Morto Lelio Luttazzi, il re dello swing


E’ morto la scorsa notte all’età di 87 anni a Trieste Lelio Luttazzi, uno dei maggiori protagonisti della canzone italiana degli anni ’50 e ’60.

Nato a Trieste il 27 aprile 1924, Luttazzi, dopo aver studiato giurisprudenza, comincia a suonare il pianoforte ispirandosi al jazz. Prima un piccolo gruppo che si esibisce in localetti della costa triestina poi, nel 1944, l’incontro con Ernesto Bonino, cantante swing dell’epoca, che si accorge di quel ragazzo che canta un brano intitolato ‘Il giovanotto matto’, che poi diventerà il suo primo successo. Dopo la guerra, Luttazzi abbandona gli studi. Incontra Teddy Reno e ne diventa socio nel 1948 in qualità di arrangiatore e direttore d’orchestra della Cgd.

Per anni la sua carriera resta divisa tra la sua passione jazzistica, che lo porterà a suonare nel giro di musicisti come Piero Piccioni, Armando Trovajoli, Gianni Ferrio, e la musica leggera che gli farà scrivere canzoni come ‘Muleta mia’, ‘E tu biondina capricciosa’, ‘Una zebra a pois’ e ‘El can de Trieste’.

fonte Adnkronos

Poi, dopo un grave incidente stradale nel 1963, torna al lavoro in radio e in tv: conduce ‘Hit parade’ in radio, inventando tormentoni come ‘La canzone regina’ per indicare la prima in classifica. ‘Lelio Luttazzi presenta: Hit Parade!’ era il grido che gli adolescenti degli anni Settanta riconoscevano immediatamente e che significava che stava per iniziare la classifica radiofonica dei 45 giri più venduti.

In tv presenta spettacoli storici come ‘Studio Uno’ con Mina, ‘Teatro Dieci’, ‘Il Paroliere’, ‘Musica insieme’, ‘Ieri e oggi’. Diverse anche le colonne sonore per film tra cui quella di ‘Totò, Peppino e la malafemmina’ e ‘Venezia la luna e tu’ (ma compare anche come attore nell”Avventura’ di Antonioni e in ‘Oggi, domani, dopodomani’).

Nel 1970 all’apice del successo, viene coinvolto in una vicenda legata a detenzione e spaccio di stupefacenti: un clamoroso errore giudiziario nato da una telefonata di Walter Chiari, implicato nel caso, e concluso con 27 giorni passati a Regina Coeli e lo scagionamento completo da ogni accusa (sull’esperienza Luttazzi ha scritto anche un libro intitolato ‘Operazione Montecristo’).

Da allora solo radio, ancora qualche anno di ‘Hit parade’ e poi il lungo isolamento interrotto, di tanto in tanto, da poche partecipazioni televisive come quella al programma condotto da Gigliola Cinquetti, ‘Festa di compleanno’ e alla partecipazione, nel 1998, alla trasmissione di Raidue’Scirocco’. Nel 2009 accompagna al Festival di Sanremo la canzone vincitrice ‘Sincerità’ di Arisa e, grazie alla sua sonata al pianoforte, risulta determinante per l’affermazione della giovane.

Il Giorno del Ricordo 2010


Alla fine della Seconda guerra mondiale, mentre tutta l’Italia, grazie all’esercito Anglo-Americano, veniva liberata dall’occupazione nazista, a Trieste e nell’Istria (sino ad allora territorio italiano) si è vissuto l’inizio di una tragedia: la “liberazione” avvenne ad opera dell’esercito comunista jugoslavo agli ordini del maresciallo Tito.

350.000 italiani abitanti dell’Istria, di Fiume e della Dalmazia dovettero scappare ed abbandonare la loro terra, le case, il lavoro, gli amici e gli affetti incalzati dalle bande armate jugoslave. Decine di migliaia furono uccisi nelle Foibe o nei campi di concentramento titini. La loro colpa era di essere italiani e di non voler cadere sotto un regime comunista.
Trieste, dopo aver subito più di un mese di occupazione jugoslava, ancora oggi ricordati come “i quaranta giorni del terrore“, visse per 9 anni sotto il controllo di un Governo Militare Alleato (americano ed inglese), in attesa che le diplomazie decidessero la sua sorte.

Solo nell’ottobre del 1954 l’Italia prese il pieno controllo di Trieste, lasciando l’Istria all’amministrazione jugoslava.
E solo nel 1975, con il Trattato di Osimo, l’Italia rinunciò definitivamente, e senza alcuna contropartita, ad ogni pretesa su parte dell’Istria, terra italiana sin da quando era provincia dell’Impero romano.

Il 10 febbraio è il giorno che l’Italia dedica alla memoria della tragedia degli italiani e di tutte le vittime delle Foibe e dell’Esodo dalle loro terre degli Istriani, Fiumani e Dalmati.

da www.leganazionale.it

 

World Beer Championship: la miglior birra del mondo è italiana e si chiama Theresianer


Il marchio Theresianer è nato 10 anni fa a Trieste come una scommessa del presidente Martino Zanetti, con l’obiettivo di unire la tradizione artigianale e l’ottica industriale di produzione

Chi dice che la miglior birra del mondo è tedesca, o inglese, o scozzese o quant’altro non sa di cosa parla e non sa cosa beve. Sì, perchè la miglior birra del mondo è italiana. Lo ha deciso senza appello il World Beer Championship 2009  di Chicago incoronando la , che ha conquistato due medaglie d’oro e una d’argento confermandosi al vertice delle marche internazionali.

