Adolescenti dello stesso viaggio


di Tiziana Mignosa

Se il bimbo
coi suoi passi incerti
la spinta trova al posto di carezza
quando il pavimento con le mani tasta
il cielo capovolto sotto ai piedi incrocia.
 
Le parole intinte nell’aceto
aiutano soltanto chi le rigurgita
alleggerendo così il sacco della rabbia
sospingono il bersaglio del momento
sugli spigoli della sofferenza a scrocco.
 
La gentilezza
è mano che accompagna sulla via
soffice poltrona
che il posto espugna
al duro banco della scuola.
 
Infatti chi per prima
davvero alla scialuppa arriva
tira a mare il salvagente
invece di piombarlo in testa
a chi nell’acqua di certo non sta bene.
 
A tutti noi
adolescenti dello stesso viaggio
ci viene chiesto d’essere migliori
ma non per  questo
di considerarci i primi.
 
Rallenta il passo
infatti
chi crede d’essere il più bravo
quando l’altruismo e l’umiltà
sono scarpe comode chiuse nel buio dell’armadio.
 

“Parole e pioggia”


di Angela Ragusa

…in quel viaggio tra nuvole,
dove forme cambiano e mutano
orizzonti di plumbeo bagliore
inspiegabili arcani,
segreti mai svelati
tratteggiano immagini
e assistono all’ignoto…

Parole risuonano
nel cuore di ogni goccia

Un brusio intona e si perde
tra corde striate
di immenso arcobaleno
apparso d’incanto
a pittare il grigiore
di tela bagnata
che attende il suo sole.

“In viaggio con me” fa sosta a Catania


di Daniela Domenici

La valigia bordeaux di Brunella Li Rosi ha fatto la seconda tappa del suo viaggio, che speriamo sia lungo e fruttuoso, dopo quella ll’Odeon di Lentini, ieri a Catania.

L’opera prima della signora Li Rosi è stata presentata, nella splendida cornice della libreria Mondadori di corso Sicilia 23 a Catania, da due relatori: il giornalista Salvo Di Salvo che ha introdotto la serata per poi concluderla e dalla professoressa-preside (in pensione) Concetta Greco Lanza che è anche editore del libro presentato.

La relatrice ha saputo raccontare la trama di “In viaggio con me” con soavità di toni e poesia di contenuti che hanno attratto e affascinato il pubblico presente attentissimo e coinvolto; è riuscita a estrapolare i temi principali del libro, gli insegnamenti morali che ne derivano, la semplicità del linguaggio usato vista come qualità distintiva dell’autrice.

Il giornalista Di Salvo, dopo la presentazione della prof. Lanza, ha dato la parola alla Li Rosi che ha risposto ad alcune domande che le sono state poste.

Le prossime tappe del viaggio della valigia bordeaux di Brunella Li Rosi saranno il 7 maggio a Leucatia (CT) e poi nella seconda metà di maggio a Francofonte e a Palazzolo.

Michele in autobus


 di Alessandro Mascia

Ci sono bambini che si innamorano dei carabinieri, altri dell’ambulanza. Io ero innamorato delle navi, le sognavo, realizzavo scafi anche con poco: mi bastava una foglia di oleandro e un rigagnolo d’acqua per sottrarmi dal mondo per buone ore. Mio figlio, invece, si è innamorato degli autobus, quindi, ultimamente, ci siamo ritrovati a una fermata per fare un giro della città. Una mano al bambino che, con sguardo attento, scrutava l’orizzonte in attesa dell’autobus e nell’altra una copia di Diario clandestino, un’eccezionale cronaca umoristica degli anni trascorsi dentro un lager da Giovanni Guareschi. Quando viaggio in autobus, di solito, leggo pagine e pagine. Il problema è che al servizio di trasporto pubblico, che ritengo non affidabile, preferisco la macchina e il tempo che potrei dedicare alla lettura è sottratto dalla guida. Sarà per questo che nel Nord Europa, dove i servizi di trasporto pubblico funzionano bene, si legge di più? Guidare meno e leggere di più. Ottimo tandem pubblicitario per Trenitalia e Mondadori. Dovrei proporglielo. C’è da dire che anche il clima soleggiato della nostra terra gioca a sfavore della carta stampata. Aprendo i battenti la mattina, alle nostre latitudini, siamo investiti da una gagliarda giornata fatta di luce, di chiacchiericcio, di profumi. Io, poi, che vivo sopra un panificio…! Da noi si esce per strada, si va al mercato, si incontra un sacco di gente e il tempo che il nord europeo dedica alla lettura, noi lo si dedica al ‘cuttigghio’, una forma meno nobile, certamente, ma ugualmente appagante di lavorìo cerebrale. Di qui il nostro inclito vezzo a socializzare anche con gli sconosciuti.

