Sexy in carrozzina: parola di Antonietta Laterza


di Luca Baldazzi

Chi l’ha detto che una donna disabile non può essere bella e mostrarsi un po’? “Io mi sento una sirena postmoderna, solo che ho la carrozzina al posto della coda. Le barriere a volte ce le abbiamo dentro”. La filosofia di vita di una cantautrice

Antonietta Laterza

ROMA – “Chi sono io? Un’opera d’arte vivente. Un’installazione mobile, per di più. Sulla mia due ruote elettrica, vedi?”. E giù una risata che risuona forte sotto i portici. Quando gira in carrozzina per il centro di Bologna, Antonietta Laterza si diverte un mondo. “Soprattutto a vedere le facce della gente, se appena appena mi vesto un po’ scollata e appariscente. Niente di esagerato, eh? Non ho nemmeno la parrucca blu che uso spesso in scena. Eppure si voltano ancora a guardarmi: certe donne anziane di traverso, certe ragazze con gli occhi fuori dalle orbite, gli uomini poi… quelli sono sempre arrapati. Insomma, mi fanno sentire una Maddalena peccatrice. Ma perché, una donna in carrozzina non può essere sexy e mostrarsi un pochino? Le altre sì e io no? Ma andiamo!”.

Cantautrice (quattro dischi all’attivo), attrice (ha collaborato con Carlo Verdone nel film “Perdiamoci di vista”), performer teatrale e presidente dell’associazione Sirena project-arte e diversità, Antonietta Laterza è soprattutto se stessa. Su e giù dal palco, come direbbe Ligabue, la storia non cambia: è quella di una donna che non si fa imporre limiti dalla poliomielite che l’ha costretta sulla sedia a ruote fin dalla prima infanzia. La potete incontrare sul suo blog: www.antoniettalaterza.wordpress.com. Intanto si racconta.

Lei sembra giocare a ribaltare tutti gli stereotipi e i tabù sulla sensualità e la bellezza, sul corpo e sul sesso…
“Io mi sento un po’ una sirena postmoderna. Come le creature dei miti greci che seducevano i naviganti, e che danno il titolo anche al mio nuovo spettacolo. Solo che ho la carrozzina al posto della coda. Sono per metà miss Mondo e per metà mostro: voi, mi raccomando, guardate solo la metà di sopra. Lo dico scherzando ma lo penso davvero: ognuno di noi dovrebbe fare della propria vita un’opera d’arte. Perché la vita può essere difficile, bisogna prenderla con ironia e sapersi valorizzare. Le barriere ce le costruiscono intorno, ma tante volte ce le abbiamo dentro”.

E Antonietta Laterza le barriere le butta giù a colpi di provocazioni?
“Ma se parlo tanto di eros e sesso, amore e diversità, non è in modo gratuito. Rovescio gli schemi, ma lo faccio quando mi sento colpita da una valutazione discriminante. Perché, ripeto, una donna in carrozzina non può essere sexy? Io ho cercato mille sfide nella vita, ho sedotto uomini e ne sono stata sedotta, ho avuto una figlia, sono salita giovanissima su un palco per cercare di conquistare gli altri con la mia voce, una chitarra e una carrozzina. E poi di recente ho capito una cosa”.

Cioè, si spieghi meglio…
“Oggi la mia ‘diversità’ è diventata veramente un valore aggiunto. Perché la presunta perfezione fisica ora si raggiunge facilmente con la chirurgia estetica, che ci rende tutte uguali. Le donne si rifanno il seno per diventare maggiorate. Poi magari, come è successo a una mia amica, se lo fanno nuovamente ridurre perché altrimenti viene la scoliosi. Ma il fatto è che rincorrere la perfezione fisica è un comportamento infantile. Le donne diventano tutte fotocopie, ‘bellezze’ stereotipate modello veline. Ma è una bellezza artificiale, costruita. E finisce che l’uomo si stufa. Così la diversità assume valore: sto diventando una merce rara! Magari fra un po’ le ragazze faranno a gara per imbruttirsi ed essere diverse. Ma scherzi a parte, sono ottimista. Un po’ sta passando il messaggio che la diversità è preziosa. E questo vale per tutti, non solo per le persone disabili”.

Ma dove sta di casa la bellezza autentica, quella che non si rimedia dal chirurgo?
“Ti rispondo con un luogo comune, ma io l’ho sempre trovato giustissimo. Più una persona è positiva, spiritosa e bella dentro, più diventa affascinante. La bellezza interiore migliora lo sguardo e l’aspetto fisico. Alla fine è tutta una questione di personalità, e quella non si compra. Non puoi mica fare un intervento chirurgico alla personalità”.

