Chiamalavita – Unicef


di Daniela Domenici

“Chi ama la vita chiama la vita per chi (h)a malavita”: con questo gioco di parole contenuto nel titolo Maria Rosaria Omaggio ha concluso ieri sera al PalaCongressi di Taormina il suo spettacolo teatrale, creato insieme a Grazia Di Michele, basato su testi e canzoni di Italo Calvino, organizzato da Rai Trade nell’ambito della terza edizione del “Melò around the World”. Lo spettacolo, per il suo messaggio di pace, attraverso le opere e le canzoni di uno dei più grandi autori del 900, ha come obiettivo quello di sostenere Unicef Italia nell’aiuto ai bambini vittime dei conflitti armati.

Maria Rosaria Omaggio ha raccontato e Grazia Di Michele ha cantato la speranza di poter salvare i bambini dalla guerra attraverso alcuni brani tratti da “Il sentiero dei nidi di ragno”, “Il cavaliere inesistente”, “L’entrata in guerra”, “La memoria del mondo”, “Se una notte d’inverno un viaggiatore” e le canzoni “”Dove vola l’avvoltoio”, “Oltre il ponte”, “Canzone triste” e “Il padrone del mondo”. Ad accompagnare Maria Rosaria Omaggio e Grazia Di Michele tre formidabili polistrumentisti: Andrea Pelusi, Filippo De Laura e Rodolfo Lamergese.

Assolutamente coinvolgente, emozionante, magica, senza un attimo di respiro la narrazione-recitazione di Maria Rosaria perfettamente ed empaticamente coadiuvata dalla bellissima voce di Grazia e della sua chitarra e dal suono dei tanti, diversi e particolari strumenti suonati da Pelusi, Lamergese e De Laura.

“Chiamalavita” è stata anche l’occasione giusta per ricordare i tanti morti della frana di Giampilieri di cui ricorreva proprio ieri il primo anniversario. Le manifestazioni della V edizione del Sinopoli Festival  (7-10 ottobre 2009) erano state annullate per l’immensa tragedia che aveva sconvolto Messina e la sua provincia e per i profondi legami familiari e culturali che il Maestro Sinopoli aveva con questa parte della Sicilia.

L’acchiappacani


di Alessandro Mascia

È arrivata l’acchiappacani. Si chiama Enza Licciardello. Determinata, pertinace, intrepida. Animalista? Sì, ma cum grano salis. Feroce quando c’è da sbranare l’onorevole Iva Zanicchi per aver votato la direttiva europea sulla vivisezione. Amorevole quando mette in conto che gli animali, se molto malati, si possono anche abbattere. Salita alla ribalta della cronaca locale per aver denunciato chi aveva osato abbandonare alcuni cuccioli per la strada, da allora si è sentito parlare parecchio di lei. La sua mission: operare per ridimensionare il randagismo nella nostra città.

La ricetta di Enza Licciardello per affrontare la questione randagi prevede alcuni principi base: l’applicazione della legge che obbliga il Comune a occuparsi dei randagi (è tenuto a catturarli, sterilizzarli e, nel caso in cui il canile sia pieno, a reimmetterli nel territorio come cani di quartiere) e la necessità di un terreno recintato da usare quale centro di prima accoglienza per i cani in attesa di adozione. Ovviamente contribuire economicamente, anche con piccole somme, sarebbe di grande aiuto per Enza. “Mantengo cinque cani, di cui uno di grandissima taglia, con 1,60 euro al giorno (complessivi). Sono lindi, puliti, lucidi e in ottima salute”. Ma come è possibile che un privato riesca a mantenere decorosamente cinque cani con una cifra così misurata e al canile, invece, si spendano cifre da capogiro? “Vorrei che qualcuno mi spiegasse – domanda Enza – come mai il canile costa 600 mila euro! Cosa danno da mangiare a questi poveri cani? Crocchette al Beluga? E cosa bevono? Champagne millesimato?”

