Australia: risarcite vittime del Talidomide


Oltre due milioni di euro l’anno per i prossimi 20 anni a 45 persone, grazie alla battaglia di un ex pilota di guerra. La notizia è stata pubblicata dalla redazione online del Corriere della Sera nel corso del weekend

globo

MILANO – Grazie a uno storico accordo con la multinazionale Diageo, le 45 vittime del Talidomide in Australia e Nuova Zelanda riceveranno una risarcimento di 2,1 milioni di euro l’anno per i prossimi 20 anni. Il farmaco, assunto contro la nausea durante la gravidanza fino a 50 anni fa, ha causato malformazioni in migliaia di neonati. L’accordo è l’esito di due anni e mezzo di negoziati fra il padre di una vittima, l’ex pilota di guerra Ken Youdale di 85 anni, e il colosso delle bevande Diageo, che ha acquisito laDistillers, distributrice del Talidomide. Il pagamento sarà proporzionato al livello di disabilità delle singole persone.

Le vittime australiane avevano ricevuto un ‘pagamento pieno e finale’ nel 1974 ma Youdale, spronato da un accordo raggiunto da Diageo con le vittime in Gran Bretagna, ha messo insieme un caso inoppugnabile con l’aiuto di un avvocato specializzato in class action, Peter Gordon. Ha incontrato ciascuna delle 45 vittime, che non avevano più nulla del denaro ricevuto nel 1974, e compilato un prospetto di quanto costa loro tirare avanti un anno, badanti compresi. Alla Diageo sono rimasti sorpresi quando Youdale si è presentato nel 2008, ha raccontato l’uomo alla radio Abc, ma una volta letta la documentazione hanno capito che faceva sul serio. La vicenda si è dunque conclusa bene e l’ex pilota ha elogiato la compagnia per la generosità: “I risarcimenti del 1974 erano finali e questi sono pagamenti cui non erano obbligati”. In Italia le vittime del Talidomide hanno ricevuto un risarcimento di 4mila euro al mese a ottobre 2009 grazie a un decreto firmato dal ministro del Welfare Maurizio Sacconi.

da http://www.superabile.it

Tremonti taglia fuori i down


di Sara De Carli

 Sono loro le vittime dell’aumento dal 74 all’85% di invalidità. Anteprima dal magazine in edicola

Saranno loro assieme ai malati di cirrosi epatica, cecità monoculare, trapianto cardiaco, sordomutismo e malattie mentali a sopportare i tagli imposti dal superministro. Una scelta assurda, ma anche crudele. Come documentano gli esperti. Si vede che i ciechi che guidano, ormai, hanno stancato. Un falso down, invece, quello sì che sarebbe clamoroso: uno che fosse riuscito ad alterare temporaneamente il proprio patrimonio cromosomico, giusto il tempo necessario a ingannare la commissione valutatrice. 

Forse il ministro Tremonti sta cercando quello, nella sua caccia al falso invalido. È assurdo, non c’è altra definizione. Eppure è l’unica cosa che spiega la scelta fatta da Tremonti nella manovra appena approvata: aumentare dal 74 all’85% la percentuale di invalidità necessaria per ottenere l’assegno mensile di invalidità civile. Alzare i requisiti così che sia più difficile barare, era l’idea, ma spulciando le tabelle del 1992 che fissano le percentuali di invalidità, si vede come in quella forbice di nove punti cadano in realtà patologie e menomazioni che pochissimo spazio lasciano alla simulazione.

La trisomia 21, innanzitutto, a cui è riconosciuta una percentuale di invalità del 75%. Idem per l’amputazione di un braccio, mentre quella della spalla vale 80. La tetraparesi con deficit di forza medio può valere da 71 a 80 punti, comunque al di sotto della nuova soglia, valida per chi si è presentato davanti a una commissione a partire dal 1° giugno. Stesso discorso anche per cirrosi epatica, cecità monoculare, trapianto cardiaco, sordomutismo e malattie mentali come la psicosi ossessiva, la sindrome schizofrenica correlata a disturbi del comportamento e la sindrome delirante cronica: tutti fermi sotto quota 80. Difficile anche contare sulla manica larga delle commissioni: il decreto stabilisce che il medico che attesta il falso dovrà risarcire allo Stato il danno patrimoniale da www.vita.it

I sogni dei bambini palestinesi


di Loretta Dalola

Le vere vittime di qualsiasi conflitto sono proprio loro: i bambini che si svegliano urlando, con le lenzuola avvolte intorno alle gambe, o, terrorizzati, tremano sotto le coperte. Le notti dei bimbi palestinesi sono sconvolte dalla repressione israeliana, i loro sonni non sono disturbati da streghe e mostri, ma da elicotteri israeliani, mitragliatrici, soldati in assetto da guerra e carri armati.

