuol mettersi in contatto per scambio di idee e opinioni può farlo.

Vito Galante
Carcere di Velletri , 02/12/09
Attualmente detenuto a Rebibbia

da www.informacarcere.it

“E dimmi che non vuoi morire”


di Rossi-Curreri

Guarda…io sono da sola ormai.
Credi…non c’e’ più nessuna che
quando chiedi troppo e lo sai,
quando vuoi quello che non sei te
ricordati di me…forse non ci credi.

Sguardi…guarda sono qui per me
Non ti ricordi…eri come loro te.
Sono tutti quanti degli eroi
quando vogliono qualcosa…beh
lo chiedono lo sai… a chi può sentirli…

La cambio io la vita che
non ce la fa a cambiare me
bevi qualcosa, cosa volevi
vuoi far l’amore con me
la cambio io la vita che
che mi ha deluso più di te
portami al mare, fammi sognare
e dimmi che non vuoi morire…

Dimmi…sono solo guai per te.
Dimmi, ti sei ricordato che
hai una donna che se non ci sei
come fa a resistere senza te.
Piangi insieme a me dimmi cosa cerchi.

La cambio io la vita che
non ce la fa a cambiare me
bevi qualcosa, se non ti siedi
vuoi far l’amore con me
la cambio io la vita che
che mi ha deluso più di te
portami al mare, fammi sognare
e dimmi che non vuoi morire…

la la la…………..

e dimmi che non vuoi morire…

Patty Pravo in

http://www.youtube.com/watch?v=l25550qqEeU

Roma. Senza fissa dimora muore per il freddo


Era Sher Khan, leader della Pantanella, pakistano, 55 anni, è stato trovato senza vita in via Principe Eugenio.

 È stato probabilmente vittima del freddo l’uomo trovato morto questa mattina su un marciapiede di piazza Vittorio, a Roma. Si tratta di Sher Khan, pakistano, leader dell’occupazione della Pantanella, 52 anni, il cui cadavere è stato trovato all’altezza di via Principe Eugenio. La sua morte risalirebbe alla scorsa notte. A chiamare i carabinieri stamattina alcuni passanti che, dopo aver pensato per qualche istante che dormisse, si sono insospettiti. Sarà l’autopsia a chiarire le cause del decesso.

Era stato uno dei fondatori delle prime associazioni di comunità migranti a Roma Mohammad Muzaffar Alì detto Sher Khan. Aveva partecipato all’occupazione dell’ex-pastificio «Pantanella» a cavallo della fine degli anni ’80 e l’inizio degli anni ’90 insieme al fondatore della Caritas, don Luigi Di Liegro, dove trovarono rifugio oltre 2.500 immigrati. In quel periodo nacque l’associazione United Asian Workers Association (Uawa), una delle prime organizzazioni di migranti che Sher Khan presiedeva.  

«Lui stesso era un rifugiato politico – racconta Alessandra Caligiuri dell’associazione bengalese Dhuumcatu che con Sher Khan aveva condiviso battaglie politiche al Corriere.it – eppure, soltanto tre giorni fa era uscito dal Cie di Ponte Galeria dove era stato trasferito. Sher Khan in questi anni ha subito una vera e propria persecuzione da parte delle autorità».  

PIANI CONTRO IL FREDDO – «Il piano freddo partirà come ogni anno e darà un ricovero a tutti coloro che non hanno un luogo dove andare a dormire per proteggersi dal freddo», ha detto il sindaco di Roma, Gianni Alemanno, interpellato a proposito della sua morte di. Il sindaco ha però aggiunto che «fino ad ora la temperatura non si era abbassata tantissimo, in ogni caso siamo già pronti a partire con il piano messo a punto dall’assessore Belviso».

A Milano, la Fondazione Exodus sottolinea oggi in un comunicato: “Lo scorso inverno 2008-2009 la grande e ricca città di Milano, in attesa dell’EXPO 2015, ha vinto il triste primato nazionale per i senza tetto morti di freddo. Cosa faranno questo inverno i molti stranieri irregolari che non hanno diritto di accesso alle strutture di accoglienza, ma anche tanti italiani senza tetto ? Fra loro troviamo persone che vivendo in coppia non vogliono separarsi per entrare in un dormitorio, persone che vivono con animali e non vogliono separarsene, persone che sono entrate da poco nell’infernale girone della emarginazione sociale e, inesperti, non conoscono le strutture di ricovero, persone che all’emarginazione uniscono difficoltà di relazione e quindi con grosse difficoltà a vivere in servizi dormitorio insieme ad altri, persone che a causa di situazioni di grave degrado, alcolismo o patologie, non vengono accettate. E proprio queste fasce più deboli, composte da persone non accudite da nessuno, saranno le più a rischio d’essere falciate dal gelo invernale che arriverà a breve. Per questa consapevolezza, che non ci consente di girarci dall’altra parte in attesa che i giornali ci facciano l’elenco dei prossimi morti o nella semplice speranza che un inverno mite ne regali di meno alla nostra coscienza civile, organizziamo questa giornata di discussione, di solidarietà e di musica con chi vive in strada il prossimo Venerdì 11 dicembre 2009 nel Sottopasso fra via Tonale e via Pergolesi – Stazione Centrale Milano

 da www.vita.it