Una barca per i disabili


di Daniela Domenici

Salire in barca con la sedia a rotelle, in Sicilia, ad Augusta, per l’esattezza : da oggi si può grazie a “La forza di Salvo Ravalli”.

Siamo stati l’estate scorsa a bordo de “Lo spirito di Stella”, il primo catamarano  a misura di disabile creato da Andrea Stella dopo l’incidente che lo ha reso paraplegico; ieri abbiamo conosciuto ad Augusta Salvo Ravalli.

E’ un signore di quasi 40 anni che quattro anni fa, per il solito banale incidente con la moto, ha perso l’uso delle gambe, è finito sulla sedia a rotelle. Dopo essere stato ricoverato in ospedali italiani ed esteri, al ritorno a casa, ad Augusta, ha trovato una sorpresa: suo padre, conoscendo il suo profondo amore per il mare, gli aveva regalato una barca e lui si è messo a immaginare e disegnare modifiche, insieme a Marcello Ferro, per renderla accessibile a chi, come lui, fosse “rotellato”, termine preso in prestito dal giornalista Franco Bomprezzi.

Salvo Ravalli ha trovato chi mettesse in opera le sue idee, la Effenautica di Francesco Ignoti e Filippo Saraceno, sempre ad Augusta, che in sei mesi di lavoro, dal dicembre 2009 all’aprile di quest’anno, hanno reso accessibile questa barca a cui Salvo ha voluto dare il nome di sua figlia: “Roberta”.

In questa sua “voglia di mare accessibile” Salvo è riuscito a trovare l’appoggio del Circolo Nautico San Gaetano, nel golfo Xifonio ad Augusta, dove “Roberta” è ormeggiata: può salire e scendere dal pontile alla barca e viceversa, non c’è alcuna barriera architettonica anche a livello di servizi igienici negli edifici del club.

In pratica, senza scendere in troppi dettagli tecnici, la barca è stata “allungata” a poppa di circa un metro per ospitare una piattaforma a cui si può accedere con la carrozzina, il motore fuoribordo può essere spostato con un “power lift” quando passano le carrozzine ed è stato calcolato che questo “passaggio” sia di 70 cm perché la loro larghezza è, in genere, di 60 cm, come ci ha detto Salvo. La poppa della barca può contenere fino a 4 carrozzine. Anche il sedile del guidatore è stato adattato alle esigenze di un “rotellato” con dei braccioli in modo da spostarne il baricentro ad hoc.

Salvo Ravalli ha trovato appoggio anche in una onlus di Augusta, Il Faro, presieduta dall’infaticabile Giovanni Spadaro, che ha preso a cuore questa iniziativa e ha creato, per iniziare, delle magliette con il logo “la forza di Salvo Ravalli”.

Ora il sogno di Salvo Ravalli è quello di mettere a disposizione dei disabili, sia psichici che fisici, di Augusta e dintorni la sua barca per delle passeggiate a mare come ha fatto, appunto, Andrea Stella col suo catamarano ma, per far questo, ha bisogno di sponsor che credano in questo suo progetto.

Sexy in carrozzina: parola di Antonietta Laterza


di Luca Baldazzi

Chi l’ha detto che una donna disabile non può essere bella e mostrarsi un po’? “Io mi sento una sirena postmoderna, solo che ho la carrozzina al posto della coda. Le barriere a volte ce le abbiamo dentro”. La filosofia di vita di una cantautrice

Antonietta Laterza

ROMA – “Chi sono io? Un’opera d’arte vivente. Un’installazione mobile, per di più. Sulla mia due ruote elettrica, vedi?”. E giù una risata che risuona forte sotto i portici. Quando gira in carrozzina per il centro di Bologna, Antonietta Laterza si diverte un mondo. “Soprattutto a vedere le facce della gente, se appena appena mi vesto un po’ scollata e appariscente. Niente di esagerato, eh? Non ho nemmeno la parrucca blu che uso spesso in scena. Eppure si voltano ancora a guardarmi: certe donne anziane di traverso, certe ragazze con gli occhi fuori dalle orbite, gli uomini poi… quelli sono sempre arrapati. Insomma, mi fanno sentire una Maddalena peccatrice. Ma perché, una donna in carrozzina non può essere sexy e mostrarsi un pochino? Le altre sì e io no? Ma andiamo!”.

