La prostituta – bambina, sempre dal diario di Claudio Crastus


Una notte, ad un angolo di strada vedemmo un falò e un po’ per gioco, un po’ per curiosità pregai Agostino di fermarsi. Subito dopo vedemmo il viso sbarazzino di una ragazza di tredici o quattordici anni. Una bambina con stivaloni neri e minigonna e una maglietta scollata al massimo. Ricordo l’attesa vicino al fuoco: ognuno di noi aspettava il proprio turno. Per primo andò Agostino, dopo Giò, successivamente Maurizio e infine io. Percepivo un tremore divampare in me,mi tremavano le gambe, sentivo la gola secca, era la prima volta che mi capitava di fermarmi e andare con una ragazza a pagamento. Anche l’amore era una cosa che avevo fatto poche volte e sempre frettolosamente. Come dare un morso alla mela e poi abbandonarla.

Restammo in macchina mezz’ora, senza nemmeno sfiorarci con un dito. Lei parlava dell’infanzia che le avevano rubato, dei collegi, dei maltrattamenti, dei giocattoli rotti, delle tante rinunce. L’ascoltavo e quasi mi vergognavo di dirle tutte le brutture della mia vita. Era più indifesa di me. Per quasi un anno, quando mi sentivo solo nella squallida periferia, continuai ad andare da Anna, nella sua 500 blu. Non facemmo mai l’amore, anche se le chiedevo di dire ai miei amici che lo facevamo. Le davo i soldi solo per stare insieme a discutere. Da quegli anni, ogniqualvolta passavo da piazza Ovidio, mi capitava di girarmi d’istinto verso l’angolo dove “lavorava” lei, ed era inevitabile ricordare il suo sorriso triste.

“Aquiloni in città”


di Maria Grazia Vai

S’impigliano
tra le antenne arrugginite
e le grondaie sporche

Sopra i tetti e le ringhiere
Sotto le griglie dei portoni
e sui cancelli chiusi

S’infilzano
come vecchie cartoline
d’indirizzi ormai smarriti

Pensieri sopiti
sobbalzano
tra le buche, i dossi
i tombini rotti

e l’odore stagnante di catrame

Mentre ascolto in solitaria
il grido stanco di un gabbiano
che scompare tra i semafori

e le nuvole grigie di Milano.

Una piantina


di Alfredo Sole dal carcere di Opera Milano

L’uomo riesce a sopravvivere e adattarsi nei luoghi più impensabili e ostili di questo pianeta traendo la sua forza dalla necessità, ma anche dal piacere di immergersi nell’ignoto. Anche se spesso è solo necessità di sopravvivenza. Quel bisogno biologico di completare il proprio ciclo della vita. A tutti i costi! Tutto ciò che è in natura sente quel bisogno innato di continuare ad esistere.
Ho una piantina di basilico immersa in un bicchiere d’acqua sul davanzale della finestra. All’inizio era un intero mazzetto ma lentamente è appassito a morte tranne una rametta. La sua forza di sopravvivenza è stata così forte da mettere radici pur non essendo una pianta acquatica. Si è adattata! Tra molte è stata la più forte e il suo premio è stato la fioritura. Sì perchè non solo si è ostinata a vivere ma è anche fiorita. Ha perso il suo bel colore verde lasciando il posto a un verde pallido ma è il prezzo da pagare per vivere in un ambiente che non è di certo il suo.
Stavo per staccargli alcune foglie per insaporire la mia pietanza quando ho visto i suoi fiori bianchi appena sbocciati, così ho deciso che tutto sommato la mia pietanza non necessitava di foglie di basilico. Quella sua grande forza e ostinazione a sopravvivere mi hanno impedito di “farle del male”. È incredibile, ma senza volerlo la piccola e ostinata piantina mi ha comunicato tanta forza. Ammiro la sua capacità di continuare il suo ciclo vitale immersa in un elemento che non è il suo. È riuscita a farsi crescere delle radici capaci di assorbire nutrimento solo dall’acqua. Sembra dire (se potesse parlare…): “non importa dove mi trovo adesso, il mio scopo è vivere ed io vivrò!”.
Come non ammirare tanta forza, come non invidiare tanto spirito di sopravvivenza.
Le mie radici sono state tranciate da molto tempo ma quasi senza rendermene conto ne sono spuntate altre capaci di prelevare e filtrare linfa vitale dal cemento armato.
Un concetto cupo per definire l’ostilità a continuare ad esistere ma attorno a me c’è solo cemento e ferro, non posso attingere ad altro.
Farò in modo che, al pari della mia piantina, possano in me germogliare anche i fiori. Il mio premio alla sopravvivenza sarà la fioritura della conoscenza.
Sarò pur sempre immerso in un bicchiere di cemento armato, ma ostinato a completare il ciclo della vita.
Se una debole piantina può diventare così forte da fiorire in un bicchier d’acqua, l’uomo può essere capace di innalzarsi a un livello superiore della sua mera esistenza. E con la fioritura del proprio essere può dar vita a una radicale trasformazione del proprio IO.
E tutto questo solo osservando una piantina? Sì, cerco di trarre insegnamento da tutto ciò che mi circonda. Se l’uomo imparasse a osservare meglio sarebbe migliore. Ma purtroppo si limita a guardare senza vedere e con la presunzione di essere migliore si pone al centro dell’universo.

