Già mille detenuti per denuncia trattamenti inumani si sono rivolti a Antigone per ricorso a Corte Europea


“L’Italia sta violando i diritti umani nelle carceri senza porsi il problema del rimedio”. Lo denuncia Patrizio Gonnella, presidente dell’associazione ‘Antigone’ che annuncia come già mille detenuti, da agosto ad oggi, abbiano chiesto il sostegno dell’associazione nella procedura di ricorso alla Corte europea dei diritti umani contro le condizioni di vita che sono costretti a subire negli istituti di pena italiani.

“Mille richieste di indennizzo, dunque, contro lo Stato italiano – spiega Gonnella – per violazione dell’articolo 3 della Convenzione europea dei diritti umani, quello che vieta le torture e le pene inumane o degradanti”. E aggiunge Gonnella “i primi ricorsi sono stati già formalmente depositati”.

La situazione delle carceri è fuori dalla legalità interna – dice ancora il presidente di Antigone – nonché della legalità internazionale. Non sono rispettate le leggi nazionali; la quasi totalità delle celle non è a norma rispetto al Regolamento del 2000 approvato dall’allora Presidente della Repubblica Ciampi.
Non sono rispettate le norme internazionali. Sono palesemente violati gli standard europei sui metri quadri a disposizione per ogni detenuto. E per questo a luglio l’Italia è stata condannata a risarcire un detenuto bosniaco di mille euro perché per mesi ha vissuto in meno di 3 metri quadri. Ipotesi configurata dai giudici europei come tortura”.

Proprio in occasione del Natale ‘Antigone’ ha visitato numerose strutture penitenziarie riscontrando situazioni gravi anche negli ospedali psichiatrico giudiziari (opg).

A Napoli, nell’ Ospedale psichiatrico giudiziario, sono 127 gli internati che trascorrono gran parte della loro giornata chiusi all’interno di celle spoglie. E’ utilizzato il letto di contenzione. “Tra i casi più gravi – racconta Gonnella – quello di un ragazzo immigrato di appena 21 anni, che si trovava seminudo (con solo uno slip e un pullover) in una cella liscia priva di ogni cosa, letto incluso e con il blindato chiuso. La cella era sporca di escrementi.

Dal registro ci risulta sia stato legato al letto di coercizione per almeno tre giorni di seguito, appena giunto in OPG, e poi portato in una cella liscia”. Nella Casa circondariale di Piacenza ci sono 398 detenuti per una capienza regolamentare di 200 posti (tasso di sovraffollamento del 199%). A Bari i detenuti sono 612, per una capienza regolamentare di 295 posti (tasso di sovraffollamento del 207%).

Alla Dozza di Bologna i detenuti sonno 1.177 detenuti in una struttura nata per contenerne 483. “Scandaloso – commenta Gonnella – il numero di 4 educatori, mentre dovrebbero essere almeno 21”. Il tasso di sovraffollamento è del 243%.

Nell’ opg di Reggio Emilia gli internati sono 295 per una capienza regolamentare di 120 posti (sovraffollamento del 245%). Nella Casa di reclusione di Alessandria San Michele i detenuti sono 384 per una capienza regolamentare di 173 posti (tasso di sovraffollamento del 221%).

“Ci auguriamo – conclude Gonnella – che il Governo non risponda a questo gravissimo vulnus allo stato di diritto raccontando per l’ennesima volta le frottole del piano carceri”.

da www.linkontro.info

Cucchi, il Dap: “Una morte che viola i diritti umani”


Stefano Cucchi Stefano  

La di Stefano Cucchi è stata una “continuativa mancata risposta alla effettiva tutela dei di­ritti” proprio mentre era nelle mani dello Stato e della sua burocrazia. Mancanze che “si sono sus­seguite in modo probabilmente non coordinato e con condotte in­dipendenti tra loro”, ma questo non assolve nessuno. A comincia­re dal personale dell’amministra­zione penitenziaria, agenti compre­si. Le possibili colpe di “altri orga­ni e servizi pubblici” dai quali Cuc­chi è transitato, non attenuano “la responsabilità di quanti, apparte­nendo all’amministrazione peni­tenziaria, abbiano partecipato con azioni e omissioni alla catena della mancata assistenza”.

