“Non si muore solamente”


di Tiziana Mignosa

Le persone non muoiono soltanto

quando smettono di contare giorni

a volte semplicemente vanno via

e altre il corpo lasciano a pascolare

mentre il canto della follia

la loro mente intona.

.

Quando della morte

uno dei suoi aspetti incontri

che sia quello ufficiale

o uno dei due non riconosciuto tale

è sempre uno strappo al cuore

che non può non fare male.

.

Tutti abbiamo sempre dato credito

al fatto che morire

come qui s’intende

sia il male più pesante

che mai possa capitare

a noi ancora uomini di così poca fede.

.

Eppure anche gli altri due

non posseggono buchi nelle tasche del tormento

quando nel secondo sai che c’è

ma è passo altrove e negazione di presenza

nel terzo invece gli occhi si colmano d’aspetto

ma il singhiozzo si fa pozza nel dolore dell’assenza.

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“L’amante segreta”


di Tiziana Mignosa

Inchiostro
che l’Amore fa col foglio
è voce interpretata
dall’essenza più vicina
a quella più lontana.
Delicata
a volte m’accarezza
foglia che dolcemente plana
o lucida follia
saetta che trapassa.
Delirio acuto
è grido che spacca il buio del silenzio
è Lei la padrona
Amante raffinata
che in mano ha preso la mia vita.
Vestita
di stracci e di mistero
o fluttuanti sete ricercate
l’impeto e la sua foga
mi tolgono il respiro
e nulla assai le importa
della mia stanchezza umana
quando anche nel cuore della notte
mi scuote
e presto mi fa sua.
Col fuoco dentro al bacio Lei mi desta
e Amore si fa Amore
fin quando poi
appagata
mi lascia finalmente riposare.
nota: sono al servizio della Poesia, la mia amante segreta, che anche nel cuore della notte mi viene a trovare.
Io solo un umile canale attraverso il quale Lei s’esprime.

“Accarezzando le mie malinconie”


di Tiziana Mignosa

Danzano i tratti morbidi

sui passi lenti

e intanto a te giungono

i miei sorrisi zuppi.

Realtà stagnanti

in questo pieno vuoto dove conto

i sì che di me ne fanno

il suo balocco.

E’ a passi nudi che sugli aguzzi cocci

si sgretola la personalità mondana

mentre raccolgo perle rosse e trasparenti

per farne collane saldaconto.

Frammenti di materia diventano fulgide fantasie

particelle colorate d’arcobaleno

aquiloni svolazzanti levitano festosi

sopra tutti i crucci.

E’ la tua mano che io cerco

invisibile conforto in questo tempo duro

mentre ancora a denti stretti

sorvolo il sottobosco della vita.

A te rivolgo la leggerezza del pensiero

quando controvento piango

imboccando la via che i piccoli

dedicano alla follia

quando nella notte del giorno pieno

mi accoccolo dentro il caldo abbraccio tuo

e chiudendo gli occhi stanchi

scivolo nel sogno che non conosce inganno.

“Liquirizia”


di Maria Grazia Vai


Sulle note di Joe Cocker “ Ain’t no sunshine “

Zuccherosi e bianchi seni
Soffici, come lune d’agosto sulla sabbia
E profumano di te
di mille gocciole
che incollano l’anima alla pelle

Zampillano nell’anfora dorata dei miei sensi

Origàmi e giochi d’acqua.
Sguardi ribelli, annaspano nel blu
che mi si scioglie dentro
Mani, a frugare il cuore
sporche di te, dei tuoi colori

Avorio e liquirizia, fruscio d’armonica e rossori

Indomita e silente pioggia
Palpito ambrato, che scivola dal muro
fino alle caviglie.
Di baci e graffi sulle gambe
D’amore morso a pelle

E per averti ancora
oscurerò i velluti
della mia ragione
Sarai follia che cola
dentro ogni fessura – in ogni mia stanza

E mille e più parole
luccicanti
avvolgerò d’organza e nastri viola
Imbratteranno l’aria
e il fiato tutto intorno

Di questa notte effimera, l’unica voce.

Follia


di Tiziana Mignosa
E’ follia pura
anche quel solo voler afferrare
poche parole sul vassoio della conoscenza
con chi della sembianza
è inconfutabile copia.
Esca
che rapisce e ti trascina
in quel vortice allo specchio
sussulto ed emozione
tra la pelle e il cuore.
Imprudente
come la falena colla fiamma
tra il desiderio e la certezza
aneli il tuffo
nella visione menzognera.
Follia
che t’induce a farneticare
che non sempre
la copia nella vita
segue l’originale
così che il sosia frettoloso
potrebbe beffare tempo e sentimento
e col traguardo tra le mani
spacciarsi
per l’originale.
Giustificazione
che la benda alla ragione mette
quando comprendi che l’incanto
non è per il bello che hai davanti
ma per chi non riesci a dimenticare.