Un luogo dove si attacca facilmente bottone è proprio sull’autobus. Non fosse che io preferirei leggere, ci sarebbe da fare edificanti chiacchierate. Nell’ultimo viaggio, però, mi sono fatto distrarre dalla biodiversità che transitava sul pianale del mezzo, fuoriuscita dalle proprie dimore per spostarsi, a buon prezzo, dal punto A al punto B della città. Quando ho visto l’autobus sbucare dall’angolo e dondolare la testa verso gli astanti alla fermata, mi sono ricordato del dragobruco, un divertente traslato dell’autobus urbano, descritto da Stefano Benni nel suo Achille piè veloce. Il dragobruco ha accostato pesante alla pensilina con quell’occhietto laterale che fiammeggia ammiccante verso gli utenti sempre più addensati nell’intento di varcare per primi la soglia della sua bocca famelica. E a ogni fermata è così, il dragobruco aspira ed espira gente. Siccome mio figlio pretende sempre di compiere un viaggio da capolinea a capolinea, ho avuto un bel daffare a studiare le varietà di homo sapiens che si sono presentate alla mia analisi informale.

Nel viaggio a cui si ispira questa mia cronaca c’era un tizio smilzo e malvestito che dormiva già prima della nostra salita a bordo con la testa reclinata sul vetro del finestrino. Ha dormito durante il tragitto e anche dopo la nostra discesa. No, non era morto e dopo spiego il perché.

La vignetta più dolce e universale, a ogni modo, è quella della caratteristica coppia di anziani. Lui sui 70, giacca, cravatta, pochette candida, loden verde oliva, i capelli residui piegati all’indietro. Lei, poco più giovane, legata a braccetto al suo uomo, distinta, un velo di rossetto sulle labbra. Sono saliti sorridenti sul mezzo, portando un saluto cordiale. Due personcine a modo, d’altri tempi, tutte rappresentanza e buon cuore.

A una fermata centrale, in una boccata di gente inspirata dal dragobruco, è salito un ragazzo invecchiato dall’evidente abuso di sostanze esogene. In mano stringeva gelosamente una bottiglietta di birra marrone malcelata in una busta di cartone, a cui si aggrappava nei frequenti momenti di scoramento. E parlava a voce altissima, arrabbiato, di cose sue che, non fosse stato per l’inintelligibilità di una pronuncia approssimata e pastosa, sarebbero diventate cose anche nostre. Questo tale, che mal si reggeva sui suoi propri piedi, ha ritenuto socialmente utile risvegliare quell’altro tale che dormiva con il capo riverso. E grida che ti grida il risveglio è avvenuto, ma i due, che dovevano essere imparentati dall’uso smodato di xenosostanze, dopo poco, si sono abbandonati entrambi a un sonno tenebroso che nessuno ha osato perturbare.

Davanti a noi era seduta una signora sui 50 che non dava l’impressione di avere tutte le rotelle al posto giusto. Sarà stato l’abbigliamento bizzarro o l’acconciatura arruffata, insomma, qualcosa non andava. Ho avuto certezza quando si è rivolta di scatto all’indietro, con occhi sbarrati, chiedendomi se mio figlio, ormai rapito dall’incedere del dragobruco, fosse maschio o femmina. Sbigottito e tachicardico ho risposto alla sua domanda, dopo di che è ritornata nella posizione originaria come fosse una di quelle statue viventi che stazionano nelle piazze delle città. A pensare che la gente è pazza ci vuol poco se ti fai un paio di fermate sull’autobus urbano.