da http://www.informacarcere.it

Manie: toccano 1 mln di italiani


Dai germi al sesso, a ciascuno la sua

Ci sono i fissati dell’ordine e della simmetria, quelli che smaniano all’idea di entrare in contatto con virus, batteri o germi vari: ci sono poi le persone affette da rapporti distorti con il cibo, con l’aspetto del proprio corpo, con il sesso. Insomma, anche nel pianeta delle manie e delle fobie, che in termini scientifici si chiamano disturbi ossessivo-compulsivi, c’è un vero campionario di diverse realtà. In tutto si calcola che gli italiani colpiti siano circa un milione, donne e uomini di tutte le età e classi sociali, che pur nella diversità di ciò che temono, hanno in comune il fatto di vivere nell’ombra la loro malattia. Ad esempio, chi è schiavo del gioco d’azzardo vive inchiodato davanti allo schermo delle corse dei cavalli o alla macchinetta del video-poker; c’è poi chi è perennemente in lite con la bilancia, e tra questi soggetti gli uomini sono più numerosi di quanto si pensi. Per loro il disturbo alimentare si esprime come bulimia nervosa, o come ‘bigorexia’, una patologia che porta a voler aumentare a tutti i costi la propria massa muscolare. In questa rete, ad esempio, cadono spesso anche i “body builder”, che si sottopongono a sfiancanti allenamenti con i pesi e ricorrono a farmaci e steroidi anabolizzanti per perfezionare all’estremo il loro corpo. Ma ci sono anche le ragazze che non si vedono mai abbastanza magre, chi ha paura di viaggiare in aeroplano, chi non ce la fa a prendere un ascensore, chi invece ha l’angoscia degli spazi aperti (agorafobia). Per loro nasce ora una nuova associazione, che si chiama “Fuori dalla rete” Onlus, nata con l’obiettivo di rispondere concretamente ai bisogni di chi soffre di questa ampia categoria di patologie. L’iniziativa viene dalla spinta propulsiva dei medici, dei pazienti e dei loro familiari, con l’ambizione di diventare un punto di riferimento per tutte queste persone, perché i disturbi ossessivi compulsivi sono spesso difficili da gestire e generano solitudine e sofferenza. “Per via della natura molto intima, il disturbo ossessivo compulsivo viene spesso tenuto nascosto, anche per il timore di essere giudicati”, spiega Laura Bellodi, direttore del Centro disturbi d’ansia e ossessivo-compulsivi del San Raffaele di Milano e presidente del Comitato scientifico di “Fuori dalla rete” Onlus. “Ecco perché riteniamo che il sommerso di questa patologia sia certamente molto più ampio di quanto le statistiche attualmente documentino”. Spiega inoltre il presidente Roberto Ciaccio: “Tra le finalità istituzionali e sociali dell’associazione, c’è quella di perseguire con una corretta informazione, testimonianze, forum e manifestazioni, la tutela del diritto alla salute e a una vita dignitosa per i pazienti, in un’ottica di umana solidarietà”. I disturbi ossessivo compulsivi e le patologie correlate tipicamente compaiono tra i 6 e i 15 anni nei maschi e tra i 20 e i 29 nelle donne e, se non trattati, tendono a cronicizzarsi e a diventare più gravi. “Le cure oggi disponibili, farmacologiche e non – assicura l’esperto – consentono a molti pazienti di migliorare la propria condizione, ma per altri si dimostrano inefficaci. Ecco perché abbiamo l’obbligo di migliorare le nostre conoscenze sulle cause di queste patologie”, sostenendo la ricerca scientifica, “allo scopo di trovare cure che siano adeguate”.

