Augusta: voci dal carcere

Putroppo questa pagina è stata chiusa, non per mio volere, il 10 febbraio 2010. ultimo giorno del nostro volontariato nel “nostro” carcere, mi dispiace ma non posso più regalarvi alcuno scritto: non me ne arrivano più 😦

In questo spazio ospiterò tutte le poesie, le lettere, le riflessioni che mi manderanno i detenuti del carcere di Augusta in cui sono volontaria, insieme a mio marito, da due anni, esattamente come mi giungeranno, non cambierò una virgola, trascriverò semplicemente le loro parole, scritte naturalmente a mano, in formato word in modo da poter essere lette da chiunque abbia il desiderio profondo e sentito di sapere “esattamente” cosa sia il PIANETA CARCERE.

Se qualcuno di voi avesse il piacere di commentare in qualche modo gli scritti che pubblico facendo sapere all’autore il suo pensiero può scrivere alla mia mail

danidamavi@virgilio.it

e io mi premurerò di stampare i vostri scritti e farli arrivare all’autore.

Inauguro oggi questa nuova pagina con alcune poesie, preghiere e riflessioni che mi sono arrivate da un detenuto dell’A.S. (per chi non lo sapesse questa sigla indica Alta Sicurezza) di cui indicherò per ovvie ragioni solo il nome di battesimo : Francesco.

Preghiera

Le cicale cantano alla luna

mentre le stelle intrecciano il loro eterno valzer.

E io, statua di dolore, davanti alla finestra,

con gli occhi chiusi e il cuore limpido,

ti cerco.

Mentre l’eco remota della elicità rapita

Accarezza la mia anima,

dove stille di rimpianto gocciano sul mio viso

e un sottile tremore si spande per il mio corpo

e la mia preghiera si leva solitaria:

“Gesù mio,

tu che da solo hai sopportato il peso di tutti i peccati degli uomini,

tu che assolvi il debole e condanni l’ipocrita

e non trascuri quelli che ti cercano,

accogli la mia supplica,

ascolta i miei sospiri, e allevia la mia sofferenza.

Ho camminato lungo sentieri oscuri

ed ho riposato cullandomi nelle tenebre;

ho molto amato l’ambizione

e insegnato la menzogna;

ho colmato le mie mani di corruzione

e mi sono ribellato alla tua giustizia;

sono caduto nella fosse che io stesso ho scavato.

Adesso sono stremato dal mio stesso lamento

e ogni notte bagno di pianto il mio guanciale.

Gesù mio, tu che intendi la mia sventura,

la mia vita e le mie colpe,

non rimproverarmi nella tua collera.

Tu che conosci le inquietudini e i tormenti

della mia anima,

le debolezze e i difetti del mio corpo,

non punirmi nel tuo sdegno.

Tu che hai provato il mio cuore

E sai che è privo di malizia,

fai germogliare il seme da esso custodito.

Purificami ai miei peccati, anche da quelli nascosti,

aiuta la mia anima a vincere la morte

e indicale il sentiero che conduce alla vita;

spezza le catene che mi trascinano nell’abisso.

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Ancora poesie e preghiere da Francesco

“Ringrazio”

Mio Padre e mia Madre

per avermi fatto nascere

mio figlio

che non mi farà morire

mia moglie

perché mi fa vivere

Dio

Per tutto ciò.

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Uomo

Vedi il deserto

ma tralasci il granello di sabbia.

Vedi l’oceano

ma tralasci la goccia d’acqua.

Vedi l’incendio

ma tralasci la favilla.

Il tuo egoismo invece

fa risaltare te stesso

ma trascurare il tutto.

E non ti accorgi di essere più piccolo

di un granello di sabbia

di una goccia d’acqua

di una favilla.

Quanto ti renderai conto di ciò

comincerai a crescere.

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Giudizi

Tra me e la mia immagine

un fitto velo

steso a protezione dagli sguardi invadenti;

tra i miei pensieri e le mie azioni

un muro invalicabile eretto a difesa

delle incursioni dei predatori;

tra me e la mia coscienza

nessuna barriera:

non poteva capitarmi

giudice più rigoroso

né pena più severa.

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10 dicembre 2009

“Ergastolo: fine pena mai”: riflessioni di Francesco dalla sezione del carcere di Augusta che oggi fa lo sciopero della fame.

“Non vogliamo martiri ma siamo disposti a soffrire! Ma essere ergastolani è come essere morti prima di morire. Si muore tutti i giorni per tornare di nuovo a morire ancora e di nuovo ancora…!”

Una testimonianza forte che ci deve far riflettere sullo stato in cui vivono, oggi, circa 200 persone condannate all’ergastolo.

La richiesta di abolizione della pena dell’ergastolo appartiene alla cultura giuridica e civile democratica. Al problema, ancora oggi, non si è dato tuttavia un diretto sbocco a livello costituzionale poiché si ritiene che esso deve essere affrontato e risolto dal legislatore ordinario nell’ambito di una revisione del sistema delle pene.

Nella V e VI legislatura, in sede di riforma della parte generale del codice penale, il Senato della Repubblica aveva sancito l’abolizione della pena dell’ergastolo ma la riforma non aveva potuto, per la fine delle rispettive legislature, essere presa in considerazione dalla Camera dei Deputati. Nel 1981 fu tenuto il referendum, proposto da tutti, su questo argomento e di cui è noto l’esito.

Nella XIII legislatura il disegno di legge di abolizione dell’ergastolo fu approvato in Senato. Le ragioni che si collocano a fondamento della prospettiva dell’abolizione sono note :”l’ergastolo è una pena inumana che toglie all’uomo la speranza, che confligge in modo inconciliabile con il principio costituzionale della finalità rieducativa della pena”.

I detenuti ergastolani, oggi anno 2009, aspettano ancora una risoluzione a tale pena. Il nostro sistema prevede ancora una specifica forma di pena del tutto incompatibile con l’ordinamento costituzionale, con numerose prescrizioni di norme cogenti di diritto internazionale nonché con il paradigma essenziale dello Stato di diritto.