Queste le conclusioni dell’indagine della Direzione genera­le delle sulla fine del tossico­dipendente arrestato dai carabinie­ri e deceduto all’ospedale Sandro di Roma, dov’era stato rico­verato per le fratture subite. La magistratura ipotizza che sia stato pic­chiato nelle celle di sicurezza del tri­bunale di Roma dagli agenti peni­tenziari, ma non si sa bene ancora dove, quando e da chi. La rela­zione della commissione formata da Sebastiano Ardita, Maria Letizia Tricoli e Federico Falzone e altri funzionari del Dap è stata inviata al­la procura di Roma, che la valuterà e ne trarrà eventuali conseguenze.

Il rapporto del Dap dà atto delle “condizioni lavorativa­mente difficili” in cui gestiscono gli arrestati e i detenuti in attesa di giudizio nei sotterranei del tribuna­le di Roma. Ma spiega che “risulta difficile accettare che il personale non sia stato posto a conoscenza neppure dell’esistenza della circola­re per l’accoglienza dei ‘nuovi giun­ti’ (quella con le regole sulla ‘pri­ma accoglienza’ ai detenuti, ndr)” . Non c’era, ad esempio, il registro coi nomi degli arrestati e l’annota­zione dei movimenti con gli orari.

Le camere di sicu­rezza del tribunale di Roma versa­no, inoltre, in condizioni degradate e degra­danti, perché hanno spazi ridotti, non ci sono servizi igienici, non prendono aria né luce dall’esterno ed è possibile che lì vengano richiu­se persone rimaste a digiuno anche da ventiquattr’ore: “All’atto del so­pralluogo le condizioni igieniche presentano evidenze di materiale organico ormai essiccato sui muri interni (vomito) che risultano in parte ingialliti e sporcati con scrit­te. Sul pavimento, negli angoli, si ri­levano accumuli di sporcizia”.

 In questi ambienti, secondo gli elementi d’accusa raccolti finora dalla procura di Ro­ma, Stefano è stato aggredi­to dagli agenti penitenziari, suben­do le fratture che hanno portato al ricovero sfociato nella del pa­ziente-detenuto. Gli ispettori del Dap non traggono conclusioni sul (per cui sono indagate tre guardie carcerarie e non i carabi­nieri che avevano arrestato la sera prima dell’udienza in tribu­nale, i quali hanno riferito e dimo­strato di non essere stati presenti nelle camere di sicurezza del tribu­nale) rimettendosi alle conclusioni dell’indagine giudiziaria. Però indi­cano la cronologia degli eventi at­traverso le testimonianze, a comin­ciare da quella dell’infermiere del Servizio 118 che visitò la notte dell’arresto, tra il 15 e il 16 ot­tobre, nella stazione dei carabinieri di Torsapienza. Trovò il giovane in­teramente coperto, e poco o per nulla collaborativo. “Ho cercato di scoprirgli il viso per verificare lo stato delle pupille e guardarlo in volto… C’era poca luce perché nella stanza non c’era la luce accesa… Ho potuto notare un arrossamento, ti­po eritema, sulla regione sottopal­pebrale destra. Non potevo vedere la parte sinistra perché il paziente era adagiato su un fianco”.

L’infermiere, visto che “comunque rispondeva a tono e ri­fiutava ogni intervento”, se n’è an­dato dopo mezz’ora. I carabinieri avevano chiamato il 118 “riferendo di una crisi epilettica”, ma il neuro­logo dell’ospedale Fatebenefratel­li  che ha visitato il detenuto la se­ra del 16 ottobre riferisce che Cuc­chi «precisò che l’ultima crisi epilet­tica l’aveva avuta diversi mesi fa”. Al dottore, come ad altri, disse che era “caduto dalle scale”, ma nella relazione del Dap sono ri­portate anche testimonianze di al­tro tenore. Dall’incontro di con altri detenuti, durante il quale faceva il sacco,  all’ammissione del ragazzo che a domanda rispose “sono stato pestato al momento dell’arresto”.

 Quanto al ricovero nel reparto carcerario dell’ospedale — a parte l’odissea vissuta dai geni­tori di che non sono riusciti a vederlo né ad avere notizie, e han­no saputo della solo dalla no­tifica del decreto che disponeva l’autopsia — il giudizio finale è che le regole interne dell’ospedale ab­biano finito per incidere perfino su residui spazi che risultano assoluta­mente garantiti nella dimensione penitenziaria. Ragione per cui il trattamento finale del degente-de­tenuto è risultato essere la somma di tutti i limiti del carcere, dell’ospe­dale e della burocrazia”.
 