Il Comune, a quanto pare, fa giusto giusto ciò che gli impone la legge. Provvede alla sterilizzazione, questo sì, ma agita le mani al vento quando gli si prospettano soluzioni sostenibili e, forse, anche migliorative dello status quo. “Ho avuto un incontro con l’assessore Michele Accolla – ha spiegato  – con cui ho parlato delle mancate sterilizzazioni delle cagnette di proprietà, vera causa del randagismo, e ho fatto una proposta che in breve tempo potrebbe portare a ottimi risultati, tra cui l’abbattimento dei costi di gestione, con l’avvio di una serie di interventi miranti tutti al recupero dei cani e non alla loro segregazione”. Ma la vulcanica amante dei cani si scontra quotidianamente con l’indifferenza di chi non vuole, di chi non sa, di chi vorrebbe ma non può. Nel frattempo le notizie di randagi che invadono la città si rincorrono. Alcuni di essi pare abbiano anche aggredito qualcuno.  “Ho presentato un progetto di sensibilizzazione alle scuole medie e mi hanno detto che non ci sono soldi (da notare che non avevo chiesto un euro). Mi sono proposta come volontaria, dunque gratuitamente, e mi son vista fare spallucce”. Enza Licciardello ha raccolto il guanto di sfida, ma lo sfidante si dev’essere addormentato.

Tuttavia le ultime notizie sono incoraggianti. Quattro randagi augustani, accompagnati da Enza e da una staffetta di volontari, hanno raggiunto un rifugio di Pesaro dove rimarranno in stallo fino alla loro adozione. Sono partiti tutti microchippati, puliti, trattati con gli antiparassitari usuali, perfettamente guariti dalle patologie che presentavano al momento della cattura, ma, soprattutto, tutti sterilizzati, anche i due maschi.
Inedita, sopratutto per Augusta, la forma di collaborazione per il trasferimento dei quattro randagi. “Gli enti pesaresi preposti mi hanno facilitato enormemente il lavoro attivando procedure di massima
urgenza al fine di favorire la partenza dei cani”. Le coscienze iniziano a risvegliarsi anche tra i cittadini. Infatti “alcune persone mi hanno contattata per offrirmi stalli provvisori per i cani catturati, altre per offrirsi come volontari, altri ancora mi hanno offerto denaro per il mantenimento e le cure dei quattro cani, altri hanno portato cibo, due farmacie mi praticano regolarmente forti sconti sui farmaci ad uso veterinario, e altre piccole iniziative che nel complesso mi fanno intravedere un cambiamento di tendenza: alla gente non basta più portare da mangiare ai randagi, non vogliono più vederli in strada! Da parte mia sono assolutamente convinta che il randagismo ad Augusta si possa risolvere, così come sono convinta di poter avviare un programma di recupero di questi cani, coltivo il sogno di avviare i migliori soggetti all’addestramento per la ricerca di superstiti in appoggio ai volontari della protezione civile o come cani antidroga e altri servizi sociali dove il fiuto del cane è fondamentale e insostituibile”.

Dove non arrivano l’uomo e le sue leggi, arriva la forza della passione, dell’amore per gli animali. La volontà reale di risolvere il problema annoso del randagismo. Auguri di buon lavoro a Enza Licciardello.

L’amore e basta


di Daniela Domenici

Ieri sera abbiamo avuto il piacere di assistere, all’Arena Argentina a Catania, alla proiezione del film “L’amore e basta” di Stefano Consiglio che ne è anche il regista, la perfetta colonna sonora di Rocco De Rosa, le splendide animazioni di Ursula Ferrara e con un’introduzione di Luca Zingaretti che recita, in apertura, un testo di Aldo Nove.

Non è un film nel senso più classico del termine cioè la narrazione di una storia con un inizio e una fine ma è un racconto “corale”: il film narra le storie d’amore di nove coppie gay e lesbiche, italiane e non, che hanno accettato di raccontare il loro amore al regista.

Inizia da Alessandro e Marco, due studenti universitari di Catania (che ieri sera erano presenti, insieme al regista, all’arena Argentina), e continua con le quarantenni Nathalie e Valérie (e la loro figlioletta Sasha) che vivono a Versailles. Poco distanti, a Parigi, vivono Catherine e Christine, due sessantenni che stanno insieme da vent’anni. Poi ci sono Lillo e Claudio, che da diciassette anni vivono insieme a Sutri, un piccolo paese vicino a Roma. Ci si sposta quindi a Berlino dove, da diversi anni, vivono felicemente i quarantacinquenni Thomas e Johan. Da sette anni, altrettanto felicemente, stanno insieme Emiliana e Lorenza nella loro bella casetta, con tanto di giardino, nella Bassa Padana tra Parma e Mantova. Sono addirittura trenta gli anni del sodalizio amoroso e professionale di Gino e Massimo che incontriamo nel loro negozio/laboratorio di oggetti in pelle nel cuore di un quartiere popolare di Palermo. Un’altra coppia che vive e lavora insieme da tanti anni è quella formata da Gaël e William, filmati nel loro ristorante nel 14° arondissement di Parigi. E infine le “coniugi” spagnole Maria e Marisol (legalmente unite in matrimonio non appena è stato possibile) che vivono in campagna a Vic, vicino a Barcellona, con la loro prole formata da un maschietto di otto anni e due gemelline di sei.