 La miseria causata dall’assedio israeliano ( e non entro nel merito di colpe o ragioni) e la morte spaventano i bambini dei Territori occupati, le cui notti sono terrorizzate dalle scene di violenza vissute durante il giorno, nel quotidiano confronto con le forze d’occupazione.

 

 Sono  bambini traumatizzati che devono  controllare le loro paure, adottando tecniche di sopravvivenza, assistendo quotidianamente a scene di violenza,  non sono psicologicamente rovinati, ma turbati e fortemente spaventati.

 Ritengo che se non si corre prontamente ai ripari, questa situazione influenzera’ la societa’ palestinese di domani. La societa’ palestinese e’ come una pentola a pressione per i  bambini, (futuri uomini del domani) che crescono con una intensa coscienza politica, dove la violenza è l’unica legge conosciuta che inevitabilmente influenza la loro crescita e il loro modo di affrontare la vita.

 L’unico vero sogno   che vorrei  augurare loro è quello di essere come tutti gli altri bambini.

 

 Le foto a lato sono del grande fotoreporter Steve McCurry

 

 da http://lorettadalola.wordpress.com

Il papa accetta le dimissioni del vescovo accusato di pedofilia


di Loretta Dalola

Benedetto XVI (bontà sua) ha accettato le dimissioni di Monsignor Mixa coinvolto nella vicenda degli abusi sessuali sui minori, su di lui pendono anche accuse sulla sottrazione di fondi destinati all’istituto per l’accoglienza dei bambini per comprarsi preziose stampe antiche, bottiglie di vino costose e anche un solarium.

Mixa ammette: “Ero e sono ben consapevole delle mie proprie debolezze”. “Compio questo passo con fiducia irremovibile nei confronti della grazia di Dio e sono fiducioso che il Padre in cielo conduca la Chiesa di Augusta verso un buon futuro”

Fatemi capire, cosa dovrebbero fare le vittime?  Esaltarsi e gioire per questa sua timorata assunzione di responsabilità?  E magari, essere pure  grati  al Papa per questa gentile concessione?

Mi sembra il minimo, visto che il pedofilo, sia esso prete o no, è una persona con gravi problemi, che in modo irrazionale, deviante e purtroppo molto dannoso per gli altri, cerca sé stesso e la sua perduta identità sessuale.  Nel caso in cui il pedofilo sia un prete, la situazione è  ancora più complessa perché si scontra con l’influenza psichica di quella teologia che è stata oggetto dei suoi studi, della sua formazione e della sua vita.

L’omertà della chiesa, e le sue solite negazioni dell’evidenza, oltretutto, impediscono a questi preti di essere curati, supportati da specialisti della psicologia, magari portati in psicoterapia. Evidentemente la chiesa preferisce tenersi dei preti pedofili, che continueranno a fare vittime innocenti, piuttosto che correre il rischio di confrontarsi con delle menti liberate.

Chiedere perdono e soprattutto essere fiduciosi nel Padre Eterno – non basta,  occorre assolutamente evitare che i casi si ripetano. Una posizione chiara, precisa e forte, da parte della Chiesa potrebbe essere un  segnale concreto per  non favorire o tollerare la tragedia della pedofilia.

Anche perchè quando Gesù diceva :”Lasciate che i pargoli vengano a me”…credo avesse ben altre intenzioni…

da http://lorettadalola.wordpress.com

Pedofilia. Le vittime si riuniscono in movimento


Si incontreranno a Bergamo l’8 e il 9 maggio

 Nella giornata nazionale contro la pedofilia e la pedopornografia, l’Associazione Prometeo onlus da più di 10 anni impegnata sul fronte della lotta al crimine degli abusi a danno di bambini, annuncia per i prossimi 8 e 9 maggio una due giorni che si terrà a Bergamo, presso il centro d’ascolto della associazione, dove si riuniranno un centinaio di vittime provenienti da ogni parte d’Italia.

 «Saranno adulti che da piccoli hanno subito abusi o genitori di bambini vittima di abusi, la cui età media è drasticamente abbassata negli ultimi anni (0 – 4 anni)» ha dichiarato Massimiliano Frassi presidente di Prometeo. «È questo il momento giusto per le vittime di riunirsi ed uscire allo scoperto, per poter ottenere quella dignità che adulti malvagi hanno sottratto ai loro figli».