L’ergastolo è una pena forse peggiore della pena di morte: in un caso si ammazza tutto, nel secondo si rispetta il corpo e si ammazza la personalità. Era già chiaro ai compilatori del codice penale francese del 28.09.1791 che, pur prevedendo la pena di morte, avevano abolito l’ergastolo ritenuto, molto più della pena capitale, “disumano, illegittimo, inaccettabile” nella misura in cui rende l’uomo “schiavo”, realizzando di fatto un’ipotesi di servitù coatta legittimata in nome di una pretesa superiore e inviolabile ragion di Stato.

L’ergastolo comporta, in primo luogo, una palese violazione del principio di umanità della pena di cui all’art. 27 comma 3 della nostra Costituzione nonché nella misura in cui, analogamente alla pena capitale cui del resto il diritto romano assimilava l’ergastolo, priva il condannato per sempre del suo status inalienabile di persona come tale parte dell’ordinamento giuridico e solo temporaneamente assoggettabile a misure privative della libertà personale, legittime unicamente nella misura in cui siano funzionali al reinserimento sociale del reo.  Ne consegue, pertanto, l’illegittimità di una pena quale quella dell’ergastolo che, in ragione del suo carattere perpetuo, priva il condannato di ogni possibilità di reinserimento sociale attribuendo così alla sanzione criminale la sola funzione di neutralizzazione, stigma e negazione eperenne al reo del suo status di persona.

Tale pena esprime significativamente la funzione di “stigmatizzazione” attribuita all’ergastolo, pena esemplare quanto infamante, disumana quanto pre-moderna.

Inoltre il carattere fisso ed immodificabile della comminatoria edittale dell’ergastolo viola palesemente i principi di eguaglianza-ragionevolezza, di proporzionalità tra reato e pena, di individualizzazione della sanzione criminale nonché di colpevolezza per il fatto.

Il divieto di irrogazione di pene contrarie al senso di umanità e lesive della dignità umana, il carattere necessariamente rieducativo della pena, i principi di proporzionalità tra reato e pena sono, del resto, parametri cogenti di legittimità della sanzione penale, sanciti come tali anche da numerose norme di diritto internazionale e sopranazionale.

Ne consegue, quindi, la necessità giuridica, politica e morale di abolire una pena contraria ai principi fondamentali dell’ordinamento costituzionale dello “ius cogens” di matrice internazionalistica  sopranazionale ma, soprattutto, con il paradigma costitutivo dello Stato di diritto quale sistema politico fondato sul rispetto dei diritti umani e delle garanzie e libertà fondamentali, veri e propri parametri e, a un tempo, limiti di legittimità dell’esercizio statuale del potere punitivo.

Quindi ritengo che sia doveroso dire che se le cose stanno così o la politica cambia la Costituzione oppure l’ergastolo è anticostituzionale e lo è ancor di più dopo la sentenza 135/2003 che ha stabilito che gli ergastolani con reati che rientrano nell’articolo 4bis primo comma, primo periodo della legge 26 luglio 1975 n°354 (cioè quasi tutti) non potranno mai uscire dal carcere e dunque non si può parlare del fine rieducativo della pena.

In questi casi l’ergastolano è come il pesce che vive in un acquario aspettando la sua fine senza poter comunicare a nessuno le sue sofferenze. “Al pesce manca ogni mezzo di comunicazione con noi e non può destare la nostra compassione. Il pesce boccheggia anche quando è sano e salvo nell’acqua. Persino la morte non ne altera l’aspetto. Il suo dolore, se esiste, celato perfettamente sotto le sue squame (Italo Svevo)”.

Già nel Medioevo la clemenza era un atto da cui sovrano traeva consenso, oggi invece i politici cavalcano il giustizialismo che rende in termini elettorali ma se a fermare i politici nell’abolire l’ergastolo è l’ipotesi che il detenuto possa commettere un nuovo reato, dovrebbero portare fino in fondo il giustizialismo approvando leggi per mettere fine alle inutili vite degli ergastolani. Quando molti di loro dicono di essere contrari alla pena di morte e, allo stesso tempo, si dicono contrari all’abolizione dell’ergastolo “non solo sono bugiardi ma sono anche bilingue”. Per loro “la pena null’altro è, a questo grado di civilizzazione, se non il comportamento normale contro l’odiato, reso inerme, soggiogato nemico il quale ha perduto non solo ogni diritto e cautela, sibbene anche ogni possibilità di grazia; dunque la festa del “vae victis” in tutta la sua spietatezza e crudeltà (F.Nietzsche – Genealogia della morale)”.

Premesso che la vendetta soggettiva delle vittime dei reati va compresa, non può trovare giustificazione la “vendetta dello Stato” che non può essere ritenuta una riparazione al reato. Se si ritiene valido l’art. 27 della Costituzione, lo spirito di vendetta dopo tanti anni è ingiustificato nei confronti di persona che sono cambiati “intenzionalmente”.

Si può e si dovrebbe cercare di cambiare il futuro dei condannati all’ergastolo guardando e giudicando il loro presente. Non è giustizia tenere una persona dentro una cella per una vita intera senza speranza, non serve a nessuno. Con l’ergastolo non si vive ma si sopravvive senza speranza e senza sogni e vivono senza speranze e senza sogni i familiari del condannato.

Detto questo la mia idea è quella di abolire l’ergastolo e spero che nella coscienza civile sgorghi come un fiume in piena la condivisione di tale pensiero:

–      Perché le anime degli ergastolani sono costrette a vivere vite in bilic tra speranze e delusioni

–      Perché la vita senza la speranza non è vita

–      Perché è un’agonia che dura un’intera vita

–      Perché è solo la banalità della vendetta

–      Perché ci si trova a scontare una pena sadica e crudele che appaga una serie di fobie

–      Perché è un itinerario perverso dentro l’intimità dell’individuo

–      Perché è una pena di morte camuffata

–      Perché la libertà per un ergastolano è un orizzonte che non vedrà mai

–      Perché la pena dell’ergastolo mangia l’anima, il corpo, il cuore e l’amore del condannato e dei propri familiari

–      Perché una pena come l’ergastolo non sarà mai in grado di fare giustizia

–      Perché la società, reagendo al male con il male dell’ergastolo,non fa altro che creare altro male

Allora, dato che la politica e i politici non avranno mai il coraggio di abolire l’ergastolo perché i grossi partiti sanno bene che cavalcare l’onda giustizialista rende in termini elettorali.