“…Sorridono senza esitare, esprimono la dignità di chi ha raggiunto la pace di una famiglia non tradizionale ma ugualmente bilanciata e vitale. Riflettono su adozioni, tradimenti, sensi di colpa… L’universalità dell’amore schiaccia le diversità e gli emarginati – o quelli che vengono considerati tali – diventano protagonisti di un’elegante inchiesta sul fidanzamento ‘a lungo termine’. In mezzo ai sentiti ricordi dei primi batticuore si inseriscono i pianti, i tremori e la rabbia per la sofferenza di non vedere garantito il diritto al matrimonio (almeno in Italia, ma Consiglio porta l’esempio di una coppia spagnola sposata) o i dubbi sull’adozione di un bambino che crescerà senza figura paterna. Anche la religione diventa una questione di fede personale. E gli omosessuali rivelano una spiritualità privata che crede nell’esistenza di un dio ma senza aderire all’integralismo di un dogma particolare: Dio ama e accoglie tutti, gli uomini sbagliano e creano stereotipi e discriminazioni…Nicoletta Dose”.

Ci perdonerete se, per una volta, abbiamo preso in prestito le parole di una collega ma ci sono sembrate così “nostre” che non abbiamo voluto aggiungere altro, riescono a dire esattamente quello che avremmo voluto esprimere noi dopo esserci emozionati alla visione del film: la delicatezza dei toni usati dal regista nelle sue domande che non sono mai banali né scontate, i sorrisi e la tenerezza che affiorano in ogni risposta di tutte le coppie intervistate fanno concludere sempre con le parole di Nicoletta Dose: “…Ma Consiglio ci dice una cosa precisa: quello che conta è innamorarsi, tra etero e omosessuali, senza fare distinzioni. E basta”.

Quannu moru faciti ca nun moru


di Daniela Domenici

Rosa Balistreri è morta 20 anni fa, il 21 settembre 1990, e per non dimenticarla il musicista catanese Pippo Russo ha immaginato e organizzato una serata a lei dedicata, “Faciti can nun moru”, che ha avuto luogo ieri sera al cortile Platamone a Catania che traboccava di pubblico nonostante il tempo minacciasse ancora pioggia: un vero spettacolo nello spettacolo.

Per rendere omaggio alla “cantantessa” siciliana per eccellenza, la prima e la più grande, Pippo Russo ha raccolto sul palcoscenico alcuni formidabili artisti a iniziare da Margherita Mignemi che ha saputo, con il suo calore e la sua padronanza della lingua siciliana, fare da perfetta e simpatica “trait d’union” tra i vari momenti musicali.

E’ salita sul palco per prima Laura De Palma che, con la sua chitarra e la sua voce potente e dolorosa, ha interpretato uno dei brani più celebri e dolorosi di Rosa, “Li pirati a Palermo” su testo del poeta Ignazio Buttitta. Dopo di lei è stato il turno di Gabriella Grasso, anche lei con la sua chitarra, che ha cantato una delle poche canzoni allegre e ironiche della Balistreri “’A pinnola”. Terza interprete a salire sul palco Rosita Caliò che non ha incontrato il nostro personale (e sottolineo solo di chi scrive) gradimento sia per la lunghezza della ballata che per la quasi inesistente comprensione del testo.

Dopo tre interpreti femminili è stato il turno di Carlo Muratori che con la sua voce calda e la sua simpatia trascinante ha prima cantato “Cantu e cuntu…”, una dei brani forse più celebri  della Balistreri per poi interpretare, con rabbioso dolore, una sua creazione scritta subito dopo gli attentati del ’92 ai giudici Falcone e Borsellino.