fonte Tgcom

La sfida di Francesca,vivere comprando solo on line


di Michele Cassano

ROMA – Freezer e dispensa strapieni, una piccola farmacia in bagno, regalini incellofanati nello sgabuzzino. La scorte sono da Grande Guerra, ma l’impresa è decisamente più contemporanea. Addio caffé al bar e giornale in edicola. Fuori dal web astinenza totale, si può comprare solo su internet. E siccome “é impossibile immaginare tutto quello che ti mancherà, meglio prendere un po’ di tutto”. L’ultimo pensiero prima di immergersi nell’ascetismo telematico? “Una scappata dal parrucchiere”. A lanciare la sfida, appena partita, è Francesca Sassoli, 35 anni, giornalista. Insieme a lei, il figlio di tre anni e il cane Beck. Abitano tutti a Milano. Sul suo blog, la temeraria reporter, armata solo di borsellino elettronico, proverà a rispondere a una domanda: si può vivere con gli acquisti on line? “Dovrò cambiare stile di vita, ma ho iniziato da pochi giorni è già mi sento purificata. Prima compravo di tutto. Tornavo a casa e mi dicevo: ecco, altra roba inutile”. Basta spese folli, ora ogni acquisto passa da un click. “Mi mancherà parlare con i commercianti, ma in realtà ho così poco tempo che andare per negozi era diventata una fatica. Ora mi portano tutto a casa, risparmio tempo e riesco a concentrarmi sulle cose che contano”. E non occorre rimanere reclusi in casa. “Posso comprare tutto dove mi pare, basta che ci sia connessione. Ho il notebook, ma anche l’iPhone e l’iPad”. Sul web si può acquistare quasi tutto. “Faccio la spesa, l’abbonamento per l’autobus, ora organizzo le vacanze. Ho trovato anche la tintoria. Vai sul sito, clicchi sui capi da lavare e ti fanno il preventivo. Li vengono a prendere e li riportano a casa con un piccolo costo aggiuntivo”. Anche per l’abbigliamento ci si può arrangiare. “Basta conoscere una marca o provare le cose in negozio, poi comprandole on line si risparmia. Se si pensa che una mia amica ha preso il vestito da sposa in Cina, tutto il resto è un gioco da ragazzi”. Certo, qualche sacrificio sarà necessario, come il cocomero sotto casa o il gelato. Ed è un bel guaio se a volerlo è il figlio piccolo. “Tre soluzioni. Ho comprato la borsa frigo e la porto con me. Lascio il bimbo alle amiche, scappo a casa, prendo il gelato e torno. Glielo faccio offrire direttamente dalle amiche, anche se a fine esperimento, avrò certi debiti…” La sfida, portata avanti insieme a Netcomm, dovrebbe andare avanti per mesi. “La forza me la daranno i visitatori del mio blog. Più siamo su in rete, più è difficile essere fregati”.

fonte Ansa

Morte a Opera (MI)


di Alfredo Sole dal carcere di Opera

Un altro uomo ombra che scompare senza lasciare traccia, se non quella del dolore dei propri familiari. Un altro ergastolano che sceglie di non scontare una pena infinita dove la mancanza di speranza uccide prima della stessa pena.
Trenta morti in sei mesi, trenta vuoti a perdere, nell’indifferenza totale. Perfino gli stessi detenuti sono ormai indifferenti al suicidio di un proprio compagno perchè rassegnati dall’impossibilità di far ascoltare la propria voce.
Ieri nel carcere di Opera un altro uomo non più uomo ha deciso di farla finita. Non ho sentito neanche un accenno di “protesta”, un po’ di rumore che potesse far capire che in qualche sezione si consumava una tragedia. Niente!
Sono nello stesso carcere di chi ha deciso di non scontare più una pena che uccide lentamente ma nessun segnale su ciò che è accaduto, tranne una piccola scritta che scorre veloce sul Tg diLa7. L’unica testata ad aver appreso la notizia? No, l’unica testata a credere ancora che la morte di un detenuto meriti se non uni spazio nel Tg, almeno la scritta sotto. Chi era questo uomo ombra? Non lo so, nessuno qui mi parla.
Ciò che mi chiedo è con quale pretesa si cerca d’”insegnare” a chi ha sbagliato il rispetto della vita altrui quando poi, nessuno ha rispetto della vita di chi ha commesso un errore.
Se la vita è sacra lo è per tutti, dall’uomo onesto al disonesto. Si pretende che il disonesto capisca l’importanza della vita e si insegna agli onesti che la morte di un detenuto, tutto sommato, non è neanche un male.
Ecco a voi allora, un’altra vittima sacrificale per appagare quella nascosta e ingombrante sete di sangue. Ecco un’altra occasione per poter dire: Bene, un altro criminale in meno.

