Vancouver, sette medaglie: l’Italia paralimpica fa meglio delle Olimpiadi


Chiuse le Paralimpiadi con un bottino quasi doppio rispetto a quello che si pronosticava alla vigilia e superiore a quello conquistato un mese fa dai colleghi delle Olimpiadi: bene lo sci, in progresso gli sport di squadra

Celebrazioni chiusura delle paralimpiadi

VANCOUVER – E alla fine è arrivato anche l’oro, nell’ultima gara dei Giochi di Vancouver: una vittoria che va a impreziosire il bottino italiano e cancella lo zero dalla colonna dei successi. L’Italia torna a casa con l’undicesimo posto assoluto nel medagliere, il decimo se consideriamo non il metallo ma il numero complessive di medaglie. A Torino, quattro anni fa, erano arrivati due ori, quattro argenti e quattro bronzi, ma quella era stata l’edizione disputata come padroni di casa: le dieci medaglie poi erano state conquistate tutte da tre atleti: Gianmaria Dal Maistro (con la guida Tommaso Balasso: un oro e un argento), Silvia Parente (con la guida Lorenzo Migliari: un oro e tre bronzi) e Daila Dameno (un argento e un bronzo). Stavolta invece, a Vancouver, il totale complessivo parla di tre medaglie in meno, conquistate però da quattro diversi atleti, due uomini e due donne.

L’oro di Francesca Porcellato, già veterana dei Giochi estivi e plurimedagliata nell’atletica leggera, è di quelli che scintillano, per la grandezza dell’atleta e per la sua storia personale. Insieme a lei ripartono con il sorriso sulle labbra il collega di disciplina Enzo Masiello (argento 10 km sitting e bronzo 15 km sitting), e gli assi dell’alpino Gianmaria Dal Maistro e Tommaso Balasso (argento supercombi e doppio bronzo, nello slalom e nello slalom gigante). Con loro, il volto felice di Melania Corradini, argento nel super G.

La tensione che a Whistler è esplosa in gioia liberatoria con le gare dello sci, a Vancouver invece è rimasta in gola con gli sport di squadra: solo piazzamenti per gli azzurri, ma non si poteva aspirare a molto di più. L’ice sledge hockey chiude settimo, mettendo in campo un gioco migliore di quanto non dica la classifica finale, che comunque migliora la posizione di Torino 2006, quando si concluse il torneo all’ottavo posto. Il curling in carrozzina, invece, che a Torino 2006 festeggiava il debutto paralimpico piazzandosi ottavo, in Canada è risalito di 3 posizioni, occupando la quinta piazza, e sfiorando le semifinali nello spareggio perso con la Svezia.

La spedizione italiana ai Giochi riservati agli atleti con disabilità raccoglie un numero di medaglie superiore a quello ottenuto un mese fa dagli olimpionici azzurri: con un terzo delle discipline in gara (cinque sport, contro i 15 delle Olimpiadi), infatti, il medagliere italiano parla di sette medaglie contro le cinque conquistate ai Giochi olimpici (l’oro di Giuliano Razzoli nello sci alpino, l’argento di Pietro Piller Cottrer         nel fondo, e i bronzi di Arianna Fontana nello short track, di Alessandro Pittin nella combinata nordica e del sempreverde Armin Zoggeler nello slittino). Un motivo in più per andare fieri della prestazione azzurra.

da www.superabile.it

Enzo Masiello, prima medaglia a Vancouver


di Franco Bomprezzi

Enzo Masiello, uno dei nostri migliori atleti della nazionale paralimpica, ha centrato subito il bersaglio del podio, arrivando terzo, nelle gare della domenica, al termine della 15 chilometri di fondo. Una medaglia importante, meritata, dietro un colosso russo, Irek Zaripov, e dietro a un altro russo, Roman Petushkov. Sono contento per Enzo, grande atleta, persona simpatica, impegnato da tanti anni e conosciuto da tutti coloro che si occupano di sport per disabili. Vedo però la notizia in una ultima ora di corriere.it, non la trovo in home page dei quotidiani on line della domenica, trovo solo un servizio nel sito della Rai, firmato da Lorenzo Roata, e ho visto l’arrivo sul canale di sky. Troppo poco, penso, visto che tutti i giornali nazionali di grande spessore avevano scritto delle Paralimpiadi, annunciandole come un appuntamento di sport da seguire giorno per giorno. Se si fosse trattato di un bronzo alle Olimpiadi invernali dei cosiddetti “normodotati” avremmo visto la notizia ovunque. E’ domenica sera, e io, nel mio piccolo cerco di dare la notizia. Non c’è di peggio della retorica. E i giornalisti non fanno eccezione. Caro Enzo, complimenti. E in bocca al lupo a tutti gli altri.

