Dal “nostro” carcere di Augusta: finalmente!!!


di Daniela Domenici

Ci è pervenuto un delizioso biglietto di auguri di Buona Pasqua da un detenuto tra i più cari tra quelli con cui abbiamo avuto rapporti nei nostri due anni all’interno del carcere di Augusta, purtroppo non possiamo mettere il suo nome come meriterebbe per paura che subisca qualche ritorsione dall’Alto per aver osato scriverci, per aver violato il silenzio epistolare imposto. Non posso copiarlo tutto per non rendere riconoscibile questa persona ma è già bellissimo quello che ho potuto trascrivere. Grazie di cuore da parte nostra.

Carissimi Nino e Daniela

A giorni è Pasqua, un momento importante per chi crede. Io vorrei avere più fede in modo da credere di più anche nella bontà degli esseri umani.

Voglio dirvi che quando ho il piacere di avere a che fare con persone come voi, con i bei sentimenti verso il prossimo che esternate non solo a parole,ma soprattutto con la vicinanza, mi sento meglio e la fiducia nel futuro si fa più forte…Concludo con un abbraccio ad entrambi ed un augurio di Buona Pasqua esteso a chi vi è caro. Con affetto”

Carcere: avanti il prossimo…e siamo a 18


Nota di IxR: Il blog Metilparaben, in segno di protesta per le condizioni dei detenuti, pubblica, aggiornandola di volta in volta, la lista dei suicidi in carcere dal primo dell’anno. IxR si associa alla protesta.

La lista, nell’indifferenza generale, continua ad allungarsi. I detenuti italiani, sotto la responsabilità di uno stato ipocrita e irresponsabile che di fatto ha ripristinato la pena di morte, sono costretti a vivere in condizioni che definire indecenti sarebbe un eufemismo.
Senza troppi giri di parole, questo è  un paese incivile.
Pierpaolo Ciullo, 39 anni – 2 gennaio – carcere di Altamura, asfissia con gas;

  1. Celeste Frau, 62 anni – 4 gennaio – carcere Buoncammino di Cagliari, impiccagione;
  2. Antonio Tammaro, 28 anni – 7 gennaio – carcere di Sulmona, impiccagione;
  3. Giacomo Attolini, 49 anni – 8 gennaio – carcere di Verona, impiccagione;
  4. Abellativ Sirage Eddine, 27 anni – 14 gennaio – carcere di Massa, impiccagione;
  5. Mohamed El Aboubj, 25 anni – 16 gennaio – carcere S. Vittore di Milano, asfissia con gas;
  6. Ivano Volpi, 29 anni – 20 gennaio – carcere di Spoleto, impiccagione;
  7. Cittadino tunisino, 27 anni – 22 febbraio – carcere di Brescia, impiccagione;
  8. Vincenzo Balsamo, 40 anni – 23 febbraio – carcere di Fermo, impiccagione;
  9. Walid Aloui, 27 anni – 23 febbraio – carcere di Padova, impiccagione;
  10. Rocco Nania, 42 anni – 24 febbraio – carcere di Vibo Valentia, impiccagione;
  11. Roberto Giuliani, 47 anni – 25 febbraio – carcere di Rebibbia (Roma), impiccagione;
  12. Giuseppe Sorrentino, 35 anni – 7 marzo – carcere di Padova, impiccagione;
  13. Angelo Russo, 31 anni – 10 marzo – carcere di Poggioreale a Napoli, impiccagione;
  14. Detenuto italiano, 47 anni – 27 marzo – carcere di Reggio Emilia, asfissia on gas;
  15. Romano Iaria, 54 anni – 3 aprile – carcere di Sulmona, impiccagione;
  16. Carmine B., 39 anni – 7 aprile – casa circondariale di Benevento, impiccagione;
  17. Detenuto italiano, 40anni – 11 aprile – casa circondariale si Santa Maria Capua Vetere, asfissia con gas.

    da www.metilparaben.it

Intervista all’onorevole Rita Bernardini


di Daniela Domenici

Inizia oggi l’ottavo giorno di sciopero della fame di Rita Bernardini, deputata radicale eletta nelle liste del PD.