Cantautrice (quattro dischi all’attivo), attrice (ha collaborato con Carlo Verdone nel film “Perdiamoci di vista”), performer teatrale e presidente dell’associazione Sirena project-arte e diversità, Antonietta Laterza è soprattutto se stessa. Su e giù dal palco, come direbbe Ligabue, la storia non cambia: è quella di una donna che non si fa imporre limiti dalla poliomielite che l’ha costretta sulla sedia a ruote fin dalla prima infanzia. La potete incontrare sul suo blog: www.antoniettalaterza.wordpress.com. Intanto si racconta.

Lei sembra giocare a ribaltare tutti gli stereotipi e i tabù sulla sensualità e la bellezza, sul corpo e sul sesso…
“Io mi sento un po’ una sirena postmoderna. Come le creature dei miti greci che seducevano i naviganti, e che danno il titolo anche al mio nuovo spettacolo. Solo che ho la carrozzina al posto della coda. Sono per metà miss Mondo e per metà mostro: voi, mi raccomando, guardate solo la metà di sopra. Lo dico scherzando ma lo penso davvero: ognuno di noi dovrebbe fare della propria vita un’opera d’arte. Perché la vita può essere difficile, bisogna prenderla con ironia e sapersi valorizzare. Le barriere ce le costruiscono intorno, ma tante volte ce le abbiamo dentro”.

E Antonietta Laterza le barriere le butta giù a colpi di provocazioni?
“Ma se parlo tanto di eros e sesso, amore e diversità, non è in modo gratuito. Rovescio gli schemi, ma lo faccio quando mi sento colpita da una valutazione discriminante. Perché, ripeto, una donna in carrozzina non può essere sexy? Io ho cercato mille sfide nella vita, ho sedotto uomini e ne sono stata sedotta, ho avuto una figlia, sono salita giovanissima su un palco per cercare di conquistare gli altri con la mia voce, una chitarra e una carrozzina. E poi di recente ho capito una cosa”.

Cioè, si spieghi meglio…
“Oggi la mia ‘diversità’ è diventata veramente un valore aggiunto. Perché la presunta perfezione fisica ora si raggiunge facilmente con la chirurgia estetica, che ci rende tutte uguali. Le donne si rifanno il seno per diventare maggiorate. Poi magari, come è successo a una mia amica, se lo fanno nuovamente ridurre perché altrimenti viene la scoliosi. Ma il fatto è che rincorrere la perfezione fisica è un comportamento infantile. Le donne diventano tutte fotocopie, ‘bellezze’ stereotipate modello veline. Ma è una bellezza artificiale, costruita. E finisce che l’uomo si stufa. Così la diversità assume valore: sto diventando una merce rara! Magari fra un po’ le ragazze faranno a gara per imbruttirsi ed essere diverse. Ma scherzi a parte, sono ottimista. Un po’ sta passando il messaggio che la diversità è preziosa. E questo vale per tutti, non solo per le persone disabili”.

Ma dove sta di casa la bellezza autentica, quella che non si rimedia dal chirurgo?
“Ti rispondo con un luogo comune, ma io l’ho sempre trovato giustissimo. Più una persona è positiva, spiritosa e bella dentro, più diventa affascinante. La bellezza interiore migliora lo sguardo e l’aspetto fisico. Alla fine è tutta una questione di personalità, e quella non si compra. Non puoi mica fare un intervento chirurgico alla personalità”.

E le donne di carattere e positività ne hanno da vendere…
“Io ho la fortuna di conoscere donne ‘toste’ che sanno ribaltare i conformismi e gli stereotipi. Come le mie amicheSyusy Blady e Jo Squillo, la scrittrice Caterina Cavina e tante altre. In generale, però, oggi le donne sono in fase di transizione. Siamo come crisalidi, non ancora farfalle: dobbiamo cambiare pelle per realizzarci. Sul piano della parità sociale sono stati fatti passi avanti, ma resta tanto da fare per vincere l’insicurezza, l’aggressività… abbiamo molte barriere mentali da superare”.