Per gli ispettori questa vicenda “rappresenta un indicatore di in­sufficiente collaborazione tra re­sponsabili sanitari e penitenzia­ri”, e certe giustificazioni avanza­te da alcuni responsabili “non me­ritano qualificazione”. In conclu­sione, “risulta censurabile l’opera­to complessivo nei confronti del detenuti e dei suoi familia­ri, in particolare nell’ambito del ‘’, laddove non è stata po­sta in essere delle prescrizioni vol­te all’accoglienza e all’interpreta­zione del disagio del detenuto tos­sicodipendente”.

 da www.blitzquotidiano.it

Dalla Guantanamo di Asti una richiesta di auto


guantanamoEgregia Associazione Ampi Orizzonti,
un cordiale saluto da parte dei detenuti della sezione isolamento di via Quarto Inferiore ad Asti. Siamo accusati in base al 270 bis.
Scriviamo rispetto a: la tortura mentale e fisica in questo posto ed anche nelle carceri di Macomer e Benevento. Siamo trattati così per un solo motivo: perché siamo musulmani e accusati di terrorismo.
Un grido di aiuto da parte nostra.
Siamo circa 30-40 persone musulmane nelle carceri italiane, divise tra le carceri di Benevento, Macomer (Nuoro) e Asti. In tutti e tre questi istituti c’è un clima, contro di noi, di odio, pregiudizio, discriminazione religiosa, data la nostra provenienza e il colore della nostra pelle. In queste carceri, da parte dei ministeri della Giustizia e degli Interni, c’è, contro di noi, una sistematica violazione dei diritti umani, della libertà personale e individuale in tutti i sensi. Veniamo picchiati, ci vengono negate negate l’assistenza medica, la libertà di religione; non abbiamo un luogo di culto per noi e neppure un’area per il passeggio. Ci sono persone anziane con patologie gravi. Le regole che applicano contro di noi sono contrarie alle regole internazionali riguardanti i diritti dei detenuti.
Siamo nella categoria “A(lta) S(orveglianza) 2”, invece di essere in una sezione normale con l’aria grande delle attività sportive; dobbiamo pagare noi le medicine per curare le nostre malattie. Tra noi ci sono persone che hanno tentato il suicidio, per diverse volte. Qui mettono insieme persone che fumano e che non fumano. In sezione siamo circa in 20 persone e disponiamo di una sola doccia. Siamo trattati peggio di chi accusato di mafia, pedofilia, assassinio. Più della metà di noi è in attesa di giudizio ed è la prima volta che entra in carcere. Siamo in condizioni mentali disastrose a causa del processo complesso che ci troviamo di fronte.
Adesso vi raccontiamo un poco delle celle in cui ci troviamo adesso. Sono celle da una persona e invece ci tengono in due. A parte un paio di cose, in cella non possiamo tenere niente della nostra roba per vestirci. Le celle sono sporche, l’acqua esce dagli scarichi, dalle finestre entra la pioggia. Non riusciamo a pregare perché c’è sempre acqua in terra. Non andiamo all’aria tutti assieme, ma in una tomba singola accoppiata direttamente a ciascuna cella, dove, da quando siamo qui, circa una settimana, rifiutiamo di andarci.
Fra noi ci sono due persone con problemi reumatici e una brutta circolazione del sangue. Una persona asmatica, che da circa 6 mesi chiede di essere curata, la stanno riempiendo di pasticche. Tre giorni fa un nostro coimputato arrivato da Benevento ha compiuto il viaggio, circa mille km, in furgone, incatenato per una notte e un giorno. E’ arrivato ad Asti alle cinque del mattino. Alle 5,30 ci hanno svegliato tutti per portarci in tribunale. Come può, una persona che non dorme da 24 ore affrontare un processo complesso in quella condizione fisica e mentale? Siamo tutti mentalmente instabili per quello che abbiamo passato e stiamo passando adesso.
Vorremmo tanto andare avanti a raccontare tante altre cose. Un’ultima la diciamo: uno di noi che si trova nel carcere di Nuoro, in Sardegna, gli danno il pane con il maiale. Come voi sapete noi non mangiamo il porco. Siamo diventati vegetariani, potete immaginare come è la situazione.
Speriamo che la nostra lettera trovi qualche riscontro positivo, Preghiamo dio che là fuori ci sia qualcuno che ci aiuti, che può essere presente nella Corte d’assise di Milano, per vedere cosa sta succedendo in quell’aula, dove abbiamo seguito le vie legali, però senza esito.
Distinti saluti da parte nostra.

I detenuti della famosa guerra al terrorismo da Guantanamo Asti.
Ottobre 2009

(L’indirizzo è: via Quarto Inferiore 266 – 14030 Asti)

Lettera ricevuta via mail da: olga2005@autistici.org

dal sito www.informacarcere.it