Le abbiamo rivolto alcune domande in merito a  questa sua protesta non violenta.

–      Cosa vuoi ottenere con questo sciopero della fame a oltranza a cui partecipano anche Irene Testa, Claudia Sterzi, Alessandro Litta Modigliani, Annarita Digiorgio e Riccardo Masi?

–      Voglio la calendarizzazione della mia mozione n°250, presentata alla Camera lo scorso 19 novembre, sulla situazione esplosiva nelle carceri italiane soprattutto dopo i recenti fatti di morti sospette come quella di Cucchi e di suicidi come il giovane Yassine. Sto raccogliendo firme intorno a questo mio testo, in questo momento siamo a quota 69, una bella cifra che spero di poter aumentare. Colgo inoltre l’occasione per ribadire il mio invito a tutta la comunità penitenziaria a unirsi a questa battaglia nonviolenta, per lottare insieme con proposte concrete.

–      Quanto tempo ancora pensi di continuare in questo sciopero? E la tua salute?

–      Con una grande senso dell’umorismo mi ha risposto: sono abituata, sono una “pannelliana” convinta”, una volta sono arrivata anche a 38 giorni e alla fine mi hanno dovuto fare le flebo di ferro…

–      Da cosa e quando è nato questo tuo interesse per il pianeta carcere?

–      Quando ero agli inizi della mia militanza tra i radicali accompagnavo Marco Pannella e Emma Bonino nelle loro visite nelle varie carceri italiane; vedendo queste realtà di “vita ristretta” è stato naturale, per me, in un certo senso continuare la loro opera. Il “blitz” a Ferragosto scorso, quando molti giornalisti hanno trascorso un giorno all’interno di un carcere per vedere e toccare dal vivo come si vive là dentro, è stata un’idea mia. Nel prossimo ponte dell’Immacolata, a dicembre, verrò in Sicilia per visitare i centri di accoglienza per extracomunitari, la Sicilia ne ha il numero massimo. E martedì prossimo sarò in TV alla trasmissione “Matrix” per un confronto dialettico col ministro della giustizia Alfano.

Le ho poi chiesto il permesso di pubblicare il testo integrale della sua mozione.

Giustizia: i Radicali da 5 giorni in sciopero fame per le carceri


Inizia il quinto giorno di digiuno per Rita Bernardini, Irene Testa, Annarita Digiorgio, Alessandro Litta Modignani e me, per la calendarizzazione della mozione presentata dall’onorevole Bernardini e altri, sulla insostenibile condizione delle carceri italiane”.

Lo afferma Claudia Sterzi, segretaria dell’associazione radicale Antiproibizionisti, che aggiunge: “Condizioni carcerarie che ci riportano sempre di più a un medioevo che avremmo voluto fosse rimasto solo un ricordo storico. In queste carceri vivono, o meglio sopravvivono, cittadini rei solo di coltivazione per uso personale di canapa, un reato che farebbe ridere se non fosse per la tragedia sociale, umana e politica delle sue conseguenze. I radicali, da decenni, combattono una battaglia nonviolenta per la depenalizzazione del consumo personale e quindi anche della coltivazione domestica; nella mozione presentata si richiama anche l’ultimo disegno di legge presentato che è, appunto, dell’onorevole Bernardini, e che equipara la coltivazione domestica all’uso personale, come sembrerebbe ovvio ma non è. Quale reato commettono i cittadini che coltivano per se stessi, se non quello di non finanziare il narcotraffico, che contribuisce in misura preponderante alla sopravvivenza delle mafie? Per la libertà di uso e di coltivazione, per liberarsi dalle mafie e dal narcotraffico, prosegue dunque la nostra rivolta nonviolenta alla quale invito tutti gli antiproibizionisti, i consumatori e i coltivatori ad unirsi”.

