Sovraffollamento all’inferno


In questi giorni in un vecchio giornale ho letto:
“Una signora lasciò i suoi due cani nel bagagliaio della sua station wagon con i finestrini aperti per andare a fare un servizio. Al suo ritorno trovò i vigili.
– “È tutto in regola protestò. Ho pure attrezzato il portabagagli con la rete di divisione. Cosa volete da me?”
I vigili risposero semplicemente:
– “La legge dice chiaro che un cane deve avere uno spazio vitale minimo di otto metri. Le sembra che ci siano otto metri dentro il baule? E la multarono.”

Peccato che in carcere non ci sono vigili!
A parte l’ironia, l’Italia è uno strano paese, un cane deve poter disporre di almeno otto metri quadri, mentre in molti carceri alcuni detenuti devono in cella fare a turno per stare in piedi.
Il sovraffollamento incomincia a farsi sentire anche a Spoleto.
Stanno arrivando molti detenuti anche da altri carceri e stanno incominciando a mettere due detenuti in cella singola, con l’agibilità a contenere una sola persona.
Spero per l’Assassino dei Sogni che con me non ci provi perché perderebbe.
In tanti anni di carcere lo Stato mi ha sempre trattato come una belva e mi ha fatto diventare un lupo solitario.
Mi ha fatto vivere in una solitudine infinita, sconfinata, solo in compagnia di me stesso.
E quando la solitudine ti entra nella tua testa, nel tuo cuore, e nella tua anima, un uomo ombra non ne può più fare a meno.
Lo Stato, nell’Isola del Diavolo dell’Asinara, mi ha sottoposto per cinque anni al regime di 41 bis, di cui un anno e sei mesi in totale isolamento, con il cancello, blindato e spioncino chiuso, con solo due ore d’aria senza mai vedere e parlare con altri detenuti.
Lo Stato mi ha sottoposto a otto mesi di regime di sorveglianza particolare del 14 bis nella cella liscia, isolato da tutti gli altri detenuti, senza televisione e fornellino.
Dopo tanti anni d’isolamento, di regimi duri e punitivi, mi hanno abituato e mi sono abituato a stare da solo e non riuscirei più a stare in compagnia di un altro detenuto in una cella.
Ci hanno provato a mettermi un detenuto in cella nel carcere di Nuoro, ma dopo tre giorni l’Assassino dei Sogni si arrese perché ogni volta che andavo al passeggio mi sdraiavo per terra, costringendo le guardie a portarmi in cella di peso.
Una volta al direttore del carcere di Parma, quando sono andato volontario, per stare da solo, alle celle di punizione ho detto:
– “Né in questa terra, né nell’aldilà, nessuno potrà mai obbligarmi a dividere una cella con un altro detenuto”.
Tutte le volte che l’Assassino dei Sogni ha provato a mettermi un compagno nella mia stanza ho sempre detto:
– “Datemi una speranza, una sola, che un giorno potrei uscire e avrò un motivo per accettare un compagno in stanza”.
Gli uomini ombra non possono stare in compagnia con le persone che hanno un futuro.
I morti non possono stare in cella con i vivi.

Carmelo Musumeci
Carcere di Spoleto – Gennaio 2010

da www.informacarcere.it

Cimitero dei vivi


carcerePerché questo titolo così tetro?
Da un po’ di tempo mi sono accorto che un mio compagno, due celle accanto la mia, non accende mai la luce e tiene le tendine della finestra sempre abbassate. Certe volte, così per scherzo, passando dalla sua cella gli accendo la luce, ma lui si gira per spegnerla subito.
Qualche giorno fa mi fermai a parlare con lui, gli chiesi, perché preferisse il buio alla luce. Dopo degli attimi di riflessione mi raccontò una storia: Un “secolo” fa uscivo dal carcere la mattina presto per recarmi a lavoro e tornavo dentro la sera col buio ( la semilibertà ). Una sera d’inverno, mentre mia moglie guidava l’auto per accompagnarmi al carcere, io me ne stavo silenzioso guardando fuori dal finestrino, ero pensieroso, triste che per l’ennesima volta dovevo tornarmene a dormire tra le fredde mura del carcere. In lontananza vidi tante fioche luci. Continuavo a fissarle mentre ci avvicinavamo, era il cimitero!
Non molto lontano intravedevo il carcere, in quel preciso momento feci una similitudine da darmi i brividi. Non potevo crederci da quella distanza il carcere sembrava un altro cimitero, le fioche luci che filtravano dalle finestre delle celle sembravano loculi. del cimitero che avevo visto prima. Un cimitero per i vivi, pensai. Da quel momento non accesi più la luce della mia cella e tappai la finestra impedendo alla luce del televisore di filtrare fuori.
Nonostante questa tremenda impressione pensai che dopotutto, pur essendo dentro un cimitero dei vivi, in realtà ero più fortunato degli altri inquilini che mai più avrebbero potuto vivere. Ma oggi ho l’ergastolo e non sono più sicuro di essere più fortunato di quegli inquilini.
Ciro è un tipo sempre sorridente ma in quel suo racconto percepii la sua sofferenza, sofferenza che ci accomuna in un unico pensiero, che forse, tutto sommato, la morte non è la cosa peggiore che possa accadere a un essere vivente, la morte fa parte della vita, è una conseguenza che discende dall’esistenza.
Ma la morte dell’anima, la morte dentro, svuota l’essere lasciandolo come un contenitore vuoto.
Ho percepito nello sguardo di Ciro, la mia stessa consapevolezza che l’unica cosa che ci rimane è la falsa speranza. Non ho dubbi! La bara è il nostro letto e la cella non è altro che la nostra tomba, un loculo per morti apparentemente vivi. Il cimitero dei vivi…

Alfredo Sole
Carcere Opera Milano – ottobre 2009

dal sito www.informacarcere.it