Da una porta laterale del cortile Platamone sono entrati poi, in fila come tanti menestrelli con i loro strumenti, i Lautari che sono saliti sul palco per interpretare due brani della Balistreri prima di accogliere Rita Botto che hanno “accompagnato” musicalmente in “’A curuna” e “Lu matrimoniu”: una tale perfetta empatia da meritare gli applausi più prolungati, quasi una standing ovation.

E’ toccato poi ad Alfio Antico “collaborare” magicamente con i Lautari; il grande percussionista si è divertito a suonare due suoi tamburi e a cantare alcune ninnananne-scioglilingua in lingua siciliana: ancora una volta ha dimostrato la sua classe inarrivabile.

Ha concluso la serata Otello Profazio per il quale gli anni non sembrano essere mai trascorsi; non ha bisogno di parole di presentazione, ha scoperto e portato al successo Rosa Balistreri oltre che averla aiutata, come mi ha dichiarato poco prima dello spettacolo, nella creazione di alcune sue canzoni ed è stato forse l’ultimo ad aver cantato con lei pochi giorni prima della sua morte improvvisa vent’anni fa. Ci ha regalato, accompagnato anche lui dalla sua immancabile chitarra, alcuni suoi celebri e indimenticabili successi.

Quannu moru faciti can un moru: Rosa non è morta, è ancora viva tra di noi con le sue canzoni.

I Cantunovu a Priolo Gargallo (SR)


Abbiamo avuto il piacere di assistere, in una piccola piazza di Priolo Gargallo (SR), a un concerto dei CANTUNOVU, gruppo musicale che, dobbiamo ammettere la nostra mancanza, non conoscevamo fino a ieri sera nonostante siano sulla scena da trent’anni: si è formato, infatti, a Siracusa nel 1980 con l’obiettivo principale di riscoprire e valorizzare la musica e le tradizioni popolari siciliane. I Cantunovu rielaborano gli stilemi classici delle melodie popolari isolane arricchendoli con sonorità e ritmi che traggono origine da tutta l’area del Mediterraneo; in questo modo le musiche proposte, pur conservando e custodendo la memoria storica dei vecchi canti, si presentano più attuali e quindi possono essere di maggior gradimento sia per un pubblico di competenti che per chi vuole solo ascoltare semplicemente della buona MUSICA come è successo ieri sera, appunto, a Priolo.

I componenti dei CANTUNOVU sono: PAOLO ARTALE (Chitarra, Mandola, Bouzuki e Voce) ROMUALDO TRIONFANTE (Sax, flauto, friscalettu e Voce) MATTEO SIRACUSA (Chitarra e voce) ANGELO PUZZO (Basso e Voce) BENEDETTO SACCUZZO (Violino e Voce) LUCIANO RIZZA (Fisarmonica e Voce) MARIANO CULTRARO (Percussioni e Tamburi) MARIA GRAZIA CAMPANELLA (Voce) CONCETTA TRIONFANTE (Voce).

In novanta minuti ininterrotti di spettacolo i CANTUNOVU ci hanno proposto quasi una ventina di brani tra cui ci hanno colpito e ci sono particolarmente piaciuti “Sunata ‘e santi”, una deliziosa litania di alcuni santi siciliani, “A la salitana”, un canto d’amore, “La me nurizza” il cui testo è del grande Ignazio Buttitta di cui hanno cantato anche la dolorosa e vera “Purtedda da Ginestra” e, per concludere, tre brani ironici come “Morti apparenti”, “Fimmini” e “Lina lina”.

Un complimento a parte, oltre agli applausi che tutto il gruppo si è meritato, vorremmo tributarlo a Romualdo Trionfante sia per la varietà di strumenti a fiato che ha saputo suonare durante il concerto che per la simpatia trascinante delle sue presentazioni e a Matteo Siracusa, definito la “voce teatrante” del gruppo, che ha saputo recitare con vera bravura attoriale alcuni brani poetici.

Gino Paoli a Giardini Naxos: cronaca di una serata musicale


di Maria Luisa Sterrantino

Caldissima serata di quasi fine estate in una piazza gremita di gente come poche altre volte si ricordi…talmente tanta da non far passare quel velo di “bora” che arrivava dal belvedere sul mare. Lo spettacolo è iniziato alle 21.45 per un ora e mezza questo “pilastro” della musica italiana che è Gino Paoli ha intrattenuto il suo pubblico arrivato da più parti della costa ionica già sin dal tardo pomeriggio.