da www.ristretti.it

Sulla morte di Yassine e sui ragazzi che restano dentro


del Gruppo Ipm dell’Associazione “L’altro Diritto Onlus”

In questi giorni, dopo la terribile morte di Yassine, i riflettori dei media sono stati improvvisamente puntati sull’Istituto penale per i minorenni di Firenze, e molti sono stati i commenti di politici e rappresentanti delle istituzioni. Le volontarie e i volontari del gruppo IPM dell’Altro diritto onlus, che entrano nell’istituto da dieci anni, svolgendovi una serie di attività di informazione e sostegno per i ragazzi detenuti, hanno finora taciuto perché troppo colpiti da questo lutto. Solo oggi, dopo molte riflessioni, desideriamo esprimere la nostra profonda tristezza per la morte di Yassine, che per noi non è uno dei tanti, ma è il ragazzo conosciuto in questi mesi e al quale abbiamo sperato di poter fornire un po’ di sostegno e di leggerezza, invano. Chi è entrato costantemente nel carcere minorile in questi mesi, non può dimenticare il suo volto. Vogliamo però non limitarci a una espressione di cordoglio, perché siamo consapevoli del fatto che la storia di Yassine non rappresenta un’eccezione. È sì raro che un ragazzo si uccida in un Istituto penale per i minorenni, ma non è rara la sofferenza che Yassine si portava dentro.

Oggi nell’Istituto penale minorile di Firenze sono rimasti altri 21 ragazzi, che portano dentro di sé un dolore immenso per quel che è accaduto, un dolore che si è andato ad aggiungere alla già difficile esperienza di chi vive in stato di detenzione. Per alcuni di loro questo non è il primo suicidio cui assistono, per molti questo lutto si somma ad altri già vissuti nonostante la giovane età. I compagni di cella di Yassine ne hanno raccolto l’ultimo respiro, uno di loro lo ha vegliato pregando. Tutti ieri hanno voluto incontrare l’imam di Firenze, forse una delle poche figure pubbliche che sia davvero riuscita a portare loro conforto.

Oggi, prima che i riflettori si spengano di nuovo (qualcuno ci ha già detto che è tardi per questa riflessione perché la notizia non è più fresca!), vorremmo segnalare alcune cose che riteniamo importantissime: la prima è che, contrariamente a quanto si pensa, le carceri minorili non sono giardini d’infanzia. Sono luoghi per lo più migliori delle carceri per adulti, sono luoghi – come il “Meucci” – dove gli operatori sono profondamente dediti al loro lavoro, ma sono pur sempre dei luoghi di reclusione.

L’art. 37 della Convenzione Onu sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza, di cui proprio in questi giorni si celebra il ventennale, stabilisce chiaramente che: “L’arresto, la detenzione o l’imprigionamento di un fanciullo devono essere effettuati in conformità con la legge, costituire un provvedimento di ultima risorsa e avere la durata più breve possibile”. Il Consiglio d’Europa non ha fatto altro che ribadire questo principio a più riprese, affermando che la carcerazione non è uno strumento adatto alla risocializzazione dei minori autori di reato, e che essa deve essere inflitta loro solo quando non sia possibile ricorrere a un diverso sistema di controllo o di sanzione.

Nella stessa direzione va, lo sanno tutti, la normativa italiana sul processo penale minorile, considerata come una delle punte più avanzate del mondo occidentale in tema di tutela dei diritti dei minori. Non possiamo allora accettare che persino di fronte al suicidio di un ragazzo detenuto per mesi in attesa di giudizio per un tentato furto si dica che “spesso il carcere è la soluzione migliore per questi ragazzi”. Nonostante la buona volontà degli operatori, il carcere non è un luogo di presa in carico: si fa il possibile, ma il possibile è troppo poco e le buone intenzioni sono costantemente frenate dalla burocrazia e dalle esigenze di controllo tipiche di ogni situazione carceraria, quel che è accaduto a Yassine ne è la tragica dimostrazione.