“L’amore ha bisogno di follia”


di Tiziana Mignosa

Sono i pensieri

che l’alchimia fanno

quando dal silenzio sgorgano

zampilli colorati in mezzo ai sassi.

Di sorriso il gioco si fa laccio

inchiostro fresco e pagine ingiallite

brivido e timore

la porta accostano.

Malinconia

che di miraggio antico ti disseti ancora

umido il cuore

non vuole più sentire.

Ma l’Amore

ha bisogno di follia

e si desta solo

se la trova.

“Disagio mentale” dal carcere di Opera (MI)


di Alfredo Sole

Scontare una lunga carcerazione, più spesso di quanto si pensi, non solo non “rieduca” il detenuto ma lo scaraventa in una dimensione tra lucidità e follia. Un punto di non ritorno che trasforma un essere umano nell’ombra di se stesso.
Ogni mattina alle 7.30 inizia la giornata di disagio mentale di un nostro compagno: “Non sono infame! Non sono confidente! Non sono appuntato! Sono esaurito! Sono esaurito! Sono esaurito! Vattene diavolo maledetto! Vattene diavolo maledetto! Ammazzati tu! Ammazzati tu! Nel nome del padre del figlio e dello spirito santo, amen! Nel nome del padre del figlio e dello spirito santo, amen!”.
Queste sono le parole che grida dalla mattina alla sera. Più di dodici ore quasi ininterrottamente con delle pause che variano da 10 minuti a 30 al massimo. L’unica cura a sua disposizione è il continuo tentare di sederlo. Dico tentare perchè nulla di quello che gli danno gli fa più effetto. Il suo corpo è così assuefatto da non sentire i calmanti che gli somministrano.
La sua voce rimbomba continuamente nel corridoio. Ci rendiamo conto che è un disagio, che è una persona malata. Ma ognuno di noi è “esaurito” a modo suo e quel gridare continuo rompe quella voglia e bisogno di tranquillità e silenzio che ognuno di noi necessità. Nonostante tutto cerchiamo di non fare pesare a questa persona disagiata che il suo continuo gridare e a volte anche insultare i compagni, crea così tanto fastidio da maledire il momento in cui hanno deciso di assegnarlo in queste sezioni. Ma che fare? Non è abbastanza malato (a dire dei dottori) da poter essere ricoverato in un ospedale di igiene mentale, ma lo è abbastanza da non poter stare in una normale struttura carceraria, ma visto che non ci sono strutture adatte per lui, allora bisogna tenerlo in una normale struttura.
Ha scontato 20 anni dei suoi 30 di condanna. Non ha dato solo 20 di vita alla giustizia, ha dato anche ciò che non potrà mai più recuperare, la ragione! Cosa possono volere ancora da lui? La sua vita? A cosa potrebbe servire e a chi? Lo scontare di una condanna deve essere recepita da chi la sconta, ma nel momento in cui una persona come Leo (è così che si chiama), non percepisce più il suo trascorrere del tempo e quello che ancora ne dovrà trascorrere, a che serve perseverare ed ostinarsi nel tenerlo inchiodato a una realtà che lui non percepisce? 20 anni di carcere, se la sua mente avesse retto sarebbe già libero così come lo sono i suoi coimputati. Invece, eccolo! Con la sua lunga barba bianca, non curante del proprio corpo, immergersi giorno dopo giorno in una realtà onirica che lo trascina sempre più in un abisso senza ritorno.
Opera, per Leo, non è altro che l’ennesimo carcere che cercherà di ammansirlo con litri e litri di Valium, con pillole e punture. Dopodichè come tutti gli altri carceri dove è stato, verrà scaricato in un altro carcere ancora, dove tutto ricomincerà. Le sue grida di disagio rimbomberanno per tutta la sezione e dopo un po’, di nuovo in viaggio in un altro carcere…

da www.informacarcere.it

“Sinestesia”


di Francesco Sabatino

Le tue labbra

hanno il sapore

del paradiso.

La tua voce

profuma

di viole.

Il tuo profumo

risplende

di sole.

Tu sei sinestesia,

follìa

dei sensi,

passione

per il corpo,

estasi

e gioia

per l’anima mia.