 Alla due giorni, promossa col nome di “progetto nazionale vittime della pedofilia”, si uniranno anche alcune vittime di sacerdoti provenienti dall’America e che collaborano con la Prometeo

 da www.vita.it

3:32, L’Aquila si ferma 308 rintocchi di campana


Circa venticinquemila persone questa notte si sono radunate con fiaccole, candele e lumini nel centro dell’Aquila per commemorare il terremoto che il 6 aprile scorso causo’ 308 vittime. In piazza Duomo sono confluite quattro lunghe fiaccolate che hanno attraversato le poche strade aperte del centro. Qui sono stati letti i nomi dei morti, poi alle 3:32 – ora della devastante scossa dello scorso anno -, le campane della chiesa delle Anime Sante hanno suonato a morto con 308 rintocchi. I cortei erano aperti ognuno da striscioni retti dai familiari delle vittime. In uno, che aveva anche le foto di otto studenti, si leggeva: ‘Assassinati nella casa dello studente’. Le fiaccolate si sono svolte in silenzio e senza alcun incidente.

Molti cittadini raggiungeranno ora il piazzale di Collemaggio, dove alle 4 ci sara’ la messa solenne.

fonte ANSA

Un minuto di silenzio per Haiti ma per Messina no


Innanzitutto, doverosa puntualizzazione: il terremoto ad Haiti è stato sconvolgente, non solo per la forza con cui ha procurato morte e distruzione in una popolazione già di per sé in molta difficoltà, ma anche per la sofferenza che ha generato in tutta la popolazione mondiale.

E ieri, prima dei fischi d’inizio dei due anticipi del campionato di serie A, un minuto di silenzio è stato dedicato alle vittime.

Visto però che la memoria storica non è corta, ricordiamoci che cosa (non) successe sugli stessi campi nella domenica successiva all’alluvione di Messina, quando ancora si contavano i morti.

Ore 15: fischio di inizio di una nuova giornata di campionato. Serie A. Si parte: nessun minuto di silenzio, nessun lutto al braccio. Solo ieri i giocatori di Catania, nell’anticipo con il Bari, hanno giocato con un nastro nero e lo stesso farà il Palermo questa sera contro la Juventus“. Da Alluvione di Messina, lutto solo siciliano (di Davide Billa).

Non voglio aggiungere altro. Basta quanto riportato, per dovere di cronaca

da www.messina.blogsicilia.it

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Belice: tre giorni per ricordare il terremoto del 15 gennaio 1968


Il 15 gennaio del 1968 è una data che resterà viva per sempre nella memoria degli abitanti del Belice. Un terremoto mise in ginocchio la valle del Belice provocando circa 300 vittime, radendo al suolo sei paesi, lasciando quasi centomila persone senza un tetto sulla testa e altrettante con abitazioni gravemente danneggiate.

A quarant’anni di distanza da quella terribile notte sono state previste tre giornate commemorative dal titolo “terre in moto” verso il futuro. Nel 2007 simbolicamente sono state smontate tutte le baracche e in questo momento si sta procedendo per ultimare la bonifica del territorio dall’amianto e per completare la ristrutturazione di case ed infrastrutture. “Questo è il momento della rinascita” ha commentato il presidente della Regione, Salvatore Cuffaro nel corso della presentazione della manifestazione insieme ai sindaci dei comuni dell Valle del Belice.

“Allora intellettuali quali Sciascia e Guttuso firmarono un appello per la ricostruzione delle case. Oggi abbiamo chiesto allo scrittore Vincenzo Consolo di scrivere un manifesto per la promozione dell’arte e della cultura contemporanea nel Belice – ha spiegato Tanino Bonifacio, direttore tistico dell’evento.

Negli anni settanta i cortei di protesta dei belicesi contro il governo nazionale che non stanziava fondi sufficienti per la ricostruzione del territorio erano aperti da un grande lenziono del maestro Giambecchina intitolato: Gridano le pietre di Gibellina. Adesso cinque artisti contemporanei (Rosario Bruno, Dino Frisca, Frnaco Accursio Gulino, Vincenzo Nucci e Nino Pilotto) della scuola pittorica di Sciacca, hanno realizzato gratuitamente cinque grandi lenzioni “in memoria” che saranno presentati per l’occasione del quarantesimo anniversario della tragedia, nel museo d’arte contemporanea di Gibellina.