Gli operatori della giustizia e i servizi sociali non possono arrendersi a una simile constatazione, che fa ancora più scalpore se pronunciata non caso per caso, ma come massima generale. Noi vorremmo ricordare che, sebbene autori di reato – la maggioranza dei ragazzi ne ha commessi soltanto di lievi -, questi minori hanno diritto a poter costruire il proprio futuro e a vivere un presente conforme alle esigenze proprie di tutti gli adolescenti.

La seconda cosa, urgente, che vorremmo segnalare è che oggi nell’Ipm di Firenze, come negli altri sparsi per l’Italia, restano molti ragazzi e che per loro non solo non viene fatto niente di speciale, ma neppure niente di ordinario. Nell’Istituto fiorentino la scuola non è mai stata organizzata in modo stabile dal Provveditorato. La presenza degli insegnanti dipende dalla buona volontà di chi si fa assegnare una classe in carcere e dall’organizzazione della Scuola città Pestalozzi di Firenze, che si occupa dei corsi di formazione serale per adulti.

Quest’anno non sono riusciti, come altri anni, a incaricarsi anche di questo compito extra, nella situazione già difficile che gli enti preposti alla formazione attraversano, e così la scuola media non è ripartita con l’inizio dell’anno scolastico. Le volontarie e i volontari dell’altro diritto si stanno affannando a collaborare con l’unica insegnante elementare presente per supplire a questa mancanza, e non è la prima volta che questo avviene.

Le istituzioni della giustizia minorile sono state sollecitate dall’istituto stesso, ma invano. Si dà per scontato che in un periodo come questo, dove la scuola è in sofferenza, l’ultimo problema sia quello della scolarizzazione dei minori detenuti. Eppure, la scuola non è per loro solo un diritto, ma è anche una delle poche finestre che essi hanno sull’esterno, un modo per impiegare le mattinate altrimenti vuote, tutte passate – a 15,16,17, 18 anni – entro la cinta di un solo squallido cortile.

Infine, che cosa facciamo per i ragazzi rimasti, come li aiutiamo di fronte al trauma subito? Accettiamo che sia uno dei tanti? Consideriamo sufficiente l’organizzazione ordinaria presente negli Istituti penitenziari? O pensiamo che sia l’ora che la città si prenda cura di questi suoi giovani? Che le carceri minorili diventino davvero luoghi aperti e trasparenti e soprattutto spopolati, in cui sia possibile seguire pochi ragazzi facendo prevalere quelli che Alessandro Margara chiama “gli spiriti della casa” sugli “spiriti del carcere”? L’Ipm Meucci è dietro la stazione centrale. Quanti fiorentini conoscono la sua esistenza?

I ragazzi detenuti nell’Ipm di Firenze, come nel resto d’Italia, appartengono quasi esclusivamente ai seguenti gruppi sociali: sono stranieri, rom, sinti, o minori originari del sud Italia. Se si confrontano i dati relativi alla popolazione detenuta con quelli dei minori autori di reato si scopre facilmente come questi gruppi sociali sono sovra rappresentati in carcere. Il sistema della giustizia penale minorile opera una selezione sociale, individuando come suoi “utenti” privilegiati i minori appartenenti alle categorie più disagiate. Un simile processo di selezione smentisce gli intenti professati dalla riforma del 1988 e dal sistema penitenziario trattamentale nel suo complesso.

Se Yassine fosse stato italiano e avesse avuto alle spalle una “normale famiglia italiana” non sarebbe mai finito in carcere e, certamente, oggi nessuno considererebbe “scaduta” la notizia del suo suicidio. Insieme ai ragazzi reclusi in Ipm, siamo addolorati e indignati. Vorremmo che anche la società nella quale viviamo e lavoriamo continuasse ad esserlo e decidesse di muoversi per evitare che queste tragedie continuino a ripetersi.

da www.ristretti.it