Enrico IV sul trono di una “saggia” follia: Ugo Pagliai al teatro Ambasciatori di Catania


di Antonella Sturiale

Affrontare le tematiche pirandelliane non è cosa da poco se si pensa che la genialità del vincitore del nobel per la letteratura consiste nella dimostrazione tangibile che la follia dell’uomo sta proprio nella sua spesso inopportuna saggezza. La vita vista come un enorme palcoscenico in cui ognuno degli esseri viventi recita una parte assegnata. Non sappiamo bene chi fa da regista a tutto questo. Il destino, un essere Superiore o l’uomo stesso? Ognuno regista di se stesso.

Ma, all’Enrico IV che siamo andati a vedere presso il teatro Ambasciatori di Catania, la regia l’ha firmata Paolo Valerio e lo ha fatto nel modo più semplice possibile lasciando libero sfogo agli attori e libera interpretazione agli astanti.

La maestria dello spettacolo è riconducibile proprio alla tematica trattata: la follia dell’uomo, la sua perseveranza nell’ambiguo, nel gioco delle parti, nel suo “districarsi” per una migliore soluzioni ai problemi che via via si presentano durante il “duro mestiere di vivere”.

La produzione è del Teatro Stabile di Verona Fondazione Atlantide Gat II e del Teatro Stabile del veneto “Carlo Goldoni”. Le scene sono di Graziano Gregori, i costumi di Carla Teti, le musiche di Antonio di Pofi, le luci di Enrico Berardi.

Abbiamo notato fin dalle prime battute la differenza di recitazione tra i vari attori: i livelli erano nettamente diversi fino ad arrivare alla scuola raffinata, intensa, curatissima di Ugo Pagliai nella parte del protagonista. Un po’ sottotono, forse per la stanchezza, la compagna dell’attore, la “signorile” Paola Gassman nel ruolo della marchesa Matilde Spina.

La trama della commedia è molto singolare: un uomo cadendo da cavallo crede di essere il re Enrico IV di Germania e per vent’anni vive chiuso nella sua fantomatica villa attorniato da servitori fittizi e profittatori che lo assecondano nella sua voluta pazzia. Andrea De Manincor, Francesco Godina, Francesco Mei sono i giovani interpreti dei servitori, il loro consigliere Landolfo è caratterizzato da un deciso Roberto Vandelli. Nella contenuta e severa parte del maggiordomo Giovanni ritroviamo Teodoro Giuliani, bravo e dai movimenti militareschi che a tratti ci ricordano “ la creatura” nata dall’esperimento del dottor Frankenstein.

Dopo vent’anni il “Re” riceve la visita della donna di cui si era innamorato, Matilde Spina insieme al marito Belcredi, suo vecchio rivale in amore e della loro figlia Frida. Enrico, per i primi dodici anni veramente pazzo mentre durante gli otto rimanenti rinsavito ma ancora consapevolmente calato nel personaggio insano, accogli gli ospiti con i convenevoli richiesti dal rango. Un dottore accompagna i visitatori. E’ sua l’idea di mettere davanti ad Enrico IV madre e figlia, abbigliate con lo stesso vestito indossato durante la passata cavalcata per evidenziare il divenire del tempo e farlo così tornare alla realtà della vita finalmente sano.

Il ruolo del medico Dionisio Genoni è ricoperto dall’attore Roberto Petruzzelli bravo nel caratterizzare il personaggio con una raffica di termini tecnici attinenti al tema medico spesso incomprensibili ed ingarbugliati in modo esilarante. Alessandro Vantini è il barone Tito Belcredi, a nostro avviso interpretato con troppa, evidente aria di sufficienza.

La paurosa figlia Frida è la giovane Beatrice Zardini ed il fidanzato, il marchese Carlo di Nolli è l’adeguato, protettivo Giuseppe Lanino.

Durante il vivacissimo dialogo dei personaggi, la follia si converte diventando saggezza e quest’ultima ci appare inconsapevole follia.

Di un lungo giorno ancora…


di Angela Ragusa

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..e resterà solo il poeta
ad inebriarsi 
del profumo delle viole,
a contar le stelle 
ad una ad una…
a passeggiar tra nuvole
come tappeti d’ovatta…
Attirerà sorrisi e maldicenze,
consolerà d’amore 
cuori delusi…

Nel silenzio
di cupe cattedrali,
le sue parole 
innalzeranno preghiere…
…risuoneranno di un’eco
che tornerà in abbraccio
ad avvolgere 
perduti tramonti
nell’ultimo riposo…
Tingerà di follia 
le sue ore,
in mano il calice
di solitudine…

…tra ossimori e metafore
consumerà il suo tempo
ma rimanderà anche la morte
di un lungo giorno ancora.