A proposito, e con le barriere fisiche e architettoniche per i disabili come andiamo?
“Maluccio. Ne abbattono di vecchie, e intanto ne costruiscono di nuove. Anche qui, sarebbe ora di cambiare tutti mentalità. Proprio l’altro giorno, in un teatro dov’ero in scena, non c’era il gabinetto attrezzato per i disabili. Risultato: mi sono tenuta la pipì dalle due di pomeriggio, quando abbiamo iniziato le prove, fino a tarda sera dopo la fine dello spettacolo. Bella, eh, la vita da diva”.

da http://www.superabile.it

Ricerca: comunicare e muoversi con il respiro


Un rivoluzionario dispositivo messo a punto dagli scienziati israeliani in Neurobiologia del Weizmann Institute può aiutare i disabili con sindrome di “locked-in”

Un dispositivo unico nel suo genere in grado di offrire alle persone con sindrome di ‘locked in’ la possibilità di comunicare con l’esterno e ai disabili di guidare con facilità la loro sedia a rotelle, senza nemmeno sfiorarla. È lo strumento messo a punto al dipartimento di Neurobiologia del Weizmann Institute (Israele), che funziona, a sorpresa, attraverso il respiro del paziente.

L’innovativo apparecchio identifica i cambiamenti della pressione dell’aria all’interno delle narici e li traduce in segnali elettrici. Con risultati sorprendenti: una paziente con sindrome di “locked-in”, cioè “imprigionata” nel proprio corpo a seguito di un ictus, senza possibilità di muoversi nè di comunicare, è riuscita a imparare come mettere in pratica il sistema in alcuni giorni e a mandare ai propri familiari il primo “messaggio” dopo sette mesi di oblio. Un altro paziente vittima di un incidente stradale ha persino affermato, utilizzando proprio il nuovo sistema, che esso è molto più facile da usare rispetto ad altri. Oltre alla comunicazione, il dispositivo potrà servire anche come meccanismo per il movimento delle sedie a rotelle: due inspirazioni significheranno “avanti”, mentre due espirazioni vorranno dire “indietro”, e così via. E dai test effettuati è emerso che una persona paralizzata dal collo in giù, in soli 10 minuti, diventa capace di guidare la sedia a rotelle tanto quanto una persona sana.

da http://www.vita.it

Birmingham: Italbasket da favola: centrate le semifinali mondiali


E’ finita 63 a 47 Italia-Canada, match che valeva l’ingresso in semifinale, ai mondiali di basket in carrozzina di Birmingham. “Eravamo in 12 in campo. Ha vinto questo gruppo meraviglioso”, dice a corto di fiato e scosso dall’emozione Galliano Marchionni, tra i protagonisti di questo successo storico

la gioia degli azzurri

ROMA – L’Italbasket centra un risultato storico ai mondiali di Birmingham: conclusa da pochi minuti la partita dei quarti contro il Canada, siamo ora in semifinale, cioè tra le quattro compagini più forti al mondo. D’accordo, siamo i Campioni d’Europa in carica, ma segnare prima al Giappone 70 punti contro 60, poi al Canada, squadra di altissimo lignaggio e seconda del suo girone, 63 punti a 47, è roba da mostri del canestro.

Quest’ultima impresa è stata da incorniciare, perché i ragazzi di Coach Malik Abes hanno tenuto la partita in pugno per tutte le frazioni, chiuse sempre in vantaggio (15-10;15-12;14-13;19-12), con il capitano, Matteo Cavagnini, vero trascinatore del gruppo e autore di 20 punti, seguito da Andrea Pellegrini, con 11, e Fabio Riamondi, 10. Così commenta quest’ultimo, a corto di fiato e travolto dall’emozione: “Avrebbero dovuto essere 7 in campo, oggi, i canadesi per batterci. Abbiamo giocato bene tutti, chiudendo in vantaggio tutti e quattro i tempi. Eravamo motivati, carichi. Abbiamo perso tante semifinali per poco, pochissimi punti. Una buona volta doveva girare bene la sorte! Gli avversari? A un certo punto i canadesi avevano fretta, hanno tirato soprattutto da 3 per recuperare, ma più di tanto non hanno potuto”.