E le donne di carattere e positività ne hanno da vendere…
“Io ho la fortuna di conoscere donne ‘toste’ che sanno ribaltare i conformismi e gli stereotipi. Come le mie amicheSyusy Blady e Jo Squillo, la scrittrice Caterina Cavina e tante altre. In generale, però, oggi le donne sono in fase di transizione. Siamo come crisalidi, non ancora farfalle: dobbiamo cambiare pelle per realizzarci. Sul piano della parità sociale sono stati fatti passi avanti, ma resta tanto da fare per vincere l’insicurezza, l’aggressività… abbiamo molte barriere mentali da superare”.

A proposito, e con le barriere fisiche e architettoniche per i disabili come andiamo?
“Maluccio. Ne abbattono di vecchie, e intanto ne costruiscono di nuove. Anche qui, sarebbe ora di cambiare tutti mentalità. Proprio l’altro giorno, in un teatro dov’ero in scena, non c’era il gabinetto attrezzato per i disabili. Risultato: mi sono tenuta la pipì dalle due di pomeriggio, quando abbiamo iniziato le prove, fino a tarda sera dopo la fine dello spettacolo. Bella, eh, la vita da diva”.

da http://www.superabile.it

Ricerca: comunicare e muoversi con il respiro


Un rivoluzionario dispositivo messo a punto dagli scienziati israeliani in Neurobiologia del Weizmann Institute può aiutare i disabili con sindrome di “locked-in”

Un dispositivo unico nel suo genere in grado di offrire alle persone con sindrome di ‘locked in’ la possibilità di comunicare con l’esterno e ai disabili di guidare con facilità la loro sedia a rotelle, senza nemmeno sfiorarla. È lo strumento messo a punto al dipartimento di Neurobiologia del Weizmann Institute (Israele), che funziona, a sorpresa, attraverso il respiro del paziente.

L’innovativo apparecchio identifica i cambiamenti della pressione dell’aria all’interno delle narici e li traduce in segnali elettrici. Con risultati sorprendenti: una paziente con sindrome di “locked-in”, cioè “imprigionata” nel proprio corpo a seguito di un ictus, senza possibilità di muoversi nè di comunicare, è riuscita a imparare come mettere in pratica il sistema in alcuni giorni e a mandare ai propri familiari il primo “messaggio” dopo sette mesi di oblio. Un altro paziente vittima di un incidente stradale ha persino affermato, utilizzando proprio il nuovo sistema, che esso è molto più facile da usare rispetto ad altri. Oltre alla comunicazione, il dispositivo potrà servire anche come meccanismo per il movimento delle sedie a rotelle: due inspirazioni significheranno “avanti”, mentre due espirazioni vorranno dire “indietro”, e così via. E dai test effettuati è emerso che una persona paralizzata dal collo in giù, in soli 10 minuti, diventa capace di guidare la sedia a rotelle tanto quanto una persona sana.

da http://www.vita.it

Storia di un check in e di una sedia a rotelle


di Roberto Puglisi

Gentile Signorina del chek-in del volo Alitalia Palermo-Roma.
Si sa, i disabili sovente sono fastidiosi con quella pretesa di essere trattati come tutti gli altri. Ingombrano, non cedono il passo. Anzi, la rotella, se sono in carrozzina. Ed è giusto rimbrottarli all’occorrenza. Che stiano al loro posto una buona volta.
Perciò il sottoscritto approva con ampi cenni del capo il suo operato di oggi pomeriggio. Il petulante disabile in questione si è messo in fila con una certa arroganza (la sedia a rotelle è già un esibito elemento di arroganza) per fare il suo biglietto e decollare. Lei, quando è stato il turno del tizio, notando il bagaglio in eccedenza, ha giustamente protestato: non può partire. E il disabile, con finta aria umile e interrogativa: perché? E lei: c’è troppo bagaglio. Controrisposta polemica: pago l’eccedenza, va bene. Era finita lì? Neanche per sogno. E’ successo un altro inghippo. Lei, Signorina, a quel punto correttamente agitata, ha intimato alla collega lì vicino una cosa come: pensa tu ai passeggeri. Io qui ho una sedia a rotelle. Ora, chi scrive non è sicuro del resto della frase, tranne che per quel particolare. Ho qui una sedia a rotelle. Lo ha detto Lei.
Vede, Gentile Signorina del chek-in del volo Alitalia Palermo-Roma, i disabili sono seccanti. Però su una circostanza forse Lei  dovrebbe riflettere. Non sono attrezzi, non sono sedie a rotelle. Sono persone. “Stanno” sulla sedia a rotelle. La carrozzina è una parte. Il disabile, il portatore di handicap, il diversamente abile, ha occhi, mani e gambe purtroppo inerti. La sedia a rotelle ha appunto le rotelle. Il disabile ama, soffre, guarda, respira, mangia il gelato, se può. Una sedia a rotelle, no. Comprende la differenza?
Certo, Lei ha altre faccende a cui pensare. Mica la fregano a Lei. Sarà per questo che ha chiesto al disabile (sempre lui)  per tre volte se era in grado di muovere qualche passo, nonostante la presenza di una carrozzina e di un certificato medico?
Però ha ragione, Signorina. Sì, ha ragione lei. Il suo è un lavoro difficile, pieno di trabocchetti. E quando arriva una sedia a rotelle non è semplice, no. Nel manuale delle Signorine non c’è nulla a riguardo. Non è facile capire con precisione dove finiscono le rotelle. E dove cominciano gli occhi.

