“L’arte della separazione è una delle più difficili che esista, perché occorre saper trovare il momento propizio. Ogni separazione prematura è uno strappo e provoca delle lacerazioni.
È nella natura che gli Iniziati si sono istruiti nell’arte della separazione. Non si può separare la noce dal suo mallo, ma la natura sa come fare: lascia maturare il frutto, il mallo si apre da solo e cade. Questa separazione è il simbolo della maturità. Per parecchi mesi la madre porta il figlio nel proprio grembo, ed è pericoloso volerlo strappare prematuramente. Ma venuto il
momento, il frutto cade, e si può recidere il legame che univa il bambino alla madre. E che ne è della nostra anima? Essa è prigioniera del nostro corpo, e per liberarsi, deve separarsi dalla spessa materia che la circonda; questo, però, non prima di avere raggiunto la maturità. Ecco un tema di riflessione, e l’autunno è il periodo migliore per meditare sulla vera liberazione. ” Omraam Mikhaël Aïvanhov
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“Canta per me”
di Tiziana Mignosa
canta per me
la gioia che d’arancio esplode
e il sogno custodisce
riflessi d’acqua scintillanti
che negli occhi si specchiano festosi.
Nell’esotica calura
al piacere intenso
palpebre
si cercano e si sfiorano
mentre il calabrone
tratteggia cuori senza nomi tra la terra e il sole.
Canta per me
l’estate colle sue frizzanti voglie
quando la cicala intona
il canto caldo della siesta
e i bimbi
al sonno preferiscono giocare.
Estate
stagione mia diletta
dea indiscussa dell’Amore
sulla trasparenza dell’azzurro
cubetti a gocce
frescura seducente sul bollore.
Lo sguardo è a cerchio
mentre s’accumula tra la pelle e i sensi
il desiderio
che di fumo e buchi
le tasche dei viandanti colma
ti penso … e non ti trovo.
Canta per me
il caldo soffio
quando l’anima
passeggia nuda
tra i pensieri e il mare
e la notte si concede alla magia
quando in silenzio
la luna coglie
i sospiri caduti dalle stelle
sogni e fantasie
che gli uomini
non hanno preso al volo.
“Noi”
“Liquirizia”
di Maria Grazia Vai
Sulle note di Joe Cocker “ Ain’t no sunshine “
Zuccherosi e bianchi seni
Soffici, come lune d’agosto sulla sabbia
E profumano di te
di mille gocciole
che incollano l’anima alla pelle
Zampillano nell’anfora dorata dei miei sensi
Origàmi e giochi d’acqua.
Sguardi ribelli, annaspano nel blu
che mi si scioglie dentro
Mani, a frugare il cuore
sporche di te, dei tuoi colori
Avorio e liquirizia, fruscio d’armonica e rossori
Indomita e silente pioggia
Palpito ambrato, che scivola dal muro
fino alle caviglie.
Di baci e graffi sulle gambe
D’amore morso a pelle
E per averti ancora
oscurerò i velluti
della mia ragione
Sarai follia che cola
dentro ogni fessura – in ogni mia stanza
E mille e più parole
luccicanti
avvolgerò d’organza e nastri viola
Imbratteranno l’aria
e il fiato tutto intorno
Di questa notte effimera, l’unica voce.
“E assaporo desideri”
di Maria Grazia Vai
Dei tuoi baci profumano
le mie labbra
– ancora
Gocce d’ambrosia, fremiti d’anima
Parole nude, bagnate d’amore
cantano ancora, tra le cicale e la seta
oscillando sinuose,
come gambe accavallate nel vento.
E calde,
si sciolgono in fondo allo sguardo
sull’intreccio dei fianchi,
nell’oblio senza fine
E profumarti le labbra,
vorrei adesso
– e ancora
Assaporare la curva del tuo desiderio
e penetrare
ad uno ad uno
ogni succoso, carminio – tuo dolce pensiero.