E dato che alcuni politici si prendono anche gioco degli ergastolani affermando in TV che con la pena dell’ergastolo, dopo pochi anni, si ritorna liberi, e noi sappiamo bene che non è così.

In previsione dell’approvazione dei nuovi codici da parte del Parlamento che prevedono l’abolizione dell’ergastolo e una generale rivisitazione delle pene,

chiedo a voi, lettori di questo sito, con estrema serietà e piena coscienza se:

–      È vitale restituire agli ergastolani e alle loro famiglie una speranza che li farebbe sentire di nuovo vicini e protagonisti positivi

–      Di avere la certezza di fine pena, di poter avere anche loro, gli ergastolani, un calendario nella cella per sognare e segnare con una crocetta i giorni, i mesi, gli anni che passano

–      E che la pena sia rieducativa com’è scritto nella Costituzione. Ma se la loro vita deve finire in carcere a che serve un percorso di rieducazione?

E’ ovvio, e loro sanno che non è facile da ottenere, per tanti motivi ma vogliono che dell’ergastolo si parli nuovamente e seriamente e che siano date loro risposte chiare e responsabili, risposte a loro e ai tanti sono loro vicini, di credere in un’altra vita.

Aspettando i vostri pensieri in questo sito Francesco vi saluta e vi lascia riflettere.

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“SE” di Francesco dal carcere di Augusta

Se credi che un perdono

va più lontano di una vendetta

se sai cantare la falsità degli altri

e danzare la loro allegria

se puoi ancora ascoltare il disgraziato

che ti fa perdere tempo e donargli un sorriso

se sai accettare la critica e farne tesoro

senza respingerla e difenderti

se sai accogliere e accettare

un parere diverso dal tuo

se ti rifiuti di battere

la tua colpa sul petto degli altri

se per te l’altro

 è innanzitutto un fratello

se preferisci essere danneggiato

che far torto a qualcuno

se rifiuti che dopo di te

“succeda quel che succeda”

se ti schieri dalla parte del povero

e dell’oppresso senza considerarti un eroe !

se credi che l’amore

è la sola forza di discussione

se credi che la pace è possibile…

…allora la pace verrà

e saremo tutti fratelli.

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E ora pubblico alcune poesie di Giuliano sempre dal carcere di Augusta

Tu sola sei

Tu sola sei un sogno mai finito,

padrona assoluta dei mie pensieri

dea delle mie notti insonni,

tu sola sei un delfino solitario

nel mare agitato del mio io,

la notte cala ogni sera senza chiedere permesso

come te, imponente raggio di luce

nel mio cuore.

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Quando

Quando le mura e le sbarre più infami

mi priveranno di ogni cosa

quando le divise degli sciacalli

si nutriranno della mia libertà già morta

mentre il freddo si sazierà delle mie carni

ed il caldo brucerà l’aura dei miei resti

quando nell’alcova mia e della morte

la vita abbandonerà sull’ultima soglia

mi basterà ricordare d’averti amata

per ritornare in vita !

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Mio fiore

Gioia perenne di un cuore folle

respiro d’ogni mio respiro…

disciolgo i miei pensieri come l’ultima traccia di neve

e ti immagino poi rifiorire nel mondo che ti circonda

mio fiore, colorato di vita e d’amore

d’innanzi ai miei occhi di ghiaccio.

Trasportata dal vento del tuo istinto muovi le tu graziosità

sapendo che nel solo guardarti io muoio dalla voglia d’averti

pochi attimi basterebbero per riportarmi in vita

ad un centimetro dalle tue labbra come ad un

centimetro dalla mia salvezza.

Mio fiore di corallo solo il tempo spiegherà le sensazioni

che provo nel sentire il tuo profumo, nel lambire i tuoi

petali come ad una donna sfiorarle il viso;

il tempo che ora ci è nemico domani ti dirà

che sul tuo corpo ho letto il più bel romanzo

d’amore e che mi sono perso proprio come il mio

sguardo si è perso nei tuoi occhi, ma solo per amore.

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Lettera a una bambina mai nata di Francesco

Cosa hai sentito finora del mondo

attraverso l’acqua e la pelle

tesa della pancia di mamma?

Cosa ti hanno detto le tue orecchie

imperfette della nostra paura?

Riusciremo a volerti senza pretendere,

a guardarti senza riempire il tuo

spazio di parole, inviti, divieti?

Riusciremo ad accorgerci di te

anche dai tuoi silenzi, a rispettare

la tua crescita senza gravarla

di sensi di colpa e affanni?

Riusciremo a stringerti senza che

Il nostro contatto sia richiesta

spasmodica o ricatto d’affetto?

Vorrei che i tuoi natali non fossero

colmi di doni, segnali a volte sfacciati

delle nostre assenze, ma di attenzioni.

Vorrei che gli adulti che incontrerai

fossero capaci di autorevolezza, fermi

e coerenti: qualità dei più saggi.

La coerenza mi piacerebbe per te.

E la consapevolezza che nel mondo

in cui verrai esistono oltre alle regole

le relazioni e che le une

non sono meno necessarie delle altre,

ma facce di una stessa luna presente.

Mi piacerebbe

che qualcuno ti insegnasse a inseguire

le emozioni come gli aquiloni fanno

con le brezze più impreviste e spudorate;

tutte, anche quelle che sanno di dolore.

Mi piacerebbe

che ti dicessero che la vita

comprende la morte.

Perché il dolore non è solo

vuota perdita ma affettività,

acquisizione oltre che sottrazione.

La morte è un testimone che i

migliori di noi lasciano ad altri

nella convinzione che se ne possano

giovare: così nasce il ricordo,

la memoria più bella che è storia

della nostra stessa identità.

Mi piacerebbe

che qualcuno ti insegnasse a stare da sola,

ti salverebbe la vita.

Non dovrai rincorrere la mediocrità

per riempire vuoti,

né pietire uno sguardo

o un’ora d’amore.

Impara a creare la vita

dentro la tua vita

e a riempirla di fantasia.

Adora la tua inquietudine

finché avrai forza e sorrisi,

cerca di usarla per contaminare gli altri,

soprattutto i più pavidi e vulnerabili.