“Questa è una vittoria che parte dal gruppo, un gruppo meraviglioso- aggiunge Galliano Marchionni-. In campo, contro il Canada, eravamo in 12, con noi c’era tutta la panchina. Non siamo mai scesi d’intensità. Non so descrivertela questa emozione che provo…”. E chiude commosso il presidenteRemo Breda: “Grandissimi tutti, straordinari. Il risultato di oggi è storico, mai l’Italia del basket in carrozzina era arrivata così in alto. Far fare al Canada soli 47 punti non è da tutti. La difesa è stata fantastica: dura, tenace. Se mi avessero detto che avremmo fatto +16 al Canada non ci avrei mai creduto”.

da http://www.superabile.it

Mondiali di basket in carrozzina: l’Italia ok, contro la Polonia all’overtime


Ci sono voluti i tempi supplementari, ma le vittorie così, giunte sul filo di lana, emozionano ancora di più. L’Italia, impegnata giovedì nel primo match mondiale, sbriga la pratica Polonia imponendosi 74 a 69. “Abbiamo invertito e sconfessato la storia”, dice emozionatissimo Remo Breda, presidente dellapallacanestro paralimpica

giocatore di basket in carrozzina

ROMA – Buona la prima, anzi ottima, per come è arrivata la vittoria, in modo rocambolesco ed emozionante, per gli azzurri del basket in carrozzina impegnati ai Mondiali di basket in carrozzina di Birmingham.

C’era la Polonia giovedì in campo, per il match inaugurale dell’Italia a questi Mondiali britannici: una squadra che ha tenuto il risultato in equilibrio dall’inizio e per tutto l’incontro (19-18;13-18;13-13;22-18). E’ successo che, all’ultimo minuto dei tempi regolamentari, e fino a due secondi dal fischio di chiusura, la Polonia era in vantaggio di due punti (67-65) e già sentiva la vittoria in pugno. Quando, proprio sulla sirena, all’ultimo secondo, l’Italia va al canestro che ristabilisce la parità e manda tutti all’overtime. Lì, galvanizzati ed euforici, gli azzurri siglano il 7-2, chiudendo i giochi 74 a 69. Miglior realizzatore, tra i ragazzi di Malik Abes, Galliano Marchionni, asso della Polisportiva Giulianova Amicacci, e tra i più giovani in campo (classe 1981): suoi 28 punti in partita, oltre che 8 assist.

“Fantastico, una grandissima emozione – dice, raggiunto al telefono, Remo Breda, presidente del Dip. Pallacanestro del CIP-, quando Matteo Cavagnini, quando eravamo sotto di due punti, allo scadere della partita, ha fatto centro, poi ai tempi supplementari non c’è stata partita, abbiamo dominato. Ha dimostrato una grande tenuta psicologica, Matteo ma la squadra intera, hanno dimostrato di crederci”. Non era mai successo, viene da dire, in genere siamo sfortunati, in chiusura di partita. “E’ vero – continua Breda-, in qualche modo abbiamo sconfessato e invertito la storia, perché tradizionalmente siamo quelli che all’ultimo secondo lo prendono il punto, non lo segnano. Tutta la partita si è giocata punto a punto, con un vantaggio massimo per entrambi di+4, quindi piuttosto equilibrata e combattutissima. Sono arrivati stanchi, la sera: la giornata è stata davvero impegnativa”. (A cura del Cip)

Per collegarsi con la WEBCAM dei Mondiali:
http://media.2010wwbc.co.uk/pages/live-video-court-1