Volano via le rondini
Sussurrata a quattro mani dal respiro poetico di Marco Casini e Maria Grazia Vai
sulle note del Concerto di Aranjuez Adagio di Joaquin Rodrigo
Pindarici distratti
simbolici e tonanti
– I sogni –
nel vuoto pan di zucchero
che il fato ha costruito
dove finisce l’anima
e il cielo si scolora
Tra foglie
di papavero appassito
e la voce
di un cantore senza nome
– Volano via le rondini –
Chimere, fragili
come cristalli d’acqua
– poesie –
Nel pianto di una rosa
sulla neve partorito
dove si posa il vento, e
cantano gli aquiloni
Ritornerò
frammento d’anima e dolore
nei labirinti,
e i mormorii del cuore
Dove tornano
e vanno a stridere
– e a morire,
anche i gabbiani –
“Mentre ti sogno ancora”
di Maria Grazia Vai
Di te che mi sei anima e pensiero
Di te ho bagnato ancora gli occhi, e le parole
Di te,
triste acquerello sulla tavolozza del cuore
Dove anche i sogni restano sospesi
distesi come l’edera, quando si aggrappa sulle rocce
come l’aria quando finisce il volo degli uccelli
come le pietre concave scagliate nel mio cielo di cartone
Dove non c’è una nuvola che possa disegnasi
dei tuoi profili, delle tue bianche impronte
A questo cielo, alle mie mani,
alla mia vita
– manchi
quando l’aurora veste i contorni azzurri – della tua assenza
e i sogni ad uno ad uno
si disperdono
come pagliuzze d’oro, dentro un campo.
“Tu non puoi sapere”
di Tiziana Mignosa
( Sulle note di “Life Circle” di G. Webb)
No
tu non puoi sapere
quanto grande ancora sia l’amaro smarrimento
come allora gocciola
sul dono impacchettato coi fogli del tormento.
Credi, credi di conoscere l’intensità
degli umidi perché spaiati
come se ad una ad una avessi pesato ogni lacrima versata
come se avessi raccolto nella pozza nera
ogni singolo singhiozzo che straziava l’anima.
Ma tu non c’eri
no, non puoi sapere
eppure
quando il tuo presente indietro porti
su quell’erba calpestata e strappata al sole
pensi ancora di conoscere
l’esatta pesantezza dei tuoi passi folli.
Ora, ora che davanti allo specchio
la tua coscienza incontri
e col tuo sguardo spento
ti ritrovi a rovistare
tra le parole dette e quelle pensate
adesso
adesso che l’inverno ha perso il suo cappotto caldo
e al sole torni
al suo tepore buono
e a quella fionda che l’ha colpito al cuore.
No
non puoi sapere
tu non puoi neanche immaginare …
ma adesso è tardi
è troppo tardi anche solo per pensare.
L’attesa
di Tiziana Mignosa
A volte amo
quelle rughe che odio
quand’è la voce del riflesso
a parlarmi del tempo
quand’è l’attesa
la protagonista solitaria
del caos che gonfia i vuoti
di parole vane.
Rumori
suoni
e colori accesi
che riempiono
e colmano
per non udire
il grido straziante
del silenzio.
Amo
a volte
quei segni che odio
indelebili tracce
che di plumbeo vestono
l’effimera grazia.
Sfuggono
i desideri
m’aleggiano intorno
come anime beffarde
senza corpo
gridano ai rimpianti
di sterile attesa
che si consumano
vergini
nel tempo.
A volte amo
quelle rughe che odio
quando mi giro indietro
sui sassi di sangue e sudore
che scivolano giù
tra le pieghe consumate dell’anima
tra graffi e strappi al cuore
e m’accorgo
di quel sorriso delicato
che con amore asciuga
le mie stanche lacrime
e mi porta a pensare
che nulla più m’importa
nulla
neanche d’aspettare.
“Per amore ho scordato l’amore”
di Maria Grazia Vai
Ispirata da questa bellissima scultura di Lido Di Lupo
Ascoltando “Nights of silk and tears “ di Ernesto Cortazar
Troppa memoria dei dolori passati
rumoreggia tra il cuore e le stelle
Sono ricordi smarriti,
senza cornice e senza tempo
E camminano scalzi
Sopra i ciottoli dell’anima
dove muore anche l’eco del vento
Sono frammenti che non raccolgo
Resteranno conficcati
tra le ciglia e il respiro
Per amore ho scordato il mio amore
col fiato contro,
e le mani arrese
Perché l’Amore è fatto di te
e non c’è cuore che lo contenga
E non c’è luogo che lo trattenga.
Solo ricordi,
sospesi
tra le mie labbra, il tuo sorriso
e l’immensità del cielo