Spettacolo soft ed elegante come è nel suo stile e nel suo carattere schivo e a tratti freddo; ha iniziato con “Cosa farò da grande” per salutare il pubblico poi subito un assolo al piano con “La gatta” che il pubblico tiepidamente accenna a cantare e cosi, via via, inizia la kermesse canora intervallando le sue esibizioni col racconto del suo amore per il mare, decantandolo come se recitasse una poesia e qui arriva “Sassi”con un arrangiamento di fisarmonica molto apprezzato; l’apoteosi arriva però con “Sapore di mare ” che Paoli ricorda di aver composto in Sicilia, precisamente a Capo d’Orlando; l’artista vuole che sia il pubblico a cantarla ma un po’ scherzosamente rimproverandoci perchè “siete…mosci” …Allora prende in mano la situazione e..e…grande Gino! Ha proseguito la prima parte del concerto con brani nuovi o quasi (alcuni sconosciuti!!), il pubblico “non proprio fan” si è un pochino assopito per risvegliarsi poi “pimpante” con una seconda parte in cui, fra una sigaretta e l’altra, abbiamo ascoltato il suo repertorio più bello, che fa sempre piacere risentire …”Averti addosso”…”Questione di sopravvivenza”…,”Ti lascio una canzone” (accennata standing ovation)…”Senza fine”…ha poi “recitato” “Albergo a ore” e via via tutto il suo repertorio. All’improvviso quando ci ha presentato (molto freddamente) la sua band formata da sei elementi abbiamo capito che eravamo arrivati alla fine del concerto, finta uscita con immediato rientro per completare con “4 amici al bar”, coro del pubblico, grande applauso e lui senza nemmeno salutarci è andato via come se avesse lasciato qualcosa in sospeso da qualche altra parte ….comunque bella serata, pubblico diviso fra gli estimatori soddisfatti e chi, invece, è andato ad assistere a uno spettacolo musicale così così….un po’ annoiato !

Intervista con l’attrice Mara Di Maura


di Daniela Domenici

Durante le riprese di “L’amore di Kyria” abbiamo voluto intervistare una delle protagoniste: Mara Di Maura.
–  A che età hai iniziato a capire che avresti voluto diventare un’attrice?

–      Da bambina il mio gioco preferito era “fare i film” con le mie amichette…ma l’episodio che mi ha fatto innamorare di questo mestiere risale all’età di undici anni: mia madre mi lesse un dialogo assai celebre di Shakespeare, la famosa scena del balcone in “Romeo e Giulietta”, e per scherzo mi chiese: “Ti piacerebbe fare l’attrice?” Io, del tutto incantata, senza un attimo d’incertezza risposi: “Ecco quello che voglio fare da grande: recitare!”

–      Perché hai scelto il teatro?

–      Il palcoscenico è l’unico luogo al mondo in cui riesca a sentirmi davvero a mio agio perché è l’unico posto in cui la mia anima può farsi come l’acqua che trova la sua “forma” nel recipiente che la contiene…Purtroppo non riesco a spiegarlo diversamente, forse questa metafora può risultare più efficace di mille altre parole.

–      Quali sono state le tue prime interpretazioni e dove?

–      Il mio primo debutto teatrale è avvenuto ad Augusta a 15 anni sotto la guida della grandissima attrice Franca Sillato la quale mi ha trasmesso una ferrea disciplina di palco: questa straordinaria artista mi ha insegnato ad affrontare il personaggio in maniera chirurgica durante le prove e a vivere il momento dello spettacolo con la sacralità di una liturgia. Da Augusta a Roma. La seconda volta è stata qualche anno più tardi al noto Teatro Parioli della Capitale con la regia di un’altra “insegnante dal pugno di ferro”, la straordinaria Fioretta Mari. E, coincidenza delle coincidenze, ancora una volta, come già accaduto prima, uno spettacolo ispirato a un’opera di Nino Martoglio. Dopo lo spettacolo, tornata a casa, mi sdraiai per terra nella stanzetta dell’appartamento che dividevo con altre studentesse e piansi a lungo per la forte emozione.