da http://www.superabile.it

Storia di un check in e di una sedia a rotelle


di Roberto Puglisi

Gentile Signorina del chek-in del volo Alitalia Palermo-Roma.
Si sa, i disabili sovente sono fastidiosi con quella pretesa di essere trattati come tutti gli altri. Ingombrano, non cedono il passo. Anzi, la rotella, se sono in carrozzina. Ed è giusto rimbrottarli all’occorrenza. Che stiano al loro posto una buona volta.
Perciò il sottoscritto approva con ampi cenni del capo il suo operato di oggi pomeriggio. Il petulante disabile in questione si è messo in fila con una certa arroganza (la sedia a rotelle è già un esibito elemento di arroganza) per fare il suo biglietto e decollare. Lei, quando è stato il turno del tizio, notando il bagaglio in eccedenza, ha giustamente protestato: non può partire. E il disabile, con finta aria umile e interrogativa: perché? E lei: c’è troppo bagaglio. Controrisposta polemica: pago l’eccedenza, va bene. Era finita lì? Neanche per sogno. E’ successo un altro inghippo. Lei, Signorina, a quel punto correttamente agitata, ha intimato alla collega lì vicino una cosa come: pensa tu ai passeggeri. Io qui ho una sedia a rotelle. Ora, chi scrive non è sicuro del resto della frase, tranne che per quel particolare. Ho qui una sedia a rotelle. Lo ha detto Lei.
Vede, Gentile Signorina del chek-in del volo Alitalia Palermo-Roma, i disabili sono seccanti. Però su una circostanza forse Lei  dovrebbe riflettere. Non sono attrezzi, non sono sedie a rotelle. Sono persone. “Stanno” sulla sedia a rotelle. La carrozzina è una parte. Il disabile, il portatore di handicap, il diversamente abile, ha occhi, mani e gambe purtroppo inerti. La sedia a rotelle ha appunto le rotelle. Il disabile ama, soffre, guarda, respira, mangia il gelato, se può. Una sedia a rotelle, no. Comprende la differenza?
Certo, Lei ha altre faccende a cui pensare. Mica la fregano a Lei. Sarà per questo che ha chiesto al disabile (sempre lui)  per tre volte se era in grado di muovere qualche passo, nonostante la presenza di una carrozzina e di un certificato medico?
Però ha ragione, Signorina. Sì, ha ragione lei. Il suo è un lavoro difficile, pieno di trabocchetti. E quando arriva una sedia a rotelle non è semplice, no. Nel manuale delle Signorine non c’è nulla a riguardo. Non è facile capire con precisione dove finiscono le rotelle. E dove cominciano gli occhi.

da www.livesicilia.it

Voglio andare a Madrid, ma…


di Franco Bomprezzi

Ma sembra proprio che al mitico stadio Santiago Bernabeu – dove si giocherà il 22 maggio la finale di Champions League tra Inter e Bayern Monaco – i posti accessibili siano pochi, scomodi e addirittura pericolosi da raggiungere. In barba alla Convenzione ONU sui Diritti delle Persone con Disabilità, che la Spagna è stata tra i primi Paesi europei a ratificare…

Lo stadio Santiago Bernabeu di MadridNon ci volevo credere, e invece è vero. Il glorioso, monumentale stadio di Madrid, il Santiago Bernabeu, che ospiterà il 22 maggio prossimo la finale di Champions League fra Bayern Monaco e Internazionale Milano, è assai scarsamente accessibile alle persone con disabilità. Lo deduco da un paio di link trovati in questi giorni di assidua ricerca di informazioni e di passaparola su Facebook [i due link cui si fa riferimento sono raggiungibili cliccando qui e qui, N.d.R.]. I posti accessibili sono pochi, scomodi e addirittura pericolosi da raggiungere.
Inutile dire che io – da tifoso dell’Inter e da persona disabile incosciente – vorrei proprio andarci, a Madrid, per vivere assieme agli altri tifosi nerazzurri un momento “epico” della nostra storia calcistica che arriva, a dire il vero, con qualche decennio di  distanza dall’ultima occasione analoga (ero davvero giovane, allora…). Non nego dunque il “conflitto di interessi”, ma so bene che nel nostro Paese questo non è un gran problema, e forse neanche in Spagna.
Assai più grave è che la UEFA [la Federazione Europea del Calcio, N.d.R.] decida di assegnare la finale di Champions League a una città senza inserire – lo deduco, non ne sono sicuro, ma a questo punto mi pare assai probabile – fra i requisiti essenziali la piena e adeguata accessibilità dell’impianto a tutti. Il risultato è che entrambe le tifoserie – bavaresi e milanesi – si vedono negato un diritto sancito dalla Convenzione ONU sui Diritti delle Persone con Disabilità all’articolo 30 (Partecipazione alla vita culturale e ricreativa, agli svaghi ed allo sport). Inutile, ma mica tanto, ricordare che la Spagna è fra i primi Paesi ad avere ratificato la Convenzione e in effetti molte cose nel Paese iberico funzionano bene, stando alle informazioni in possesso delle associazioni delle persone con disabilità. Ma qui davvero non ci siamo.