Alla fine è entrata una zaffata di sporco che si è fatta spazio tra la gente prima di manifestarsi sotto forma di passeggera. Si trattava di una signora attempata, grassa, che dico grassa?, ridondante. Le carni esondavano dalle fessure delle vesti, volevano scappare da quel corpo evidentemente mal lavato che olezzava di giorni e giorni trascorsi senza il bene dell’acqua. Ho proposto a mio figlio di imboccare l’uscita alla fermata immediatamente successiva, ma al suo candido perché? ho fatto spallucce, non volendo condizionarlo con una considerazione che, probabilmente, era soltanto mia.

Finalmente siamo scesi al capolinea del dragobruco. Io non avevo sfogliato neppure una pagina del libro che avevo tra le mani, mi sentivo, tuttavia, in grado di scriverne uno. Un tuffo tra la gente. Tra normali e stravaganti, ordinari e straordinari, lindi e puzzoni. Anche questo è Augusta.

Letteratura: un viaggio alla scoperta della nostra lingua


Un viaggio alla scoperta della nostra lingua. Un viaggio tra simulazione e dissimulazione, tra cio’ che e’ e cio’ che appare, nel linguaggio, ma non solo. A proporlo e’ la terza edizione del festival diretto da Stefano Bartezzaghi e Maria Perosino ‘Le parole, i giorni’, che si svolgera’ a Poggibonsi, in provincia di Siena, dal 15 al 17 aprile. In programma tre giornate di appuntamenti dedicati al tema ‘Parole chiare e pensieri nascosti’ e la seconda edizione del premio ‘Parole d’Autore’. Il primo incontro e’ fissato per il 15 aprile alle 11.30, nella Sala minore del Teatro Politeama con Valeria Della Valle e Giuseppe Patota protagonisti di ‘Menta e’ un congiuntivo?’, una divertente lezione-spettacolo su come e quando usare il congiuntivo senza sbagliare. Alle 17 salira’ in cattedra Mario Lavagetto con una lectio magistralis dal titolo ‘Al lupo al lupo’ per riflettere insieme sul tema della menzogna nella letteratura e nelle fiabe. A seguire ci sara’ la conferenza – spettacolo di Massimo Arcangeli e Lucia Poli su ‘Le parole di Pinocchio: un viaggio fra memoria e identita” a cura di Zanichelli (ore 18, Teatro Politeama, Sala minore). E’ un percorso nella memoria attraverso parole, espressioni, proverbi (divenuti) difficili del testo di Collodi a cui si lega la visita alla mostra di Lorenzo Mattotti ‘La fabbrica di Pinocchio’. Nel pomeriggio di venerdi’ 16 aprile, alle 17, Paolo Albani condurra’ la conferenza-spettacolo ‘Il grotiandese. Un caso singolare di linguaggio ingannevole’. Ad essere indagata qui e’ la lingua parlata dagli abitanti delle Grotriand, una serie di isole coralline situate nell’oceano Pacifico, che notoriamente rappresenta uno dei casi piu’ sintomatici di linguaggio ingannevole.

fonte Adnkronos

Il cronista e il cielo di casa


di Roberto Puglisi

Ho cominciato a fare il giornalista perché il cielo sopra casa mia non mi bastava più. Ho il tesserino, all’esame mi hanno promosso. Ma sono rimasto un insicuro, in fondo. Non so se lavoro sempre all’altezza di ciò che io, in primis, mi aspetto da me.

Né il tesserino mi consola o mi rafforza. La conferma la trovo – quando la trovo – negli occhi delle persone di cui ho raccontato qualcosa, nelle loro mani, nella loro voce. E mi basta. Io mi faccio piccolo piccolo, quando entro nella vita delle persone, anche se peso 115 chili e sono uno e ottanta.

Mi faccio minuscolo, quando entro nella vita di chi ha subito un lutto. Quando provo a spiegare qualcosa. Quando mi tocca una cronaca complessa. Mi faccio piccolo perché non voglio essere visto, né voglio disturbare. Non sono io la cronaca. Ma tento di riflettere quello che vedo col piccolo specchio che mi porto in tasca. Si chiama taccuino. E sono così impegnato a camminare che non mi interessa stabilire una supremazia, in una ipotetica gara.

