Storia di un check in e di una sedia a rotelle


di Roberto Puglisi

Gentile Signorina del chek-in del volo Alitalia Palermo-Roma.
Si sa, i disabili sovente sono fastidiosi con quella pretesa di essere trattati come tutti gli altri. Ingombrano, non cedono il passo. Anzi, la rotella, se sono in carrozzina. Ed è giusto rimbrottarli all’occorrenza. Che stiano al loro posto una buona volta.
Perciò il sottoscritto approva con ampi cenni del capo il suo operato di oggi pomeriggio. Il petulante disabile in questione si è messo in fila con una certa arroganza (la sedia a rotelle è già un esibito elemento di arroganza) per fare il suo biglietto e decollare. Lei, quando è stato il turno del tizio, notando il bagaglio in eccedenza, ha giustamente protestato: non può partire. E il disabile, con finta aria umile e interrogativa: perché? E lei: c’è troppo bagaglio. Controrisposta polemica: pago l’eccedenza, va bene. Era finita lì? Neanche per sogno. E’ successo un altro inghippo. Lei, Signorina, a quel punto correttamente agitata, ha intimato alla collega lì vicino una cosa come: pensa tu ai passeggeri. Io qui ho una sedia a rotelle. Ora, chi scrive non è sicuro del resto della frase, tranne che per quel particolare. Ho qui una sedia a rotelle. Lo ha detto Lei.
Vede, Gentile Signorina del chek-in del volo Alitalia Palermo-Roma, i disabili sono seccanti. Però su una circostanza forse Lei  dovrebbe riflettere. Non sono attrezzi, non sono sedie a rotelle. Sono persone. “Stanno” sulla sedia a rotelle. La carrozzina è una parte. Il disabile, il portatore di handicap, il diversamente abile, ha occhi, mani e gambe purtroppo inerti. La sedia a rotelle ha appunto le rotelle. Il disabile ama, soffre, guarda, respira, mangia il gelato, se può. Una sedia a rotelle, no. Comprende la differenza?
Certo, Lei ha altre faccende a cui pensare. Mica la fregano a Lei. Sarà per questo che ha chiesto al disabile (sempre lui)  per tre volte se era in grado di muovere qualche passo, nonostante la presenza di una carrozzina e di un certificato medico?
Però ha ragione, Signorina. Sì, ha ragione lei. Il suo è un lavoro difficile, pieno di trabocchetti. E quando arriva una sedia a rotelle non è semplice, no. Nel manuale delle Signorine non c’è nulla a riguardo. Non è facile capire con precisione dove finiscono le rotelle. E dove cominciano gli occhi.

da www.livesicilia.it

L’impronta della parola


di Angela Argentino

Sono siciliana e insegnante. Ho grande rispetto della parola, sia scritta che orale.

Da sempre mi è parsa un miracolo.

Io ho cominciato come maestra elementare per poi continuare come insegnante di lingue staniere ma vivendo in Grecia è stato giocoforza insegnare la mia lingua nel posto in cui si trovano le sue radici e vi posso assicurare che non può esistere esperienza più esaltante (almeno per la mia anima e la mia coscienza) che insegnare l’italiano in Grecia, perché ritrovo o scopro l’impronta della parola che qui è nata e qui ha già tracciato il suo destino di significato, di messaggio, di percorso e di speranza.

Con i miei studenti facciamo dei viaggi di incredibile stupore davanti alla saggezza e alla lungimiranza di coloro che crearono la parola, per poi diffonderla, innescare una catena infinita di derivati e di commistioni che a loro volta generano milioni di sfumature che il cuore e la fantasia, soltanto, possono percepire.

Solo per farvi un esempio l’altro giorno dovendo tradurre l’aggettivo “perplesso“, da buona attrice quale sono, ho presentato la mia faccia piena di dubbio, dicendo che perplesso è colui che per “status quo” è confuso, senza che l’aggettivo ci spieghi le cause della sua confusione.

Dobbiamo poi scegliere altri aggettivi più specifici che ci svelino l’origine della sua perplessità e quindi saremo “dubbiosi”, “incerti”,  “insicuri”, ” indecisi ” e via dicendo.

Il secondo passo del nostro viaggio, attraverso la parola, è stato chiedersi l’etimologia e siamo giunti alla parola greca “plesio” che è una struttura definita dentro la quale possiamo addirittura costruire dei sistemi e dei sottosistemi.

Ne troviamo traccia nella parola “plesso” della terminologia medica e immediatamente andiamo a “complesso” che già ci conduce a una moltiplicazione della struttura iniziale.

“Perplesso” in quanto dubbioso…. che relazione ha con “plesio”= struttura?

La sera stessa ho incontrato un amico psichiatra e gli ho posto la domanda. Con estrema facilità mi ha sciolto il dubbio spiegandomi che la preposizione “per” che a noi sembra latina, proviene dall’antico greco e aveva un senso di negazione per cui “perplesso” è colui che non ha un “plesio-struttura“, entro cui trovare dimensione, riparo, punti di riferimento, analogie e rapporti, confronti e comparazioni.

Dunque è sperduto. Pensandoci, la notte e i giorni successivi, mi sono posta la domanda se “plesio” fosse anche casa, famiglia e Dio che tutti stiamo perdendo.

E ai miei studenti che in maggioranza hanno dai 15 ai 30 anni, ho chiesto cosa ne pensassero di questo mio interrogativo. Tutto per una parola.

Il nostro viaggio perà ci ha ha riunito a coloro che all’inizio della civiltà della parola, per primi la usarono e sicuramente volevano che pensassimo queste cose.

Sono siciliana di Noto anche se ho trascorso gran parte della mia vita fuori della Sicilia. Scrivo novelle e poesie, da sempre, da quando ho imparato l’italiano a scuola.

Provengo da una famiglia dove non c’erano libri e in casa si parlava solo il siciliano. La lingua italiana e la scrittura erano il mio orizzonte e la mia libertà. Erano i miei strumenti per affrancarmi dalla vita grama della mia famiglia che di strumenti ne aveva pochi!

Adoro le mie lingue (il siciliano e l’italiano) e adoro tutte le altre che conosco e non conosco.

Ogni lingua aggiunge fantasia e sensibilità al nostro cuore, allarga tutto, in ogni direzione.

Resto dell’opinione, però, che si può scrivere bene solo nella lingua della nostra infanzia o della adolescenza.Qquando siamo ancora in embrione, lungo la strada della conoscenza e tutto è un magico gioco di scoperte.

Un abbraccio a tutti.

da www.siracusa.blogsicilia.it