Io vado spesso a San Siro, e anche se contesto la filosofia dell’accessibilità di questo come di tutti gli altri stadi (parliamo comunque di spazi “dedicati”, il che impedisce la libera scelta del posto, della visuale, delle amicizie, e così via…), bisogna pur dire che Inter e Milan consentono a moltissime persone con disabilità di accedere a spazi dignitosi, con ottima visibilità, in posizione centrale, tribuna arancio e anche gratis (cosa sulla quale dissento da sempre: poco, ma farei pagare, in modo da essere sicuri che si va allo stadio per passione… autentica!).
Pensavo dunque che la mia balzana idea di partire e andare in auto a Madrid, via Barcellona (per passare dal luogo del delitto, ovviamente…), sarebbe stata fattibile, se non addirittura banale. E invece così non sembra. Presto per rinunciare, anzi, cerco una mobilitazione “bipartisan” (Inter e Bayern), con l’aggiunta di spiriti liberi di ogni bandiera, perché sono convinto che dietro la banalità di un diritto apparentemente minore (ovviamente non paragonabile ai servizi essenziali alla persona) si celi un sentire comune, una bandiera che tutti comprendono e possono sventolare con foga. Non chiedo di tifare Inter, ci mancherebbe, ma semplicemente di garantire a me, e a tutti i tifosi con disabilità, di poter scegliere se andare o meno a vivere un grande evento sportivo, in un tempio del calcio moderno.
Tutto qui. Ce la faremo tutti insieme a vincere questa piccola grande battaglia? Ci proviamo.

da www.superando.it

Atletica, mezza maratona di Napoli: disabile fa 21 km spinto da atleta


 Ha commosso tutti sul traguardo della maratona internazionale ‘Citta’ di Napoli-Trofeo Banco di Napolì, la gara svoltasi questa mattina con arrivo e partenza in piazza del Plebiscito.

 E’ la storia di Alessandro Barba, che a 29 anni ha fatto un esordio davvero particolare sulla mezza maratona (21,097 km): per 21 chilometri è stato spinto dal suo allenatore e così anche lui ha potuto tagliare il traguardo. Un desiderio che aveva da tempo quello di poter partecipare ad una prova tanto importante e mai realizzato fino ad oggi. Mai realizzato perché Alessandro, praticamente dalla nascita, vive su una sedia a rotelle a causa di una grave malformazione.

 Oggi ha potuto coronare il suo sogno grazie a Mario De Maio, atleta e allenatore che ha accolto con entusiasmo l’idea di spingere la carrozzina sulla quale Alessandro Barba vive, dal primo fino all’ultimo metro della mezza maratona: 21,097 km accompagnati dal tifo degli altri podisti e dal sostegno delle persone incontrate per strada.

 Sul traguardo Alessandro è stato portato a spalle da Mario De Maio e da altri atleti. “E’ stata una giornata bellissima – ha detto Alessandro – e devo ringraziare Mario per quanto fatto”.

 Con le lacrime agi occhi Mario De Maio: “Ci sono stati momenti duri, in cui temevo di non riuscire a completare l’opera. Ma a darmi forza è stata la gente e lo stesso Alessandro. Il suo sorriso, il suo continuo incitamento ci hanno spinti fino al traguardo.

 Oggi Alessandro Barba ha coronato un sogno grazie allo sport: ai nostri amministratori, dunque, dico di investire di più nell’attività sportiva, perché così rendono felici e forti chi è meno fortunato”.

 da www.blitzquotidiano.it

Disabile eletta in Consiglio regionale. E il «Palazzo» deve adeguarsi


di Maria Giovanna Faiella

Con la mia inseparabile carrozzella entrerò a Palazzo e saranno costretti ad allargare ascensori e corridoi». Era solo una provocazione politica in campagna elettorale quella di Anna Petrone? Non si direbbe proprio; qualche ostacolo, infatti, c’è davvero alla palazzina F13 del centro direzionale di Napoli, sede istituzionale del Consiglio regionale della Campania. E, per consentire alla neo consigliera in carrozzina di esercitare le sue funzioni, il «palazzo» dovrà adeguarsi, abbattendo le barriere architettoniche ancora esistenti.