Dona loro il tuo vento intrepido,

ascolta il loro silenzio con curiosità,

rispetta anche la loro paura eccessiva.

Mi piacerebbe

che la persona che più ti amerà

possa amare il tuo congedo

come un marinaio che vede

la sua barca allontanarsi

e galleggiare sapiente

lungo la linea dell’orizzonte.

E tu allora

porterai quell’amore sempre con te,

nascosto nella tua tasca più intima.

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“Una favola reale” di Francesco dal carcere di Augusta

Caro amico lettore,

chi ricorda in quale romanzo compariva questa frase “Nessun posto è come casa”. Credo nessuno perché molti hanno perso la capacità di crescere con dei sogni o, più semplicemente, molti non hanno sogni e vivono la vita come viene, giorno per giorno.

Crediamo di imparare tutto dalla vita guardando il comportamento degli altri, magari imitandoli, tralasciando così i piccoli insegnamenti che potrebbe dare una fiaba.

Quale fiaba? Ad esempio “Il Mago di Oz” dove proprio il mago dice alla piccola Dorothy che si sta bene dovunque ma, per quanto si possa stare bene, nessun posto è come casa.

Dorothy è alla ricerca di una via per tornare a casa perché un tornado l’aveva trasportata in un mondo fantastico dove tutto era animato: tronchi d’albero, foglie, fiori, pareti, tutto; dove tutto era strano, i personaggi, gli uccelli parlanti, i grifoni, le streghe del nord, sud, est ed ovest, ma anche i tre simpatici personaggi che accompagnano Dorothy nel suo viaggio: il tagliaboschi di latta in cammino per chiedere al mago un cuore vero; il leone parlante che voleva chiedere un po’ di coraggio e, infine, lo spaventapasseri che voleva avere un’intelligenza come gli altri esseri.

La favola non racconta il viaggio dei tre personaggi ma rappresenta, nell’inconscio, la ricerca di quello di cui Dorothy pensava fosse priva, cioè coraggio, amore e intelligenza mentre credeva di avere tutte le paure, tutte le insicurezze, tutte le incertezze.

Se vogliamo ciò che accade nella fiaba è identico a ciò che succede spesso nella realtà.

Pensiamo di non avere abbastanza coraggio per affrontare tutte le prove che la vita ci pone davanti giornalmente.

Quando tentiamo di confrontarci con altre persone spesso ci sorge il dubbio di non reggere il confronto, di essere meno intelligenti e capaci del nostro interlocutore e questo, di conseguenza, ci rende insicuri.

Crediamo di non avere abbastanza cuore per amare, capire e perdonare e ognuno di noi si identifica, a turno, con personaggi come il leone, il tagliaboschi di latta e lo spaventapasseri.

Se nella vita reale ci prendessimo un po’ meno sul serio e pensassimo un po’ più alle favole le cose andrebbero meglio e questo vale per tutti e, in particolare, per i detenuti, persone che, per un motivo o per un altro, si trovano a combattere una guerra persa in partenza.

Il detenuto è un uomo privo di affetto, di amore, di ogni intimità personale che, nei momenti di maggiore sconforto, non sempre trova il coraggio, il cuore e la forza per andare avanti.

Perdere tutto e sprofondare nel baratro della disperazione provoca dolore che, se compreso, aiuta a crescere senza lasciare spazio a rimpianti o rimorsi, aiuta ad apprezzare le piccole cose che offre la vita, non quelle che siamo abituati ad avere senza sforzo.

Ecco, con questa riflessione, auguro a voi, cari amici lettori, BUONE FESTE.

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Storia di ordinaria follia di Francesco

“Educare, anzi, rieducare è lo scopo della pena”.

Rieducare nel rispetto della dignità umana, precisa la Costituzione, memore della mortificazione patita da chi, nel ventennio fascista, assaggiò la galera “cimitero dei vivi”.

“Mai più un carcere così” dissero i Costituenti aprendo la strada a una vera e propria rivoluzione.

Carcere non più intenso come controllo dei corpi ma come servizio a persone private della libertà e tuttavia integre nei diritti fondamentali. Non un luogo dove si finisce ma da dove si può ricominciare. Dove i detenuti sono accompagnati verso la libertà nel rispetto della loro capacità di scegliere. Da dove non si esce abbrutiti né peggiorati. Un “dentro” che guarda costantemente “fuori”. Un carcere che produce libertà individuale e sicurezza collettiva.

“Ecco, abbiamo fatto la rivoluzione ma non ce ne siamo accorti. O non vogliamo”.

Ancora oggi, all’interno del muro di cinta, si consuma la contraddizione tra l’obbiettivo dichiarato dalla legge e la gestione quotidiana della vita fondata sull’annullamento dell’identità del detenuto, sulla negazione di ogni autonomia, sulla violazione dei più elementari diritti umani. La rieducazione, o risocializzazione che sia, resta sulla carta. Il rispetto della dignità pure. Carceri fuorilegge: Cucchi e quant’altri.

Alla rivoluzione dei Costituenti è sopravvissuta una gelida cultura autoritaria e burocratica dei carcerieri cosicché, al di là degli obbiettivi dichiarati, lo scopo reale della pena è ancora quello di eliminare l’identità dei carcerati per gestirli più agevolmente. Una schizofrenia micidiale.

Il carcere che funziona non è quello che priva della libertà ma che produce libertà. E per produrre la definitiva libertà dei suoi abitanti deve rivoluzionare se stesso. Deve trasformarsi in un luogo in cui non c’è bisogno di esercitare il potere, già esercitato dal muro di cinta. Deve diventare un luogo in cui si organizza un servizio. Una grande utopia, forse. Ma come dice un vecchio proverbio :”Nessuna carovana ha mai raggiunto l’utopia, però è l’utopia che fa andare la carovana”.

Il carcere, ancora oggi, è un luogo di dolore. La galera deve sembrare una galera. Dunque è disadorna, buia, noiosa, scomoda. Punitiva. Se manca l’acqua, se le docce non funzionano, se i metri quadri calpestabili dai detenuti dietro il blindato si riducono a un paio di metri a testa a causa del perenne sovraffollamento è normale. E’ galera. Se la cella resta chiusa venti ore al giorno e neanche si può aprire la finestra perché il letto a castello è stato sopraelevato è normale. Questa è galera. Anche l’aria è impregnata di galera. C’è odore di chiuso, di fumo, di cibo avanzato, di medicine. Qualche volta, però, il detersivo prende il sopravvento sugli afrori. Persino la carta igienica a volte scarseggia, soprattutto in tempo di crisi economica.