Come potrei dire che altri occhi sono peggiori dei miei? Magari avrà ragione chi sostiene che sia necessario un tesserino per l’accesso alla professione, non dico di no. Però io quando lavoro mi sento coinvolto in un grande rapporto d’amore con le cose e le persone che ho davanti. Se non l’avessi, basterebbe un tesserino?

Io ho fatto il giornalista perché il mio cielo e la mia vita non mi bastavano più. E ho scoperto, nel mio viaggio fin qui, che il cielo è immenso, che può essere la casa di tutti.

E che i veri beati sono quelli che lo attraversano in decoroso silenzio.

da www.palermo.blogsicilia.it

Convegno “Al di là del muro. Viaggio nei centri per migranti in Italia”


Dibattito sul sistema dei centri per migranti. Modera: Fiorenza Sarzanini – Inviato del Corriere della Sera Intervengono: Rolando Magnano – MSF – Missione Italia; Ferruccio Fazio – Ministro della Salute; Francesco Marsico – Vicedirettore della Caritas italiana; Rita Bernardini – Parlamentare della Camera dei Deputati; Angelo Malandrino – Vice Capo del Dipartimento per le libertà civili e l’immigrazione

http://www.radioradicale.it/scheda/296705/convegno-al-di-la-del-muro-viaggio-nei-centri-per-migranti-in-italia

“Penelope”


(Jovanotti, M.Canova Jorfida)
Armonica Edoardo Bennato
Le navi partono per mare
ma il cuore resta qua
gli dei ci truccano le carte
per confondere la verita’
C’e’ scritto nella bibbia che il signore
si servi’ di una puttana per entrare a Gerico
e Venere era strabica Beehtoven era sordo
ed era bassa e mora Marylin Monroe
e Superman si veste in giacca e cravatta
per nascondere ai terrestri la sua vera identita’
il diavolo ha una fabbrica di pentole
ma per quanto possa insistere i coperchi non li fa
Colombo navigo’ fino ai Caraibi ma poi non ballo’
la salsa con la gente che incontro’.
Mosi guido’ il suo popolo alle porte di Israele
ma mori’ la’ sulla soglia e non entro’

E tutti quanti ballano sul ritmo giusto
e intanto Penelope tesse la sua tela

nell’ora di punta

Cenerentola si e’ presa una sbandata
pero’ sa che a mezzanotte tutto quanto finira’
allora si organizza perche’ dopo mezzanotte
qualche cosa resti mentre tutto scorre e se ne va
e Giuda non si e’ mai capito bene
se quel bacio fu un tradimento o la piy grande fedelta’
e Chiara era una ricca signorina
che divenne ancor piy ricca quando amo’ la poverta’

le navi partono per marte
ma il cuore resta qua
gli Dei ci truccano le carte
per confondere la verita’
e intanto Penelope tesse la sua tela
nell’ora di punta
e intanto Penelope tesse la sua tela
nell’ora di punta
e tutti quanti ballano sul ritmo giusto
nell’ora di punta
e tutti quanti ballano sul ritmo giusto

se io mangio due polli e tu nessuno
statisticamente noi ne abbiam mangiato
uno per uno

e intanto Penelope tesse la sua tela
nell’ora di punta

Leonardo seziono’ diversa gente per scoprire
che la mente non si vede ma ce l’hai
e Nobel invento’ la dinamite ed il premio per la
pace per chi non la usasse mai
e Dante identifico’ l’amore nel profilo di Beatrice
pero’ un’altra lui sposo’
e Marley era figlio di una nera e di un marinaio bianco
ed il mondo conquisto’
Mercurio c’ha le ali alle caviglie e i messaggi li
consegna anche se uno non li aspetta
e Fred scopri’ che quando il ritmo e’ giusto
non ha niente a che vedere con quello della lancetta
Adamo mori’ e venne seppellito con un seme nella bocca
e quel seme germoglio’
divenne un grande albero
ci fecero una croce e quella croce Gesu Cristo sanguino’

http://www.youtube.com/watch?v=Ha6-n-3CXOM

Giustizia: viaggio nell’inferno dimenticato delle nostre carceri


di Lino Buscemi (Ufficio del Garante dei detenuti della Sicilia)

Il sovraffollamento penitenziario ha raggiunto livelli intollerabili tali da indurre lo stesso ministro della Giustizia Alfano a dichiarare, papale papale, che “le carceri italiane sono fuori dalla Costituzione”. Ed esattamente fuori da quell’articolo 27 che così recita: “Le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato”.