Paralimpiadi, alziamo l’audience


di Franco Bomprezzi

Scattano le Paralimpiadi di Vancouver, due settimane dopo le Olimpiadi invernali. Per la prima volta nella storia dei giochi degli atleti disabili ci sarà una massiccia copertura televisiva da parte della Rai e soprattutto di Sky, che da giorni lancia i promo delle gare, con spot accattivanti, con interviste ai protagonisti, e ricordando che esistono cinque canali dedicati a raccontare l’evento. Non è poco, anzi è tantissimo, se si ha memoria del passato. Giustamente Luca Pancalli, presidente del Cip, Comitato Paralimpico Italiano, pone questo risultato come la principale vittoria di queste edizioni, sapendo che dal punto di vista agonistico sarà difficile ripetere l’exploit di Torino, quattro anni orsono.

E sarà difficile ripetersi non solo perché è cresciuto il livello qualitativo delle nazionali emergenti, Cina compresa, ma soprattutto perché l’età media dei nostri campioni è di 32 anni e mezzo, con punte che superano ampiamente i 40 anni. E i migliori, quelli che possono andare a medaglia, sono soprattutto i più vecchietti.

C’è un problema di ricambio generazionale, che nello sport si risolve solo facendo sport di base, ossia favorendo la pratica sportiva, non necessariamente agonistica, a partire dai centri di riabilitazione, dalle società di promozione sportiva, dal territorio, dai Comuni, dalle scuole. Investire sullo sport per tutti (in realtà il problema non riguarda solo gli atleti disabili, ma una scarsa propensione alla pratica sportiva dei giovani, calcio a parte) è uno dei pochi investimenti opportuni in questo momento di difficoltà. Significa, per chi ha una disabilità da incidente stradale o da infortunio sul lavoro, ma anche per una situazione fisica congenita o progressiva (penso alle distrofie e ai non vedenti), gioia di vivere, ritorno alla socialità, alla mobilità, a viaggiare, a confrontarsi con se stessi e con gli altri, alla pari, senza alibi, senza vittimismi.

E’ dunque fondamentale, è la premessa per una vita sana, per una salute migliore: chi è disabile non è malato, e questa equazione inconscia va sfatata proprio attraverso la dimostrazione che è possibile fare qualcosa di più e di meglio, ogni giorno. Le Paralimpiadi, purtroppo ancora separate dai Giochi di tutti (ma anche questo è un processo culturale e tecnico che richiede tempo per condurre al risultato logico, ossia l’unificazione delle gare), sono comunque un momento alto di promozione dello sport, perché le gare, a questo livello di qualità e di competizione, sono spettacolari, divertenti, avvincenti, esattamente come le gare degli atleti “normodotati” (che brutta terminologia discriminante, ancora in uso normale nell’ambiente dello sport per disabili!).

Ecco perché è importante alzare l’audience, sintonizzarsi sui canali che trasmettono le gare, seguirle e commentarle, rimbalzarle sul web, nei blog, nei siti internet, sui giornali, nelle chiacchiere al bar. Se queste Paralimpiadi saranno vinte dal pubblico televisivo, questo comporterà due risultati preziosi: le televisioni che hanno creduto in questo evento, Rai e Sky, saranno remunerative per gli inserzionisti pubblicitari, che saranno dunque pronti a investire in programmi nei quali la disabilità venga raccontata con normalità e qualità professionale. In secondo luogo la gente comincerà a vedere lo sport degli atleti disabili senza alcun pietismo, senza quell’atteggiamento paternalistico figlio dell’ignoranza, che ha fino ad oggi mantenuto nel ghetto questo straordinario movimento mondiale.

Forza ragazzi, dunque: a Vancouver si va per vincere. Non solo una medaglia. Molto di più