Ecco, questa è la storia di ordinaria follia che nel nome della rieducazione vive un detenuto dell’universo-carcere italiano.

Un’intensa attività in cella: restare chiusi per 20 ore al giorno; di cultura: guardare la TV in orari stabiliti; di sport: giocare a carte. E di formazione: incontrare gli altri detenuti all’ora d’aria. Insomma, un trattamento avanzato, sperimentale.

Questa è una giornata-tipo:

–      Ore 7 del mattino. “Sveglia!!!” E’ il gentile urlo di un agente. Ci si alza dalle brande e si fa la fila davanti alla porta dell’unico bagno della cella.

–      Ore 8. “Conta!!!” lo stesso aggraziato urlo. E’ l’appello dei detenuti presenti in cella. Dopo averci contato, arriva il carrello del latte. Il liquido giallastro  la nostra colazione.

–      Ore 9. E’ il primo appuntamento formativo della giornata. Si scende in cortile per fare l’ora d’aria. In un ambiente confortevole, fatto di cemento, si apprendono le novità dal carcere. Chi è entrato, chi è partito, chi si è tagliato le braccia. Molto istruttivo!!!

–      Ore 10.30. Si torna in cella. Inizia l’attività culturale del carcere: guardare la televisione!!! Segue un breve ma intenso confronto sul programma visto in TV: Hai sentito la Santanchè? Che grandissima pu…!!!

–      Ore 11.30. Passa il carrello del pranzo, si mangia in cella. Oggi, come ieri e come domani, è servita un’ottima pasta scotta e scondita. Il tempo della tavola cronometrata è al massimo di 5 minuti. Straordinario!!!

–      Ore 13.00. E’ il secondo momento formativo della giornata. Un’altra ora d’aria. I temi sempre gli stessi. Costruttivo!!!

–      Ore 14.30. E’ l’ora della doccia ma non c’è acqua, no, è arrivata, è fredda, l’asciugacapelli non funziona. Si è rotto e quello che doveva essere un momento di relax è un dramma.

–      Ore 15.30. Inizia l’attività sportiva. I detenuti indossano tuta e scarpe da ginnastic. E, seduti intorno al tavolo della cella, danno il  via alla partita di carte. Il clima è teso. Chi perde dovrà lavare i piatti stasera.

–      Ore 17.30. La partita a carte è finita, chi ha perso non era ancora pratico di tresette. Posta!!! Tutti in attesa di avere notizie da “fuori”. Questa sera per me non c’è.

–      Ore 18.00. Passa il carrello per la cena. Qui c’è una variante. Una delle poche. Perché se è domenica o un giorno festivo la cena non arriva affatto. Si fa dieta. Altro pregio del carcere di Augusta. In compenso per la sera ci riuniamo con l’invito di uno o due ospiti e chiaramente cuciniamo noi stessi.

–      Ore 19.30. E’ l’ora delle gocce. Dei tranquillanti. C’è chi urla perché ne vuole di più. Ma una sberla istituzionale riporta la calma nelle celle.

–      Ore 20.00. C’è il ritiro posta e ancora una volta “Conta!!!”. Si ripete il teatrino d’appello.

–      Ore 21.000. Nelle celle si spengono le luci. Questa sera c’è una “prima TV”.

E i detenuti di Augusta, dopo una giornata “estenuante”, si addormentano.

E’ un anno che sono qui ad Augusta e ho dovuto vivere in questo deposito di carne umana lo stesso giorno moltiplicato per 365: storia di ordinaria follia!!!

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Poesie napoletane di Luigi dal carcere di Augusta

‘Na sola cosa io e te

Come me manche nun to’ saccio dì

so sulo, già so’ perzo dint’o scuro

comme a nu guagliunciello miezo a folla

c’ha perzo ‘a mamma e nun ‘a riesce

cchiù a truvà, commo ‘a n’aquilone

miezo o’cielo ca sta vulanno

senza sapè addò va. T’arricuorde

che tiempo belle immo passato n’ziemo

tu ‘a caramella e io ‘a cartusciella, tu

l’ago e io o’cuttone, tu ‘o zucchero

e io o’cafè, sempo ‘na cosa io e te

e mo ca sto suffrenno pecchè nun

tengo a tte me sento a vuoto a perdere

e vuo’ sapè o’pecchè: ‘o core è frantumato

e nunn’ o’ può azzeccà, le sierve sulo tu

si tu la ‘o può accuncià.

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“Donna” di Carmine dal carcere di Augusta

Nulla chiedo di materiale

ma ho bisogno di lei che accarezza la mia solitudine,

nutre la mia anima

boccheggiante

in quest’arido deserto…

muto d’amore…

Donna

che m’indica la verità…

che tiene accesa la fiamma…

che m’incendia il cuore…

sciogliendo il gelo dell’indifferenza e del peccato

fiamma che purifica

e porta emozioni

che pensavo smarrite.

Donna

che ha accarezzato la mia solitudine

risvegliando il mio cuore.

Donna

ispiratrice di quel sentimento supremo

necessario per una vita “nuova”

per una vita “vera”.

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“Il brigante e le api”, breve fiaba di Carmine dal carcere di Augusta

C’era una volta un brigante cattivissimo, faceva paura a tutti. Scorazzava per i monti e la campagne ed era solito aspettare i viandanti su un ponte che attraversava un fiume.

Derubava chiunque gi capitasse a tiro e se quei poveri sventurati si opponevano lui faceva loro del male.

Durante una delle sue scorrerie capitò in un campo dove una povera vedova aveva un’arnia da cui prendeva del miele per fare i dolcetti ai suoi bambini.

Il brigante da lontano vide che, quando la donna prelevava il miele dalle arnie, le api non le facevano nulla e pensò che anche lui potesse farlo.

Il brigante già si leccava i grandi baffi che aveva al pensiero del miele saporito che avrebbe rubato. Si fece avanti con aria minacciosa ed urlò tanto che la povera vedova ed i suoi bambini scapparono di corsa.