da www.livesicilia.it

Atletica, mezza maratona di Napoli: disabile fa 21 km spinto da atleta


 Ha commosso tutti sul traguardo della maratona internazionale ‘Citta’ di Napoli-Trofeo Banco di Napolì, la gara svoltasi questa mattina con arrivo e partenza in piazza del Plebiscito.

 E’ la storia di Alessandro Barba, che a 29 anni ha fatto un esordio davvero particolare sulla mezza maratona (21,097 km): per 21 chilometri è stato spinto dal suo allenatore e così anche lui ha potuto tagliare il traguardo. Un desiderio che aveva da tempo quello di poter partecipare ad una prova tanto importante e mai realizzato fino ad oggi. Mai realizzato perché Alessandro, praticamente dalla nascita, vive su una sedia a rotelle a causa di una grave malformazione.

 Oggi ha potuto coronare il suo sogno grazie a Mario De Maio, atleta e allenatore che ha accolto con entusiasmo l’idea di spingere la carrozzina sulla quale Alessandro Barba vive, dal primo fino all’ultimo metro della mezza maratona: 21,097 km accompagnati dal tifo degli altri podisti e dal sostegno delle persone incontrate per strada.

 Sul traguardo Alessandro è stato portato a spalle da Mario De Maio e da altri atleti. “E’ stata una giornata bellissima – ha detto Alessandro – e devo ringraziare Mario per quanto fatto”.

 Con le lacrime agi occhi Mario De Maio: “Ci sono stati momenti duri, in cui temevo di non riuscire a completare l’opera. Ma a darmi forza è stata la gente e lo stesso Alessandro. Il suo sorriso, il suo continuo incitamento ci hanno spinti fino al traguardo.

 Oggi Alessandro Barba ha coronato un sogno grazie allo sport: ai nostri amministratori, dunque, dico di investire di più nell’attività sportiva, perché così rendono felici e forti chi è meno fortunato”.

 da www.blitzquotidiano.it

Federica Matulli: campionessa italiana di fioretto e spada su wheelchair


di Chiara Panzeri

Federica Matulli, 28 anni, è una dei 12 atleti disabili premiati a Bologna nella sala del Consiglio provinciale. Alle spalle un passato di vittorie nel tennis, oggi campionessa italiana di fioretto e spada agli assoluti paralimpici di Pozzuoli

Federica Matulli

BOLOGNA – Si fatica a crederle. Federica Matulli, 28 anni, disabile, racconta che si dedica alla scherma da un anno soltanto, e che si è imbattuta in questo sport per un puro caso: “Non ho scelto la scherma, è la scherma che ha scelto me. Ho incontrato al supermercato un’amica, la mia attuale allenatrice, che mi ha proposto di fare una prova in palestra. E così mi sono infatuata…”. Una passione che Federica, che vive a Casalecchio di Reno, nella cintura bolognese, coltiva con entusiasmo. La scherma le piace perché fa delle armi un utilizzo nobile, basato essenzialmente sulla difesa: come campionessa italiana di spada e fioretto, spiega che si tratta di due discipline molto diverse, la prima richiede soprattutto forza fisica, mentre la seconda “è un fatto di testa, nel fioretto devi possedere una buona tecnica che ti permetta poi di sviluppare una tattica vincente”.

Una competenza che la campionessa bolognese ha evidentemente sviluppato presto, mentre si prepara per un nuovo trionfo a fine gennaio, in Germania, stavolta però con la maglia azzurra: “La chiamata in Nazionale è stata una grande sorpresa – continua la giovane che non ha disdegnato i tanti flash di amici e cronisti – e non la vivo assolutamente come un primo traguardo. Anzi, per me si tratta di un punto d’inizio, uno stimolo a fare ancora di più”. E alla domanda se punti alle Paralimpiadi, sorride spavalda con un “sì!” che non lascia alcun dubbio su come andrà a finire.