da www.informacarcere.it

BICI. Io, ciclista cornuto e mazziato


di Stefano Arduini

Venti metri sul marciapiede mi costeranno 4 punti in meno sulla patente 

Oltre a essere un giornalista (non che le due cose siano in contraddizione) sono un grande amante della bicicletta. Non solo quella da corsa (Cinelli modello Unica per gli intenditori), ma anche quella da passeggio sulla quale ho fatto montare due seggioloni per poter trasportare le mie due bambine. Ogni mattina pedalo da casa all’asilo nido (le due fanciulle hanno 1 e mezzo e 3 anni) e da qui mi dirigo in redazione. Tutti e tre da buoni milanesi giudiziosi portiamo il caschetto. In tutto saranno cinque chilometri. Naturalmente nemmeno un centimetro dei quali è dotato di pista ciclabile. 

In alcuni tratti– lo ammetto- invado il marciapiede, talvolta lo faccio per “sgamare” qualche semaforo, molto più spesso per avere l’illusione di non rischiare la pelle (gran parte del mio tragitto lo percorro su stradoni simil tangenziale, via Cermenate- via Antonini per intenderci o su vie che abbinano pavè e rotaie, – via Montegani – via Meda, non proprio salutari per le parti intime dei ciclisti uomini, nonché per la stabilità delle giovanissime passeggere). Per carità, sbaglio, sapendo di sbagliare, ma lo spirito di sopravvivenza talvolta mi assale. 

E qui casca l’asino. Perché oggi, lunedì 7 giugno, alle 9 e 35 del mattino una zelantissima vigilessa mi ha intercettato sul marciapiede di via Montegani (angolo via Neera), senza naturalmente che avessi travolto alcun pedone -anche perchè avevo percorso sì e no venti metri (anzi – a dirla tutta- stavo per “parcheggiare” la mia arrugginita due ruote e quindi procedevo a velocità contenuta, direi non più di 10/12 chilometri orari) e mi ha intimato l’alt, appioppandomi alla fine della fiera una multa da 38 euro per aver violato l’articolo 143 del codice della strada. Quello per intenderci che regolamenta la posizione dei veicoli sulla carreggiata (anche se – come la stessa ghisa ha avuto voluto annotare – io in realtà procedevo con un velocipede  sul marciapiede). Mentre mi dava la multa, naturalmente (statisticamente era improbabile che in mezz’ora di discussione non avvistassimo un’infrazione) una moto ha attraversato l’incrocio alle nostre spalle col rosso pieno. «Che vuole, che mi metta ad inseguirlo? Faccio quello che posso». E così sia. Il problema è che forse in questo caso ha fatto anche quello che non poteva. 

Dopo un interminabile colloquio radiofonico con la centrale e un altrettanto lungo sfoglio delle pagine del codice della strada, la dolce signorina in divisa («Ha fretta? Che me ne frega, io sto lavorando e quando finisce il turno, torno a farmi i fatti miei») ha deciso di decurtarmi anche 4 punti dalla patente. Io recuperando nella memoria un articolo del Resto del Carlino di appena un mese fa (il 5 maggio) faccio presente – con tanto di citazione – che il giudice di pace di Ferrara Camilla Brini ha accolto l’illegittimità costituzionale dell’articolo 219 bis del codice della strada (ritiro, sospensione o revoca del certificato di idoneità alla guida) per la violazione del principio di uguaglianza sancito dall’articolo 3 della Costituzione. Applicare quella norma costituisce infatti una palese discriminazione fra i ciclisti patentati e ciclisti non patentati. «Faccia ricorso se crede», dice invece la vigilessa. «Sarà fatto», ribatto, poco convinto. Chi me lo fa fare di entrare nel ginepraio della giustizia per 38 euro? 