Allora il cattivone si avventò sull’arnia cercando di distruggerla per impadronirsi del miele saporito, ma le api inferocite lo attaccarono in gruppo e cominciarono a pungerlo dappertutto e mentre lui correva loro lo pungevano sempre di più finché raggiunse il fiume e vi si buttò dentro.

Solo l’acqua lo salvò dall’ira dello sciame d’api!

Passò del tempo ed il brigante ripensava spesso a quanto gli era accaduto, cercando di capire il perché le api lo avessero aggredito con tanta forza, mentre alla donna non facevano nulla.

Così si recò di nuovo verso il campo della vedova per chiederlo direttamente a lei. La poverina, quando lo vide, terrorizzata, cercò di scappare via, ma stavolta il brigante fu più lesto di lei, la raggiunse e la bloccò.

Con tono minaccioso le chiese: “Adesso devi dirmi perché tu prendi il miele e le api non ti fanno nulla, mentre a me, per aver cercato di prenderne un po’, mi hanno inseguito e punto dappertutto; mi sono salvato solo perché ho raggiunto il fiume”.

La povera donna era tremante di paura, temeva che dicendo la verità il brigante si arrabbiasse e le facesse del male ma, soprattutto, temeva che ne facesse ai suoi bambini.

Spaventata dalle minacce si decise a parlare e con tono calmo e gentile disse :”Dunque, brigante, devi sapere che le api mi permettono di prendere un po’ del loro miele perché io le curo, poi, quando vado a prelevarlo lo faccio con delicatezza e capiscono che non voglio far loro del male. Tu, invece, hai buttato l’arnia per terra e loro si sono arrabbiate”.

Il brigante, non abituato a dare né a ricevere gentilezze, non riusciva a capire e no le credeva, così lei gli mostrò come fare.

Il rude brigante, con gentilezza, si avvicinò all’arnia e prelevò del miele, le api si allontanarono e poi ritornarono senza fargli alcun male.

Ripensò a tutta la sua vita scoprendo che non esisteva solo il suo modo cattivo di vivere.

Pensò che :”se le api capiscono che anch’io posso essere buono, allora anche gli uomini possono capirlo”. Queste considerazioni fecero sì che cambiasse, comportandosi in modo gentile.

Da quel giorno del cattivo brigante non si sentì più parlare.

Egli divenne buono e decise di rimanere con la vedova ed i suoi bambini per aiutarli nel loro duro lavoro nei campi.

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“Il mondo che vorrei”, riflessioni di Francesco

Caro amico lettore,

c’è una frase che turba i miei pensieri ed è questa: “il tempo guarirà tutto”. Ma che succede se il tempo stesso è una malattia?

Oggi il nostro mondo è malato! Un mondo che noi stessi uccidiamo giorno per giorno asenza renderci conto di quanto grave è la situazione. Per questo, caro amico lettore, nell’anno che verrà, tutti insieme, con ferma intenzione, dobbiamo aspirare a un mondo migliore: “il mondo che vorrei”.

Il mondo che io vorrei potrebbe esistere se avessimo gli occhi giusti per guardarlo.

Nel mondo che vorrei, gli uomini e le donne di qualsiasi razza, colore e di qualsiasi parte di questo mondo non dimenticherebbero le esperienze storiche perché da esse si può imparare.

Nel mondo che vorrei, non esisterebbero imperialismi, né occidentali né orientali, né politici né economici, né religiosi né ideologici.

Nel mondo che vorrei, i politici, le persone che democraticamente verrebbero elette dal popolo non declamerebbero discorsi sterili scritti dagli altri ma parlerebbero con il cuore ai cuori, con parole scritte di loro pugno, con il rispetto che si deve alla “cosa pubblica”.

Nel mondo che vorrei, non ci sarebbero civiltà che si scontrano ma culture e popoli e nazioni che si incontrano e si arricchiscono reciprocamente, nel rispetto delle proprie individualità.

Nel mondo che vorrei, sono consapevole che non potrebbero non esserci guerre. Ma, nel mondo che vorrei, non esisterebbero guerre fatte per motivi religiosi, né economici né ideologici. Allora non ci sarebbe motivo per fare le guerre.

Nel mondo che vorrei, non sarebbero i vincitori a fare la storia ma la fiducia che le persone riporrebbero in ciò che la storia può insegnarci.

Nel mondo che vorrei, non si condannerebbero i vivi né si piangerebbero i morti perché si darebbe la giusta importanza alle persone e alle loro azioni quando sono ancora in vita.

Nel mondo che vorrei, nessun essere umano dovrebbe essere costretto ad abbandonare il proprio Paese per fuggire alla fame e cercare una vita migliore che forse non arriverà mai in un Paese che non lo vuole.

Ma, nel mondo che vorrei, ogni essere umano dovrebbe avere il diritto di essere e sentirsi cittadino in ogni terra che percorre e in ogni acqua che naviga peerchè il mondo sarebbe di tutti qualsiasi siano i confini che lo separano.

Nel mondo che vorrei, i terremoti, tutti i disastri naturali sarebbero solo delle calamità naturali, non delle disgrazie per cui si possa perfino dubitare che ci sia dietro l’essere umano.

Nel mondo che vorrei, l’elezione di un presidente nero, donna od omosessuale non desterebbe novità.

Nel mondo che vorrei, non ci sarebbero muri né cortine né torri che crollano, né esportazioni di democrazia, né lapidazioni per adulterio, né ergastolo né pene di morte.

Nel mondo che vorrei, non ci sarebbe bisogno di ricordare, nelle aule dei tribunali, che la giustizia è uguale per tutti.

Nel mondo che vorrei, c’è bisogno di una società che promuova serenità, che faccia sentire ogni cittadino necessario. L’uomo ha bisogno di piccole gratificazioni, di sentirsi accettato e soprattutto utile: di fare qualcosa per qualcuno. E allora c’è bisogno di qualcuno che richieda l’aiuto dell’altro anche se non ne ha necessità perché così aiuta l’altro che a voglia di aiutare.