Quando lascia il fioretto, come vive la campionessa la sua disabilità? Federica ama viaggiare, cosa non sempre facile quando si tratta di farlo su una sedia a ruote. Parlando con lei di barriere architettoniche e di accessibilità, emerge un quadro della situazione bolognese tutto sommato positivo: “A livello di strutture Bologna è molto vivibile, io per esempio mi muovo utilizzando anche mezzi pubblici come gli autobus. Ci sono altre città come Milano, in cui una volta uscita dalla stazione, se sono da sola, devo inevitabilmente prendere un taxi, non ho altre possibilità”. Ma restano ancora tanti i problemi di risolvere, e forse è anche per questo che Federica nel Duemila ha fondato Apre (Associazione paraplegici Emilia-Romagna): “A livello politico e culturale siamo molto indietro, si parla ancora di disabili, quando si dovrebbe parlare semplicemente di persone”.

da www.superabile.it

Mat, lo stilista dei colori che dipinge con le ruote


di Alessandra Rolle

Gautama Buddha insegna che la vita non è un problema da risolvere ma un’esperienza da vivere, e Mattia Luparia – 20 anni appena compiuti e tetraplegico dalla nascita – lo prende alla lettera. Dalla sedia a rotelle color rosso fuoco regala sorrisi a 32 denti e ai suoi occhi scuri bisogna stare attenti perché, parafrasando Lucio Dalla, c’è il rischio di finirci dentro quanto son profondi.

Mattia dipinge. Dipinge enormi cartoni da imballaggio passandoci sopra con le ruote intrise di colore. Per ogni stato d’animo c’è una retta, una retromarcia, una giravolta o una frenata: tutto lì in uno strato materico di scagliola e colore tutt’altro che casuale.

«Mattia non inquinare il bianco», oppure «Rimani là, sui marroni, prova a stenderli»: a declinare la scala cromatica con occhio critico è suo papà. D’altronde come dargli torto? Fulvio Luparia, classe ’54, è il guru della nuance alternativa e vanta un curriculum di tutto rispetto. Tra i primi a traghettare in Italia lo stile «used» americano, l’ex direttore commerciale del Gft (Gruppo Finanziario Tessile), ha collaborato con marchi storici come Stone Island, C.P. Company, Taverniti, Avant-toi e Miu Miu, per poi mettersi in proprio dedicandosi a ciò che più ama: la tecnica artigianale della colorazione.

«Volevo rimanere a Torino e slegarmi da tutte le aziende», spiega. Il suo piano però non ha funzionato, tanto che oggi è consulente di Faliero Sarti, la nota azienda toscana che puntando sulla tintura di stole e sciarpe si è fatta strada in tutto il mondo. Quindi di nuovo viaggi e spostamenti, ma questa volta il risvolto della medaglia ripaga d’ogni fatica, perché si chiama Mattia.

«E’ successo per caso, una mattina. Ero in laboratorio con mio figlio e per terra c’erano come al solito mucchi di scatoloni vuoti con cui ricevo e spedisco merce. Non che Mat si stesse annoiando, lui è un Peter Pan curioso, ma decisi di fargli provare a dipingere con le ruote». Inizialmente erano prove, ghirigori confusionari, ammassi di colore senza identità – paciughi – ammette Fulvio. Poi, sabato dopo sabato, il padre insegna al figlio l’amore per le tonalità e la sapienza del giusto accostamento, mentre la tecnica si affina.

Una struttura in legno creata ad hoc viene agganciata alla sedia e, con un rullo e due pennelli, permette tratti precisi e incantevoli giochi di sfumature. I bianchi lattiginosi, i tabacchi, i grigi. Mattia sente i colori, Fulvio li ragiona, poi insieme li definiscono e gli danno forma. Con i cartoni dipinti costruiscono sedute, lampade, quadri e – vero fiore all’occhiello – scatole di ogni grandezza, con cui quest’estate verranno allestiti tutti i negozi monomarca Faliero Sarti d’Italia.

«Non so quanto Mat sia appagato dal punto di vista artistico», continua Fulvio, «ma senza dubbio lo è da quello emotivo». Basta guardarlo negli occhi arzilli: per lui la vita non è davvero un problema. E non perché le sue condizioni gli impediscano di capire. Macché. Mattia capisce eccome, ma ha troppa vivacità per trovare il tempo di lagnarsi. Non l’ha fatto mai, nemmeno quando i genitori l’hanno portato a fare trekking in Kashmir con una speciale carrozzella da fuoristrada.

Lassù, dove la bellezza del luogo cozza con le scomodità dei 4000 metri, Mattia non ha fatto una piega. Si adatta a tutto. Anzi meglio, si entusiasma. Il progetto delle scatole, poi, lo fa sentire totalmente partecipe: è lui ad essere necessario. Lavorare con suo papà significa esclusiva intimità: i due sono complici, scherzano, si completano. «Mat fermati un attimo», sussurra Fulvio «guarda che bello il tuo disegno… sembra un mare». E lui annuisce.

da www3.lastampa.it