–      Hai frequentato qualche accademia di teatro? Dove?
R: La mia vera scuola è stata la pratica sul palcoscenico. Durante gli anni universitari a Roma (mi sono laureata al DAMS dell’Università degli Studi Roma Tre) avevo già frequentato due scuole private, un corso di dizione e recitazione con Fioretta Mari e un anno di formazione dell’attore presso la Scuola di Tecniche dello Spettacolo di Claretta Carotenuto, la figlia del grande Mario, due ottime insegnati cui devo tanto: sono state loro a fornirmi i rudimenti del mestiere, gli strumenti tecnici che consentono all’attore di esprimersi con consapevolezza attraverso l’arte della recitazione. Continuo tuttora a frequentare, quando ne ho la possibilità, degli stages di perfezionamento, tra cui doppiaggio con Renato Cortesi, training e script analysis con Michael Margotta, membro a vita dell’Actor’s Studio, mimo con Emmanuel Lavalleè della scuola “Lecoq” di Parigi. E poi da un anno studio anche canto con Katia Giuffrida. Sento la necessità di avere una formazione il più ampia, completa e profonda possibile e, in questo senso, per fare una citazione “gli esami non finiscono mai..” Ma la vera palestra è stata per me il lavoro sulle tavole della ribalta: questa palestra io l’ho fatta per quattro anni col mio “maestro” Costantino Carrozza, un attore formatosi al Piccolo Teatro di Milano, con la cui compagnia, il Centro Stabile di Produzione “Quarta Parete” di Catania, ho avuto modo di portare in tourneè in tutta la Sicilia personaggi di classici della grande tradizione teatrale da Pirandello a Moliere a Shakespeare, fiabe musicali da Handersen e Calvino per i cicli di scuole materne e medie inferiori, ma anche commedie e farse d’ambientazione siciliana interpretando ruoli tra i più disparati, saltando di continuo da fantesche indaffarate, loquaci più del dovuto, a signore fedifraghe e tristi, da popolane balie a buffe e improbabili imperatrici, da megere a madri attempate ed apprensive.

–      Nascere e vivere in Sicilia e soprattutto in una piccola città come Augusta non ti avrà certo facilitato nella carriera, immagino…

–      Non voglio rispondere con dei luoghi comuni..Ho vissuto per cinque anni tra Bologna, Roma e Milano e sono giunta ad una consapevolezza: per me l’attore lo si può fare benissimo dovunque, da New York alla più sperduta isola dell’oceano Indiano, perché in questo mestiere conta solo ciò che si ha da dire. E se si ha da dire qualcosa, poco importa il luogo in cui ci si trova. Più che altro le difficoltà ci sono state nel momento, assai delicato, della crescita: se hai delle propensioni artistiche non sempre il contesto sociale e/o familiare in cui vivi riesce a comprenderti ed accettare con facilità le tue scelte lavorative che, nel caso dell’attore, coincidono con vere e proprie scelte di vita, spesso radicali. Per esempio, mia madre mi avrebbe preferito insegnante, mio padre giornalista.

–      Anche tuo padre fa l’attore anche se solo a livello amatoriale, forse è nel DNA della vostra famiglia?

–      Adesso cambiamo tono e veniamo ad un punto decisamente assai divertente e curioso! Normalmente si può essere figli d’arte. A me sta capitando l’esatto contrario! Mio padre si sente, in un certo senso, un “padre d’arte.” Io preferisco dire che entrambi siamo attori, senza troppe distinzioni, anzi, per certi versi i nostri curricula possono dirsi complementari: io ho scelto la strada del teatro come mestiere, lui invece da una decina d’anni fa teatro nel dopolavoro, solo come hobby, ma in compenso ha già preso parte in qualità d’attore a due fiction come “Agrodolce” (con un ruolo presente in ben cinque puntate) e uno dei quattro nuovi episodi de “Il Commissario Montalbano”, “La danza del gabbiano”, nonché all’ultimo film di Roberta Torre, “I baci mai dati” recentemente presentato alla Mostra del Cinema di Venezia nella sezione “Controcampo.” A conferma insomma che nella vita “quando è destino è destino!” Comunque lui da ragazzo faceva la radio, poi si è sposato, ha preso il posto e…

–      Fino a oggi la tua biografia artistica cosa comprende tra teatro e cinema?