Premium Pils e sono state giudicate birre “eccezionali“. Tre le medaglie conquistate dalla nell’edizione 2009: oro per la Premium Pils con un punteggio di 92 punti su 100; ancora oro sempre con 92 punti su 100 per la , argento (88 punti su 100) per la Premium Lager. Le prime due, grazie al punteggio ottenuto, hanno meritato il titolo di “eccezionali” nella graduatoria espressa dagli esaminatori.

Non è la prima volta che l’azienda di Trieste sorprende il grande pubblico della birra grazie ai riconoscimenti ricevuti nel prestigioso Concorso internazionale di qualità per birra e bevande a base di birra promosso dalla Deutsche Landwirtschaft-Gesellschaft, ente tedesco che si occupa della promozione di tutti i prodotti agricoli come la birra, dove ha conquistato la medaglia d’argento 2009 Dlg con la Premium Pils, nel 2006 la medaglia d’oro per la e nel 2005 la medaglia d’oro per la .

Un successo italiano tra tradizione artigianale e tecnologia moderna. Il marchio è nato 10 anni fa come una scommessa del presidente , con l’obiettivo di unire la tradizione artigianale e l’ottica industriale di produzione, mirando ad un prodotto di assoluta qualità che raccogliesse la lezione birraria austriaca presente a Trieste da più di duecento anni, e darle nuovo corso senza perdere la vitalità di una cultura in grado di esprimersi ad ottimi livelli.

Nato nel 1994, il World Beer Championship riunisce ogni anno migliaia di addetti ai lavori affidandosi alle metodologie proposte dal “Beverage Testing Institute” di Chicago che mira a «fornire ai consumatori un giudizio imparziale sugli articoli presenti sul mercato della birra». Per garantire l’imparzialità, le degustazioni vengono effettuate ”alla cieca” da giudici specializzati ed è stabilito un numero limitato di assaggi ogni giorno.

I punteggi sono divisi in cinque fasce in una scala di gradimento compresa tra 80 e 100 punti per il quale si confrontano i più noti brand al mondo secondo le diverse tipologie di birra: Malt Liquor, Pale Lager, Amber Lager, Munich – Helles, Dortmunder, Pilsner, Dunkel – Dark Lager, Bock, Doppelbock, Eisbock, Black, – Marzen.

da www.blitzquotidiano.it

“Grazie Alda, mi mancherai”


franco basaglia

Dopo i funerali della poetessa, il basagliano Peppe Dell’Acqua firma un commosso ricordo

Il direttore del Dipartimento di Salute Mentale di Trieste ha scritto per “Vita” questa lettera di gratitudine a una donna che, con la forza della sua poesia, ha saputo dare diritto di parola a tanti malati, che pure non hanno le parole della poesia. Sul numero del settimanale in edicola da domani, insieme a questa lettera, anche un racconto dell’inedito e “sconvolgente” incontro fra Alda Merini e Gavino Sanna, che sta lavorando alle illustrazioni di alcune poesie inedite.

di Peppe Dell’Acqua, direttore del DSM di Trieste

Ho saputo domenica pomeriggio. Un amico milanese mi ha informato poco prima che la notizia arrivasse ai giornali. Che sarebbe successo a breve lo sapevamo tutti. Me l’aspettavo. E tuttavia, qualcosa accade. Tristezza. Una tristezza profonda. Ho avvertito un vuoto. La mancanza improvvisa di una voce di verità. Una verità di cui sento il bisogno ora più che mai. Una voce pura, sommessa, estrema, fastidiosa talvolta, e solenne.

Non ho mai conosciuto Alda Merini. Ho cominciato a sapere di lei tardi, quando era già diventata un personaggio. Da anni mi proponevo di incontrarla, di farle visita, di invitarla a Trieste a parlare con noi. Stava quasi per accadere qualche anno fa. Licia Maglietta, attrice, andava in scena con un’antologia di suoi scritti. Era stata invitata. I suoi acciacchi le impedirono di venire a Trieste. Ho cercato nel mio archivio tracce di quell’invito. Ho trovato queste poche righe. Per scusarsi  volle regalarci un piccolo gioiello, una poesia per Franco Basaglia.

La lettera: “Auguro a tutti un po’ di follia”

«Ringrazio sentitamente tutti quelli che hanno lavorato intorno ai miei testi e alla mia vicenda e mi dispiace immensamente di non poter essere presente. Se a Trieste è nata la legge Basaglia e anch’io ho lottato per liberare con me gli altri malati e avere una parola credibile per lo meno sulla scena, debbo dire che tutti i malesseri che mi hanno colpito recentemente sono senz’altro dovuti alle torture manicomiali. Lentamente ma inesorabilmente queste memorie negli anni si fanno avanti e diventano autentici dolori. Sono anche molto addolorata dalla scomparsa di Maria Corti, mia insigne maestra, che ha fatto degli orrori del manicomio un angolo di cielo fervente, per così dire, in cui tutti i martiri del dolore sono caduti senza giustificazione.