Nel corso delle manifestazioni lunedì 14 gennaio nella chiesa della Santissima Trinità di Salaparuta alle 20.30 sarà proiettato il documentario “Belice 68, Terre in moto”, realizzato da Salvo Cuccia e Antonio Belli per Rai educational. Un altro cortometraggio, ispirato agli scritti di Vincenzo Consolo, realizzato da Giorsio Serafini Prosperi e intitolato “Il ritorno”, sarà proiettato maerterì prossimo, 15 gennaio, nell’aula consiliare di Santa Ninfa dove lo scrittore originario di Sant’Agata Militello, Vincenzo Consolo, leggerà il nuovo manifesto scritto per il Belice. A conclusione della tre giorni per ricordare, si svolgerà una fiaccolata che attraverserà Poggioreale, mentre a Partanna si svolgerà alle 21 una messa solenne.

www.ecodisicilia.com

Quelle morti sospette in carcere: trenta vittime in sette anni


di Roberto Bianchin

morti sospette in carcere

Mauro aveva solo 33 anni quando morì in carcere. «Arresto cardiocircolatorio», fu la motivazione ufficiale. Ma quando suo padre, Giuseppe, vide la salma, impallidì. Il corpo di Mauro Fedele era pieno di lividi. Aveva la testa fasciata, e segni blu di percosse, come se fosse stato colpito con un ferro di cavallo, sul collo, sul petto, sui fianchi e all´interno delle cosce. «Lo hanno riempito di botte», protestò il padre, presentando una denuncia per omicidio.
Comincia a farsi strada il sospetto che il caso Cucchi non sia l´unico nelle carceri italiane, dove sono morti 1.531 detenuti dal 2000 ad oggi, 150 solo quest´anno, di cui 63 suicidi. Tra questi, secondo l´associazione “Ristretti Orizzonti”, che sul problema ha realizzato un dossier, “Morire di carcere”, ci sono 30 casi “sospetti” negli ultimi sette anni, che richiederebbero «un approfondimento nelle sedi opportune».
In 11 casi di questa Spoon River carceraria, i detenuti «per cause naturali» presentavano segni di percosse e di lesioni. Morti per infarto con la testa spaccata, morti per suicidio con ematomi e contusioni in varie parti del corpo, costole spezzate, milze e fegati spappolati, lesioni ed emorragie interne. «Le cause di troppi decessi non sono mai state accertate con precisione», dice Luigi Manconi, presidente dell´associazione “A buon diritto”, che punta il dito contro «l´opacità del carcere che impedisce di guardarci dentro» e «troppi comportamenti non rispondenti a correttezza e al rispetto delle regole». «In carcere ci si ammazza 15 volte di più di quanto non accada fuori», accusa.
Come Mauro Fedele, morto il 30 giugno 2002 nel carcere di Cuneo, un altro giovane, Manuel Eliantonio, 22 anni, perse la vita il 25 luglio 2008 in quello di Genova. Suicidio, dissero, col gas butano respirato da una bomboletta da campeggio. Sua madre, Maria, mostra le lettere che il figlio le aveva scritto dalla prigione: «Qui mi ammazzano di botte almeno una volta alla settimana». «Lo hanno pestato a sangue, ucciso, e stanno cercando di coprire tutto», accusa la donna.
L´anno prima, il 15 ottobre 2007, Aldo Bianzino, 44 anni, venne trovato morto nella sua cella nel carcere di Perugia. Era stato arrestato un giorno e mezzo prima, dopo che gli avevano trovato cento piante di marijuana in giardino. Aneurisma, la causa del decesso. Ma i medici legali riscontrarono «evidenti lesioni viscerali di indubbia origine traumatica». Due costole rotte, lesioni alla milza, distacco del fegato, emorragia cerebrale. Per la famiglia, la prova di un «pestaggio mortale». Sul caso c´è un´inchiesta in corso.
Habteab Eyasu, 36 anni, eritreo, riuscì invece a impiccarsi ferendosi da solo, nella sua cella del carcere di Civitavecchia, il 14 maggio 2006. Nelle foto scattate all´ospedale si vede che Habteab ha una ferita in fronte e una grande macchia rossa di sangue dietro la nuca. «Chi si suicida non ha queste ferite in faccia», accusa la zia, Sara Tseghe Paulous. Ma l´inchiesta della Procura ha chiuso il discorso, stabilendo che Habteab si è impiccato. Come avvenne per Stefano Guidotti, 32 anni, impiccatosi alle sbarre del bagno nel carcere romano di Rebibbia il 1° marzo 2002, che presentava delle ferite al volto «inconciliabili con l´ipotesi del suicidio».
Andrea Fabris, 34 anni, è stato invece trovato esanime sul pavimento della cella che condivideva con altri due detenuti nel carcere di Venezia, il 31 maggio 2005. Sembrava una morte naturale, Andrea era tossicodipendente, senonché sul suo corpo sono state riscontrate numerose ecchimosi. La Procura ha aperto un´inchiesta. Un altro tossicodipendente, Antonio Schiano, 36 anni, morì per cause non precisate nel carcere romano di Regina Coeli, il 24 ottobre 2005. Secondo il garante per i diritti dei detenuti, l´uomo era arrivato in carcere con un referto dell´ospedale Sant´Eugenio che certificava «politraumi a suo carico».
All´ospedale di Barletta, il 1 luglio 2004, morì Vincenzo Milano, 30 anni, per le ferite riportate durante la sua cattura, come Maurizio Scandura, 28 anni, deceduto il 27 novembre 2002 in una camera di sicurezza della questura di Roma. Mentre un romeno di 40 anni fu trovato riverso a terra nella sua cella del carcere di Civitavecchia, il 25 novembre 2003, con profonde ferite al capo. Dissero che si era scagliato più volte contro la parete. Anche Marcello Lonzi, 29 anni, sarebbe morto per «collasso cardiaco», il 1° ottobre 2003 nel carcere di Livorno, dopo essere caduto battendo la testa. Ma la madre parlò di omicidio: «Il corpo di mio figlio era coperto di lividi».