–      Come ti ho già accennato a teatro ho girato la Sicilia in lungo e in largo sotto la regia di Costantino Carrozza con classici di Pirandello come “La Patente”, “Cecè”, “La Morsa”, “Il piacere dell’onestà”, “Il berretto a sonagli”, di Moliere come “Il malato immaginario” che abbiamo rappresentato anche a Milano e provincia e “Il medico per forza”, di Shakespeare come “Le allegre comari” e il “Re Lear”, ma anche tanti titoli della tradizione siciliana, soprattutto Martoglio, e fiabe per bambini ed adulti come “I vestiti nuovi dell’imperatore” di Andersen e “Una passeggiata tra le stelle” da Calvino.
Inoltre da qualche anno insegno dizione e recitazione in scuole di formazione regionali e laboratori privati. A breve sarà attivata a Catania in orari pomeridiani una scuola da me fondata e diretta, “La bottega dell’attore”, avente lo scopo di avviare i ragazzi alla formazione professionale consentendo loro anche di fare esperienza sul campo, dunque di “andare a bottega.” Il mio prossimo lavoro a teatro è invece uno spettacolo leggero, ma non troppo, per la prima volta da me scritto, diretto ed interpretato, l’atto unico dal titolo “Allo specchio” in cui in scena sarò affiancata da una bravissima attrice, Franca Barresi. Infatti da un anno a questa parte mi sto mettendo in gioco anche a livello creativo in concorsi nazionali, il più recente dei quali mi ha dato la possibilità di esibirmi con un mio corto teatrale nel prestigioso Teatro dei Satiri di Roma, proprio nel cuore della Capitale. Infine, ultimo ma non meno importante, dopo anni di “gavetta” come interprete di diversi mediometraggi e cortometraggi e dopo piccole partecipazioni televisive e cinematografiche (ad esempio al film “La matassa”) sono lusingata di far parte del cast artistico del film opera prima di Carlo Tranchida “L’amore di Kyria” con Francesco Paolantoni, Guia Ielo, Francesca Ferro e il mitico Philippe Leroy nel ruolo di una gitana.

L’amore di Kyria


di Daniela Domenici

Si è da poco conclusa, nella stanza del sindaco di Priolo (SR), Antonello Rizza, la conferenza stampa per la presentazione del film, le cui riprese stanno per essere terminate, “L’amore di Kyria”.

Caratteristica principale di questa pellicola è l’essere quasi completamente siciliana eccetto che per la presenza di due “forestieri” come Philippe Leroy e Francesco Paolantoni.

L’autore della sceneggiatura è Antonio Zappalà, in arte Zeta, alla sua prima opera cinematografica, il regista è Carlo Simone Tranchida, anche per lui un’opera prima, lo scenografo e costumista è Riccardo Perricone, l’autore delle musiche è Giuseppe Furnari e il direttore della fotografia Dario Germani. Il produttore esecutivo è Luigi Augelli, anche lui, come tutto il cast tecnico, autoctono siciliano il quale ci ha dichiarato che il film ha avuto il sostegno economico di una serie di imprenditori priolesi, siracusani e catanesi.

A parte i succitati Leroy, nel ruolo di Cosmos, un personaggio un po’ misterioso, e Paolantoni, quest’ultimo protagonista maschile del film, brillano nel cast i nomi di Francesca Ferro, protagonista femminile, Guja Jelo che interpreta la moglie di Paolantoni e, tra gli altri (ma ci dispiace se non li citeremo tutti ma rimedieremo appena avremo il cast completo), Lorenzo Falletti, Mara Di Maura, Emanuele Gullotto, Angelo Russo.

Il film è stato interamente girato in provincia di Siracusa.

La trama in breve come l’ha raccontata il regista in conferenza stampa: è una commedia brillante ma non comica, nasconde dell’amaro, una profonda solitudine dei protagonisti, ognuno è racchiuso nel proprio mondo. Elemento che sconvolgerà la vita di tutti è uno spirito, Kyria appunto, interpretato dalla Ferro che, dopo essere stato condannato a rimanere chiusa in uno scrigno per 200 anni, torna sulla terra e, attraverso varie vicende, sconvolge gli equilibri delle vite dei protagonisti ma non vi diciamo come va a finire, come ha concluso Tranchida, altrimenti non andrete a vederlo nei cinema quando uscirà tra poco.

Jazz di qualità con il Franco Bolignari Quintet


di Daniela Domenici

Jazz di qualità con il Franco Bolignari Quintet ieri sera alla Festa della Federazione della Sinistra, in Piazzale del Verano a Roma.