I detenuti, soprattutto in almeno 8 penitenziari siciliani, vivono una condizione non facile sicché parlare di “umanità” e di “rieducazione” è pura mistificazione. È fin troppo ovvio affermare che lo Stato democratico ha il dovere di punire i cittadini che commettono reati, ma non lo è altrettanto quando si arroga il diritto di torturali, sia in termini fisici che psichici.

Il sovraffollamento è una tortura? Provate a chiederlo a chi vive in una cella angusta e lurida, gomito a gomito con altri dieci individui in spazi che potrebbero al massimo contenerne 4 o 5. È anche una tortura vivere in una cella con il wc alla “turca” (spesso il “buco” di scarico è ostruito da una bottiglia di vetro per impedire ai topi o agli scarafaggi di fare visite notturne!), senza doccia, umida e con i vetri rotti, con scarse possibilità di poter ricavare un minimo di intimità per il soddisfacimento delle ineludibili funzioni corporali.

Come definire le “condizioni di vita” nelle carceri, ad esempio, dell’Ucciardone di Palermo, di Piazza Lanza a Catania, di Favignana, Marsala o Mistretta, se non inumane e degradanti? Persino le docce (dove spesso, in inverno, scorre acqua solo fredda) sono allocate in locali lontani dalle celle che per raggiungerli bisogna attraversare nudi i corridoi o le terrazze all’aperto.

Le risorse, inoltre, per realizzare programmi per la “rieducazione” del condannato o per il lavoro in carcere sono scarsissime e, comunque, non adeguate per dare effettiva attuazione all’articolo 27 della Costituzione. Si fa quello che si può, in maniera disorganica e discontinua, con l’aiuto del personale di polizia penitenziaria, con i direttori più sensibili e con la sparuta pattuglia di educatori, psicologi e volontari. Alle corte: lo stato in cui versano le carceri in Sicilia non è per nulla accettabile.

La stragrande maggioranza dei detenuti è in attesa di giudizio (soprattutto extracomunitari), per reati, in prevalenza, cosiddetti comuni e non di grave allarme sociale. Ogni detenuto costa allo Stato non meno di 350 euro al giorno, per ricevere, spesso, un trattamento inumano e degradante. All’orizzonte non si intravedono né atti di clemenza (come auspicato già da Giovanni Paolo II) né il ricorso massiccio alle misure alternative al carcere (arresti domiciliari, affidamento ai servizi sociali, semilibertà, ecc.), né tantomeno l’apertura di nuove carceri ultimate, né il ricorso alla liberazione anticipata (consiste in una riduzione della pena pari a 45 giorni, per ogni sei mesi di pena espiata dal detenuto che ha tenuto, però, regolare condotta ed ha anche partecipato alle attività trattamentali).

Non sembra, al momento, muoversi nulla che faccia presagire qualcosa di positivo. In Parlamento e nei Palazzi che contano, malgrado le ripetute grida d’allarme dei garanti dei diritti dei detenuti, regna il silenzio. Eppure le carceri esplodono e cominciano ad esserci problemi di sicurezza dentro di esse, come alcuni casi eclatanti recenti hanno abbondantemente dimostrato. A pagarne il conto sono i “poveracci”, i più deboli, che privi di adeguata assistenza legale pagano, per reati non gravi, il loro debito alla giustizia tutto per intero in condizioni pietose e di degrado.

La stessa cosa, sembra, non accadere per i “potenti”, che sanno come evitare il carcere e persino per i mafiosi che pur essendo sottoposti all’incostituzionale regime del “41 bis” dispongono, però, normalmente di celle pulite, arredate, con wc moderni e docce. Fare emergere nella sua crudezza quello che per ora appare “invisibile” aiuta non poco a sconfiggere la malagiustizia che costringe, intanto, i più “indifesi” ad abitare carceri dove sono calpestati la dignità dell’uomo e diritti fondamentali. Come se si trattasse di vere e proprie discariche sociali e non di luoghi preposti alla rieducazione e al reinserimento nella vita sociale.

da www.ristretti.it