da repubblica.it

Trans vere vittime dello scandalo Marrazzo


marrazzodi Gabriella Meroni

Dopo l’affaire Marrazzo parla Fabianna Tozzi Daneri, presidente dell’associazione TransGenere

 La loro ultima iniziativa, varata prima che scoppiasse l’affaire Marrazzo, è stata l’avvio di gruppi di auto-mutuo-aiuto per persone trans alle prese con situazioni difficili e disagi personali, per dare loro l’occasione di parlarne e sfogarsi in un ambiente amico. «Loro» sono quelli dell’associazione TransGenere, promotrice tra l’altro del primo consultorio dedicato ai trans e transgender d’Italia, che ha sede a Torre del Lago (Lucca).

Presidente dell’associazione e «moderatrice» degli incontri è Fabianna Tozzi Daneri (con il microfono nella foto in homepage), con cui abbiamo parlato della realtà dei trans, finiti loro malgrado al centro di una tempesta mediatica dai tratti anche torbidi e morbosi. «La realtà non è assolutamente quella che emerge da giornali e tv», dichiara la Tozzi. «I mass media aprono delle “finestre” sul mondo dei trans solo in occasione di questi scandali e scandaletti sessuali che coinvolgono i potenti. Purtroppo però a rimetterci non sono solo i politici ma anche i trans, di cui si parla, come è successo nel caso Marrazzo, solo come di persone legate alla prostituzione, alla malavita, alla droga. Non è così, ovviamente», continua, «e spiace constatare che il binomio trans-prostitute è duro a morire. Quelle trans erano anche prostitute, ma la prostituzione non è legata all’essere trans, mica è nel dna…». Insomma, i soliti stereotipi che possono abbattersi come un macigno su persone che già normalmente fanno non poca fatica per farsi accettare, con tutte le loro contraddizioni e i loro vissuti, che a volte possono essere poco sereni. «I trans vivono nella società come tutti gli altri, ma spesso lottano più degli altri per affermare se stessi, arrivare a un posto di lavoro, ottenere un riconoscimento sociale e quei diritti che la Costituzione garantisce a ogni cittadino. I problemi sono tanti, la fatica enorme. E poi, che succede? Scoppia lo scandalo, e magari i passi fatti finora vengono vanificati in un attimo dalla cattiva informazione». In questo panorama desolato, tuttavia, Fabianna Tozzi Daneri riesce a cogliere un aspetto positivo: «La cosa buona è che spesso in questi casi si aprono dei varchi, ci sono persone che si avvicinano, si informano, mi intervistano… e così, nel dialogo e nel confronto, si arriva a una maggiore conoscenza reciproca».

Intanto, il primo appuntamento dei gruppi di auto-mutuo-aiuto ha registrato il tutto esaurito: «È andata molto bene», conferma la presidente di TransGenere, «il nostro Consultorio ha una settantina di utenti e registriamo in tutti un grande bisogno di parlare, raccontare, condividere la propria esperienza in un contesto protetto». Il primo incontro si è svolto il 19 ottobre, il prossimo si terrà il 2 novembre

 da www.vita.it