La formazione del quintetto era composta da musicisti tra i più prestigiosi del jazz romano: Alessandro Cuccaro al pianoforte, Alberto D’Alfonso al sax alto e flauto, Piero Piciucco al contrabbasso e Lucio Turco alla batteria.

Veterano del canto nazionale, interprete prestigioso di “standard”, doppiatore di famose colonne sonore come Crudelia De Mon, Franco Bolignari si è presentato al pubblico con la sua formazione di jazz nata nel 1995 dall’incontro di un “crooner” con licenza di “scat” e quattro valenti musicisti amanti dello stile swing.

Una voce calda e coinvolgente, un sound elegante e piacevole, per un repertorio che spazia tra gli standard americani più famosi anni Trenta – Quaranta, quali Gershwin, Porter, Rodgers, Kern ed altri, ha deliziato il pubblico.

Meritano un entusiastico commento anche i musicisti che hanno accompagnato la voce solista e che inoltre si sono esibiti magistralmente in alcuni brani jazz di grande spessore artistico.

Una serata magica in cui gli animi, grazie forse a quella musica, si sono distesi e hanno, chissà, riaperto il cuore a speranze nuove per il futuro del nostro paese.

“Gemelli sì, ma biovulari”


di Patrizia Cimini

La favola violenta della vita in questa scrittura ha trovato una interprete di livello. L’opera “Gemelli sì, ma biovulari” di (nom de plume?) Marca Sfavilla parla di uno scorrere di eventi autobiografici. Leggendo la prefazione il lettore viene informato che questo è l’intento perfino a scopo terapeutico. Un grande, tragico evento si trasforma. La parola scritta, comunicazione del cuore, afflato della mente si stacca  dalla storia e lavora a costruire scenari, a descrivere momenti topici, a realizzare il graticcio su cui verrà messo ad essiccare il prodotto dell’operato dei protagonisti.

Si dipana una vicenda umana, con i tempi giusti, le conseguenze delle azioni, e i commenti a queste azioni, ma lo scenario che ne deriva fa pensare a certi momenti di Grandi Speranze di Dickens, lo scrittore che Manganelli indicò come uno scrittore “nero”. Manganelli infatti diceva, nel suo Letteratura come menzogna, di Dickens”…..le sue trame sono… da inseguire con il fiato in gola: non meno poderose che temerarie”. L’apparente semplicità di quello che viene raccontato viene prodotto da strati e strati di altri fatti intrecciati tra loro e sovrapposti. La vita dei due principali protagonisti è indagata con cura fin dal concepimento, per dare spazio a tutte le interpretazioni possibili dello straordinario rapporto che esiste tra soggetti gemelli. La letteratura gemellare, medica, storica, psicologica offre tanto materiale e questo si inscrive a buon diritto in quella, ma qui c’è in più la descrizione raffinata e documentata di un aspetto della gemellarità: ad ogni gemello viene offerto il dono di sentirsi unico nella duplicità ma particolarmente deprivato della possibilità di immaginarsi “specchiato”. Ci sono infiniti momenti nella vita di questi gemelli non monozigoti e anche di sesso diverso, in cui il loro “unicum” è imperscrutabile, e dei momenti in cui le divergenti strade, per scelta, per storia e educazione  non li portano ad avere una vita/favola, ma li conducono davanti allo specchio che è formato dal loro reciproco sguardo. Alice non è con loro e la fantasmizzazione delle paure non si può creare. C’è la loro spietata realtà. Sono il loro specchio/sogno, specchio/linguaggio, specchio/vita, e deve essere anche celato perché il contesto li vede ma non li guarda; gli altri non possono usarli perché sono un mondo incluso. Un mondo che verrà violato dalla malattia, dal dolore, dalla negazione.

Quel mondo è popolato da un tribù di personaggi che della loro gemellarità si fa manto e energia di propulsione. La Sfavilla, con la sua generosità di creatrice, i personaggi li porta sulla scena e li fa agire permettendoci di comprendere come  sia difficile non essere soli, come sia tragico esserlo.

In questa operazione ci aiuta l’invenzione, già praticata da altri scrittori, per esempio Saramago in Cecità, di indicare i personaggi non con nome proprio ma con il nome della loro funzione nella vita.

Il libro potrebbe essere un film documentario, ed è invece un autodafé addolorato e accusatorio, dal sapore leopardiano, dal sapore dannunziano, dal sapore di quella letteratura di quegli esseri camaleontici che vengono chiamati scrittori.