Il cruccio mi rimane. Arrivato in redazione contatto gli amici di Ciclobby. In particolare l’avvocato Massimiliano Gaspari. A lui chiedo quante siano i ciclisti sanzionati con il taglio dei punti della patente dall’entrata in vigore della riforma del codice della strada del luglio scorso. «A Milano tre e per quanto ne so pochissimi altri nel resto d’Italia: in tutto si conteranno sulle dita di due mani». Mi rendo conto di essere una specie di panda. Un animale introvabile, abbattuto da una cacciatrice senza scrupoli. Resisterò. Intanto lo stesso Gaspari mi rincuora: «Per casi come questo, offriamo assistenza legale gratuita». Anche se davanti al giudice di pace può succedere di tutto. «Il risultato non è scontato, molto dipende dallo stesso giudice, certo è che la norma è palesemente incostituzionale: viola il principio di uguaglianza e per assurdo può arrivare ad impedire di guidare l’auto i ciclisti indisciplinati, che però magari sono ottimi automobilisti». Finale: probabilmente pagherò la multa e continuerò a cercare di portare a casa la pelle da www.vita.it

Nord contro Sud, sfida all’ultimo chilo


Si rinnova in Italia la sfida Nord contro Sud ma questa volta non sono le “buone pratiche” il criterio di contrapposizione ma i chili di ciccia. La singolare sfida si è accesa Daniela Gasparini, sindaco di Cinisello Balsamo (Milano), e Nicola Cristaldi, suo collega di Mazara del Vallo (Trapani). Del Pd la prima, del Pdl il secondo ma entrambi sovrappeso. La notizia è dell’agenzia Adn Kronos che spiega l’iniziativa “Obesità in Comune”. I due sindaci, insieme a tre concittadini ciascuno (anch’essi sovrappeso) saranno impegnati per sette giorni – da venerdì scorso a giovedì prossimo – in una serie di attività che vanno dal nuoto ai giri in barca, dallo yoga alle passeggiate, a Polignano a Mare, a pochi chilometri da Bari. Tutto, ovviamente, accompagnato una rigida dieta. Vincerà chi fra i due gruppi, quello di Mazara e quello di Cinisello Balsamo, alla fine della settimana avrà perso più chili. L’obiettivo è sensibilizzare l’opinione pubblica sul problema del sovrappeso, promuovendo una campagna per un’alimentazione sana ed equilibrata ed educando i cittadini ad un corretto stile nutrizinale. In Italia, infatti, gli obesi sono raddoppiati negli ultimi anni toccando quota 5 milioni.

da www.livesicilia.it

Il gatto e le rose


di Alfredo Sole dal carcere di Opera – Milano

C’è un vecchio detto: “Non tutto il male viene per nuocere”. Beh, non è che io sia d’accordo con questo, tutti i mali nuocciano ma a volte si può ottenere, insieme al male, qualcosa di buono, nel caso che racconterò, qualcosa di bello.
Per un paio di settimane ho sofferto di un gran mal di stomaco da costringermi a una visita specialistica (niente di grave, adesso sto bene). Il Centro Clinico si trova dentro il carcere, in uno stabilimento separato. Ero già quasi guarito dai miei dolori quando mi avvisano che dovevo recarmi al Centro Clinico per una gastroscopia. Sia io che un altro compagno, anche lui per una visita, siamo stati accompagnati da un agente. Pensavo, non avendolo visto prima, che ci si recasse attraverso un qualche lungo corridoio, invece siamo usciti fuori dallo stabile. Circa duecento metri da percorrere all’aria aperta! La mia paura che di lì a poco una sonda avrebbe attraversato il mio apparato digerente entrando dalla gola, svanì alla vista di quel lungo viale costeggiato da un roseto. Siamo a maggio, il mese delle rose. Ero pur sempre dentro il carcere ma quelle rose, quel profumo, erano un pezzetto di natura così bella ai miei occhi che rallentai il passo per poterne godere il più possibile. Non fu solo il roseto a rendere quella mattina così stranamente piacevole. Stavo camminando in senso rettilineo! E non il solito avanti e indietro in pochi metri di cortile. Mi venne da ridere perchè mi accorsi che non riuscivo a camminare in modo fluido. Perdevo un po’ di equilibrio. Troppo spazio aperto davanti a me. Per la prima volta in quasi 20 anni le suole delle mie scarpe erano sporche per aver camminato su una strada seppur una strada dentro il carcere.
Cos’è la bellezza della natura senza animali. Quella mattina ci fu anche quello. Usciti dal Centro Clinico, appena fuori dalla porta, l’agente che ci accompagnava si fermò a parlare con un dottore, credo. Io e il mio compagno di conseguenza, ci fermammo ad aspettare. Incrociai lo sguardo con un grosso e bellissimo gatto dal pelo lungo. Era a una ventina di metri da noi. Mi chinai e lo chiamai. Con mio stupore vidi che si avvicinava a passo lesto, senza timore. I gatti che vivono dentro le mura dei carceri di solito non sono affettuosi, sono per lo più dei vagabondi senza nessun padrone e diffidenti. Questo invece si avvicinava fino a farsi accarezzare e si mise pure a fare le fusa. Mentre io lo accarezzavo, lui con la sua pancia gonfia me lo confermava visto che sicuramente era incinta. Istintivamente gli toccai la pancia, ma fu uno sbaglio. Fece un salto da felino all’indietro e mi diede una zampata sulla mano, ma non volle farmi del male, non aveva tirato fuori gli artigli, fu come se volesse dirmi: “ehi, vabbè che lascio che mi accarezzi, ma vedi di non esagerare o la prossima volta tiro fuori gli artigli”. Capii il messaggio, gli avvicinai di nuovo la mano sotto il musetto e lui tornò a leccarmi e a darmi piccoli morsi ma senza farmi male. Si avvicinò l’agente e l’incanto svanì in un momento. Il felino scappò via.
Beh, tutto sommato quel mal di stomaco mi ha regalato una bella giornata…