Mi auguro che la rappresentazione di Licia e la presenza dei miei ammiratori, cui in parte devo la mia celebrità, serva a sciogliere le catene e la paura della malattia mentale che è stata per anni il rifugio di molte cattiverie. Mi complimento con Licia e con la sua bravura. Forse a quei tempi ero bella come lei.

Con tanti auguri e scusandomi moltissimo ricordo ancora Maria Corti e Vanni Scheiviller che hanno dato coraggiosamente alle stampe il Diario di una diversa, che ha illuminato tanta gente e determinato la chiusura dei manicomi.

Auguro a tutta la buona gente un briciolo di follia perché Lorenzo il Magnifico dice: “Di primavera un poco di follia fa bene anche al re”.

Con tanto affetto, Alda Merini».

Per non dimenticare

Dopo aver letto avrei voluto parlarne con qualcuno. Intanto potevo condividere con i miei amici la notizia. Con quelli che sono nella mia rubrica telefonica e che sono coinvolti nelle stesse storie che io vivo. Ho inviato un messaggio scarno: «È morta Alda Merini». Nelle due ore successive ho ricevuto più di 50 messaggi. Segnali. Condivisioni. Pensieri affettuosi. Per tutta la sera è stato un bel ricordare insieme.

Ho riletto la poesia dedicata a Franco Basaglia. Una testimonianza drammatica e lieve, alla sua maniera. Forse è nata da lì la mia curiosità per lei. Volevo sapere di più della sua storia e le rare testimonianze che raccoglievo, testimonianze sul manicomio, sulla malattia, sul dolore mi apparivano lontane anni luce dalla piattezza di quanto negli ultimi anni si andava dicendo di quelle cose.

La sua storia aveva attraversato il faticoso cambiamento che è avvenuto nel nostro paese. E il suo dire testimoniava, narrando di sé con rabbia e tenerezza, delle violenze, dell’annientamento, delle sottrazioni. I manicomi nel suo racconto appaiono come luoghi dove, malgrado i dispositivi di annientamento che pure conosceva, non si spegne quel filo di umano, quella flebile voce, quel tanto di fragilissimo che allude alle storie singolari, alle persone.

Si è lasciata intervistare, fotografare, riprendere. La vedevo chiamata in causa nei talk show televisivi a parlare della legge che ha chiuso i manicomi e di elettroschok. Diceva sempre la verità. Una verità che dopo gli ardori degli anni ’70, molti, sembrava, volessero dimenticare. Quando qualche anno fa una piccola lobby di psichiatri ha chiesto al Ministro allora in carica di promuovere l’elettroshock, le sue parole semplici e sommesse, la testimonianza della violenza che aveva subito e del rischio che aveva corso di essere ridotta per sempre al silenzio, è valsa più delle presupponenti attestazioni degli psichiatri.

La parola restituita, anche a chi non è poeta

È come se, con una cifra altissima, avesse aperto la stagione per la parola restituita a chi, per ordine psichiatrico, l’aveva perduta. Così il racconto dell’internamento e il suo rapporto talvolta ambiguo con i terapeuti, le parole di comprensione per quelli che pure erano “gli aguzzini”, la dolcezza amorosa della presenza degli altri e l’infinita comprensione del racconto di quelli che l’internamento condividevano con lei. Ma anche le parole chiare (rabbiose e dolenti) della denuncia: delle burocrazie, delle “pie opere assistenziali”, dei tribunali, delle mura, delle separazioni, delle mortificazioni. Abbiamo avuto la fortuna di assistere, di ascoltare un poeta che ci ha permesso di intuire la fatica  che devono fare le persone che vivono quell’esperienza per non essere soffocati dall’involucro della malattia. Per poter vivere, per essere riconoscibili e riconosciuti.

Credo che oggi migliaia di persone, che pure non posseggono le parole della sua poesia, sono in grado oggi di dire, di testimoniare, di esserci. Di questo, ma non solo per questo, siamo grati ad Alda Merini. Del suo lavoro poetico non sono capace di dire. È qualcosa che mi accompagna e mi suggerisce pensieri buoni, intensi, dolorosi, amorosi. È di questo suo lavoro, di questa altissima presenza poetica che credo si debba continuare a parlare. Io, per parte mia, non scriverò più di Alda Merini.

La poesia

A Franco Basaglia

Il vento, la bora, le navi che vanno via
il sogno di questa notte
e tu
l’eterno soccorritore
che da dietro le piante onnivore
guardavi in età giovanile
i nostri baci assurdi
alle vecchie cortecce della vita.

Come eravamo innamorati, noi,
laggiù nei manicomi
quando speravamo un giorno
di tornare a fiorire
ma la cosa più inaudita, credi,
è stato quando abbiamo scoperto
che non eravamo mai stati malati

 da www.vita.it