Nel mondo che vorrei, occorre incrementare la percezione verso i bisogni dell’altro, non essere attenti solo ai propri desideri. Nessuno, quando è felice, sente più il dolore che ha attorno. Nessuno, mentre brinda alla propria fortuna, sente il tormento di chi non ha mai avuto niente e ogni volta che si è impegnato per ottenere qualcosa è stato colpito dalla sfortuna.

Nel mondo che vorrei, abolirei le festività, mi mettono sempre una grande malinconia poiché sento che alcuni gozzovigliano e altri sono invece assetati. Che alcuni gettano bottiglie ancora piene e altri, in preda all’arsura, sono alla ricerca di qualche goccia d’acqua.

Nel mondo che vorrei, occorre una società che non si spaventi di fronte alla propria sofferenza, che non la giustizi, che non la narcotizzi. Non saprebbe più capire quella degli altri, finirebbe per pensare che non esiste. Bisogna sapere cos’è la sofferenza per essere frenati dal promuoverla, sovente per gioco, per gioco di potere: semplicemente peerchè uno può farlo. E allora calpesta ogni diritto e ogni dignità umana.

Nel mondo che vorrei, bisogna cancellare questo strano imperativo del dover pensare sempre a ciò che non si è fatto, agli errori commessi, quindi dimenticando i risultati positivi che si sono raggiunti. Bisogna togliere questo velo opaco, questa lente che distorce mettendo a fuoco i nemici invece delle persne care, le cose ancora da fare invece di quelle dignitosamente concluse.

Nel mondo che vorrei, c’è bisogno di un mondo che voglia essere felice. Che cerchi i segreti della felicità. Che veda l’altro come un compagno con cui vivere insieme serenamente. Non più un nemico, non solo un nemico. Il mondo pieno di amici e di persone che ti guardano come si guarda a un fiore con la possibilità di coglierlo, annusarlo e di goderne. Un uomo può essere più bello di un fiore. “La felicità è prima di tutto voglia di felicità”.

Oggi si festeggia il giorno del Natale.

Dio nasce come un bambino, totalmente indifeso. E abbandonato perché nessun albergo l’ha accolto. Nasce in una grotta, nel ventre della terra: la terra stessa diventa Madre di Dio e questa nascita rappresenta un atto cosmico.

Così Cristo trasforma ogni cosa: il fatto più misero della  vita acquista grandezza e dignità. Il Natale testimonia che Dio assume su di sé tutte le nostre cadute: ci ha fatto liberi ma non lascia sulle nostre spalle gli effetti di questa libertà ferita.

La nostra profondità è Cristo e il Suo volto che risplende negli occhi dell’altro, che ci guarda con amore. Anzi conoscere l’altro significa conoscere Dio. E la vita di tutti i giorni diventa un’avventura. E’ lui che incontriamo nell’altro uomo. Tutto il mondo, in ogni sua più piccola parte, rispecchia il volto di Cristo. Senza questa percezione dell’altro la disperazione dell’altro. Scoprire la gioia nell’aiutare, la bellezza della solidarietà quando uno ti guarda silenzioso ma vuol dirti che gli hai dato la vita.

L’altro è parte di te e hai bisogno dell’altro che ha bisogno di te. Con questa voglia dell’altro di scopre quanto ricco può essere l’uomo, quante potenzialità nasconda, quanti pensieri.

La curiosità verso l’altro, chiunque esso sia. Non bisogna dimenticare chi soffre e ha bisogno solo di un sorriso, del tuo sorriso. E’ forse anch’esso velato di malinconia ma ti trasmette un senso di umanità che ti rende persino felice.

Questa è la grande scoperta che si può fare nel quotidiano, un’avventura che si trova lì, davanti a noi.

Il mondo che vorrei… vorrei non averlo. Altrimenti già esisterebbe.

Questo mio desiderio è solo una riflessione ma in questa utopia c’è la luce della speranza.

Noi non sappiamo come sarà la nostra vita e quindi il nostro tempo.

Io, per esempio, ho dei nipotini e posso parlare di come sono adesso senza essere in grado di prevedere come sarà la loro vita tra venti, trenta o quarant’anni. Forse possiamo immaginare un futuro migliore, un futuro di pace se non ci sarà un’altra grane guerra. La storia ce lo dirà.

In questo mondo “è tutto insieme”, tutte le voci, tutte le mete, tutti i desideri, tutti i dolori, tutta la gioia, tutto il bene e il male, tutto insieme è il mondo.

Ecco, questo è il mondo che vorrei dove l’uomo possa amare invece che ammazzare, possa cooperare invece che dominare, possa essere felice invece che piangere o sorridere perversamente.

All’uomo si lega il futuro del mondo e non basta insegnare che sono nati fratelli, non basta dirlo loro o scriverlo sui libri. Bisogna che la parola FRATELLO cresca in rilievo sul cuore di tutti cosicché lo scoprono essi stessi mentre vivono momento per momento, ogni giorno.

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Alcune poesie di Carmine dal carcere di Augusta

“Nostalgia”

Ho nostalgia delle carezze di mia madre,

dello sguardo severo e rassicurante di mio padre,

dell’abbraccio tenero e giocoso di mio figlio,

dell’amore smarrito nelle tenebre di grate in cui vivo,

degli affetti diluiti dal tempo,

delle amicizie rese impossibili dalla dura realtà

che tutto avvolge sfumando nella grigia nebbia del tempo.

Realtà che si nutre di ricordi,

anche solo immaginati,

ma così reali da essere dolorosi.

Nostalgia

del mio essere “umano”,

linfa vitale

forza della speranza.

…………………………………………………………………………….

Momenti perduti

Non avevi chiesto di venire al mondo

l’inesperienza ti diede la vita,

la stessa ti privò dell’amore.

In te, bimbo innocente, vedevo le catene.

Hai pagato colpe non tue.

Adesso, giovane uomo, provi rancore!

Non commettere questo errore.

Apri il tuo cuore, perdona chi non capiva,

vedrai non è tardi per volersi bene.

………………………………………………………………………………

Passato

Passato sofferente

ed a volte violento.

Passato pesante come

una catena che imprigiona

il corpo e la mente.

Passato da ricordare!

Per poter ricominciare!

Perdonare….e

farsi perdonare.