da www.informacarcere.it

Non una festa scontata, ma un giorno dedicato a tutte le mamme, nessuna esclusa


Poche settimane dopo che due fatti drammatici hanno portato agli “onori” della cronaca due mamme di bimbi con disabilità e i loro gesti disperati nei confronti dei figli, assume ancor più significato l’iniziativa voluta per il 9 maggio dall’associazione milanese L’abilità, che ha invitato a una giornata di festa tutte le madri di bambini con disabilità, perché il Giorno della Mamma non sia una festa scontata, ma un pensiero concreto di ascolto e aiuto

«La mamma di un bambino con disabilità non può sentirsi sola – ricorda Laura Borghetto, presidente dell’associazione milanese L’abilità (Strategie familiari nella disabilità della prima infanzia) – e a lei vogliamo dire che conosciamo la sua vita e siamo pronti ad accogliere le sue richieste, ad aiutarla se ci è possibile, a indirizzarla ad altri se necessario. Ma anche a captare i segnali nascosti e ad aiutare chi le sta vicino a coglierli».
E così, soprattutto per fare in modo che il Giorno della Mamma di domenica 9 maggio non sia una festa scontata, ma un pensiero rivolto davvero a tutte le mamme, nessuna esclusa, L’abilità ha deciso di invitare quelle “mamme speciali” a una giornata di festa, presso la sede del proprio Centro Diurno L’officina delle abilità (Via Mac Mahon, 92, Milano), per conoscersi, chiacchierare e anche ascoltare dal vivo le note del gruppo L’altramusica Ensemble.

«Appena due settimane fa – spiega ancora Borghetto – e a distanza di pochissimi giorni, due fatti drammatici hanno portato agli “onori” della cronaca altrettante mamme e i loro gesti disperati nei confronti dei figli. Un giorno speciale, come quello dedicato alla Mamma, può e deve avere un senso, ma solo se si tengono accesi, oltre ai riflettori, l’attenzione, l’ascolto, l’aiuto concreto, la comprensione verso le mamme che vivono momenti difficili, come le mamme dei bambini con disabilità. Mamme che rischiano di farsi sorprendere proprio dalla loro fragilità, impreparate ad affrontarla perché non sanno come e a chi chiedere aiuto».
«Per l’occasione – conclude la presidente dell’Associazione L’abilità – abbiamo voluto prendere in prestito la definizione anglosassone della Festa della Mamma, Mother’s Day, il Giorno della Mamma, e lo dedichiamo a lei come si fa con un patrimonio dell’umanità». (S.B.)

Per ulteriori informazioni: L’abilità ONLUS (Strategie familiari nella disabilità della prima infanzia), Tel. 02 66805457, comunicazione@labilita.org