STANZE DEL POTERE INACCESSIBILI- «Nelle stanze del potere non sono abituati a occuparsi di noi disabili, né a confrontarsi coi nostri problemi – dice Petrone, consigliera nazionale dell’Unione italiana per la lotta alla distrofia muscolare e presidente dalla Uildm di Salerno -. Di solito i politici ascoltano i nostri bisogni, ma non danno risposte adeguate». Da sempre in prima fila contro le barriere architettoniche che limitano la vita di chi, come lei, è su una sedia a due ruote, la neo eletta porta ora le sue battaglie in Consiglio. «Un dirigente della regione mi ha assicurato che stanno già provvedendo ad adeguare i servizi igienici e a rimuovere le sedie da cinema nell’aula consiliare», afferma.

LAVORI IN TUTTA FRETTA – Sono dunque cominciati in tutta fretta i lavori. «Il nuovo Consiglio dovrebbe insediarsi ai primi di maggio: per quella data dovrebbero aver finito», dice fiduciosa. Nessun ostacolo, invece, all’ingresso dell’edificio che ospita il Consiglio. «Nella palazzina lavora già un disabile – dicono alla regione Campania -. Arriva ogni mattina in macchina davanti all’entrata principale, priva di gradini; prende l’ascensore e raggiunge il suo ufficio». L’ ufficio di Anna, invece, sarà nella palazzina F10, insieme a quello del suo gruppo politico, il partito democratico. «Mi hanno assicurato che lì non dovrei avere problemi a muovermi sulla mia sedia, anche il bagno dovrebbe essere accessibile».

da www.corriere.it

Federica Matulli: campionessa italiana di fioretto e spada su wheelchair


di Chiara Panzeri

Federica Matulli, 28 anni, è una dei 12 atleti disabili premiati a Bologna nella sala del Consiglio provinciale. Alle spalle un passato di vittorie nel tennis, oggi campionessa italiana di fioretto e spada agli assoluti paralimpici di Pozzuoli

Federica Matulli

BOLOGNA – Si fatica a crederle. Federica Matulli, 28 anni, disabile, racconta che si dedica alla scherma da un anno soltanto, e che si è imbattuta in questo sport per un puro caso: “Non ho scelto la scherma, è la scherma che ha scelto me. Ho incontrato al supermercato un’amica, la mia attuale allenatrice, che mi ha proposto di fare una prova in palestra. E così mi sono infatuata…”. Una passione che Federica, che vive a Casalecchio di Reno, nella cintura bolognese, coltiva con entusiasmo. La scherma le piace perché fa delle armi un utilizzo nobile, basato essenzialmente sulla difesa: come campionessa italiana di spada e fioretto, spiega che si tratta di due discipline molto diverse, la prima richiede soprattutto forza fisica, mentre la seconda “è un fatto di testa, nel fioretto devi possedere una buona tecnica che ti permetta poi di sviluppare una tattica vincente”.

Una competenza che la campionessa bolognese ha evidentemente sviluppato presto, mentre si prepara per un nuovo trionfo a fine gennaio, in Germania, stavolta però con la maglia azzurra: “La chiamata in Nazionale è stata una grande sorpresa – continua la giovane che non ha disdegnato i tanti flash di amici e cronisti – e non la vivo assolutamente come un primo traguardo. Anzi, per me si tratta di un punto d’inizio, uno stimolo a fare ancora di più”. E alla domanda se punti alle Paralimpiadi, sorride spavalda con un “sì!” che non lascia alcun dubbio su come andrà a finire.

Quando lascia il fioretto, come vive la campionessa la sua disabilità? Federica ama viaggiare, cosa non sempre facile quando si tratta di farlo su una sedia a ruote. Parlando con lei di barriere architettoniche e di accessibilità, emerge un quadro della situazione bolognese tutto sommato positivo: “A livello di strutture Bologna è molto vivibile, io per esempio mi muovo utilizzando anche mezzi pubblici come gli autobus. Ci sono altre città come Milano, in cui una volta uscita dalla stazione, se sono da sola, devo inevitabilmente prendere un taxi, non ho altre possibilità”. Ma restano ancora tanti i problemi di risolvere, e forse è anche per questo che Federica nel Duemila ha fondato Apre (Associazione paraplegici Emilia-Romagna): “A livello politico e culturale siamo molto indietro, si parla ancora di disabili, quando si dovrebbe parlare semplicemente di persone”.

da www.superabile.it