………………………………………………………………………………

Mia madre

Mia madre ha sessant’anni,

dolori l’hanno colpita

e lacrime ha versato,

ma nel suo cuore ancora

pensava al nostro dolore,

e per nascondere altre lacrime

ci sorrideva con amore,

se potessi, la mia vita

darei, per ridar vigore

alle sue membra  e

serenità al suo viso.

…………………………………………………………………………..

Poesie di Giuliano dal carcere di Augusta

META

In ogni sorta d’emozione trovo te

disperso tra i petali di una rosa trovo te,

tra le fiamme più ardenti trovo te

nel desiderio carnale e perso tra le onde dei tuoi capelli trovo te

mi sono perso amore mio…

ma solo per trovare te.

……………………………………………………………….

Vedo

L’ingannevole destino ci ha ab bracciati

E capire di più non abbiam potuto…

Due corpi in un sogno era solo un’illusione

Ho invocato te la mia divinità con la voce del cuore

Ho atteso sperando di condividere…

Una terra arsa si prospetta agli occhi del futuro, il mio.

………………………………………………………………………………………

Sole

Sole, mio unico dio,

trafiggi il mio corpo con i tuoi pugnali d’oro

e io sentirò l’odore della vita

fare l’amore col mio istinto

= sospiri e pensieri =

Cielo, se mi guardassi ora

Vedresti il tremolio delle mie membra

O vento, se mi ascoltassi ora

sentiresti le vibrazioni della mia passione.

Mio soffio caldo, regni ovunque

penetri tra i pori della mia pelle color bronzo

e con me, come io con te,

non smetteresti mai di fare l’amore.

…………………………………………………………………….

Silenzio

I miei occhi si perdono negli occhi tuoi,

nelle tue lacrime si confondo le mie;

parleremo al silenzio del nostro amore

nascondendoci io in te e tu in me

per sentirci come il cuore sente un’emozione.

……………………………………………………………………………..

PAROLE CRUDE DI UN PADRE TRISTE

Questa breve poesia, scritta in stretto dialetto catanese, che mi è arrivata dal carcere di Augusta, è dedicata da un padre, Vincenzo, a suo figlio. Per farvela apprezzare meglio pubblicherò, di seguito, la traduzione in italiano.

Vulissi vèniri p’èssiri ccu ttia

ppi nun ti lassari mai cchiù, pavassi

cu la me vita dda vita ca pessi

nun putènnula truvari senza tia.

Vorrei venire per stare con te

Per non lasciarti mai più, pagherei

Con la mia vita quella vita che ho perso

Non potendola trovare senza di te.

……………………………………………………….

17 febbraio 2010

Mi è appena arrivata questa lettera, la copio esattamente com’è scritta, commozione…

“Carissimi Nino e Daniela,

sono appena tornato dal cineforum e vi scrivo qualche rigo pr esprimervi il mio dolore per ciò che vi hanno fatto! Sono cose da pazzi, persone come voi che si prestano ad essere vicino a chi si trova rinchiuso vengono “MALTRATTATE”  per la loro disponibilità ad esternare i sentimenti di vera umanità che hanno nei confronti di tutti e specialmente in chi soffre…non ci sono parole! Voglio dirvi che mi dispiace veramente e che era bello incontrarvi ogni tanto nei corridoi e col vostro sorriso e simpatia mi davate forza e speranza che il mondo non è solo bruttura.

Persone come voi rendono migliore il genere umano.

Mi auguro di cuore che avrò presto il piacere di incontrarvi fuori da queste mura dove a parole sono tutti propensi a migliorare le cose, ma nei fatti sono repressivi e chiusi a tutto ciò che è nuovo e sconosciuto ai loro cuori…

Termino con un abbraccio di vero affetto ed amicizia”

 

3 risposte a “Augusta: voci dal carcere

  1. Sono un “seguace” di Beccaria: credo che il carcere debba essere un’esperienza rieducativa, e non punitiva e che la pena debba essere commisurata al reato. La lettura di queste lettere mi ha toccato il cuore. Tuttavia vorrei porvi una domanda per farvi riflettere: Cosa ne pensate del 41 bis? La mafia è una “piovra”, ma è anche un’idra con tante teste che, caduta una, ne forma altre dieci. Credo che, a questo male estremo, bisogna reagire in maniera efficace; ovviamente, tenendo conto dei dettami costituzionali. C’è chi in carcere ci finisce per un “incidente di percorso”, ma c’è anche chi soffoca il popolo con il racket delle estorsioni e fa saltare in aria automobili imbottite di esplosivo. Totò Riina? Mi dispiace. Sarò senza cuore, sarò giustizialista alla Di Pietro (scansatini! Mio Dio, no!) sarò un fascista, ma non riesco a considerarlo un essere umano. Saluti da un cittadino di Augusta e solidarietà ai detenuti della casa circondariale. Buone feste a tutti.

  2. la tua scelta di dare spazio e quindi voce a quanti soffrono chiusi dietro le sbarre,mentre il seme della loro redenzione sta sbocciando….merita un plauso Alle creature umane che aspettano un raggio di speranza per fiorire, dico che si, si dovrebbe dare un termine all’ergastolo e permettere di vivere ancora e su basi nuove, una nuova vita a fianco degli altri .La Prigione non deve essere Inferno ,ma solo Purgatorio ,per quelli che hanno infranto le leggi…Ma sono giudizi difficili da dare …Possiamo solo condividere il loro dolore e porgere la nsotra simpatia …Come fai tu ascoltandoli e offrendo quello che puoi !!! Brava Daniela !!! Se posso fare qualcosa anch’io ,dimmelo ! Un bacio a tutti

  3. MI PIACEREBBE VISITARE IL CARCERE, PERò NON CAPISCO XK OGNI VOLTA K LO DICO A QUALCUNO MI PRENDONO X PAZZO. COSA CI SAREBBE DI MALE SE VOLESSI ANDARE?
    CMQ SIGNORA DANIELA, BELLE PREGHIERE, MA COMU CI VENUNU TUTTI STI PAROLI? WOW, LEI SI K E UN MITO.
    E SONO FIERO DI ESSERE UN SUO FAN.
    BACI AFFETTUOSISSIMI DAL SUO ACCONCIATORE PERSONALE HIHIHIHIHI
    A MARTEDì

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