“L’aria del continente” di Martoglio a Catania


di Daniela Domenici

Un testo senza età, uno dei più celebri e rappresentati del grande Nino Martoglio, commediografo e poeta siciliano, che non ci si stanca mai di rivedere e applaudire.

La storia su cui si dipana la commedia in tre atti la conoscete probabilmente tutti: il protagonista, don Cola Duscio, costretto ad andare a Roma, “nel continente”, per un banalissimo intervento chirurgico, torna in Sicilia completamente cambiato provocando reazioni di vario genere tra parenti e amici ma nel terzo e ultimo atto, per una serie di scoperte che gli fanno aprire gli occhi, torna a essere quello di sempre: un siciliano nell’anima con tutti i suoi pregi e difetti.

Don Cola Duscio è, in questa edizione dello Stabile di Catania, Pippo Pattavina che è anche il regista e che davvero merita la nostra calorosissima “standing ovation”: non vogliamo esagerare con gli aggettivi ma Pattavina, in quest’occasione,  se li merita davvero tutti, un vero banco di prova per un attore comico che supera, secondo il nostro parere, a pieni voti.

Come regista ci dice che non ha voluto “fare una rilettura critica del testo, né tantomeno procedere ad una modernizzazione dello stesso per legarlo a fatti ed avvenimenti del mondo moderno” e in quest’ottica anche gli splendidi costumi creati, insieme alle scenografie ad hoc, da Giuseppe Andolfo rispecchiano questa sua affermazione.

Andolfo ha saputo perfettamente sottolineare la comicità di questo “neo-continentale” che si vuole distinguere dagli amici siciliani di sempre con abbigliamenti quasi da clown, permetteteci il termine, che provocano il sorriso del pubblico insieme all’acconciatura davvero irresistibile.

Un “bravi” naturalmente a tutti gli attori del cast, nessuno escluso, anche a quelli che hanno avuto parti minori ma il nostro applauso va in particolare a Luana Toscano, bravissima a rendere questa sedicente cantante di cafè chantant Milla Milord (che poi si scoprirà essere tutt’altro) una vera “sciantosa” sia nelle movenze che nella recitazione “nordica”, aiutata anche lei da vestiti sensualissimi che l’hanno caratterizzata ancora di più.

Un altro “bravo” lo vogliamo tributare a Carlo Ferreri che ha saputo impresonare la figura del nipote Michilinu, un ragazzo un po’ imbranato inizialmente ma che si farà “spertu” grazie alla neo-zia Milla, assolutamente irresistibile.

E davvero “brava” Olivia Spigarelli nel ruolo della sorella del protagonista, Marastella, che inizialmente non accetta le novità portate dal continente dal fratello Cola ma che poi si rivelerà determinante nell’aprirgli gli occhi con il suo affetto immutato: perfetta l’”intesa”, in termini di tempi teatrali, col protagonista. Un unico appunto se ce lo permettete: la sua recitazione ci è sembrata un po’ troppo “urlata”, non riusciamo a trovare un aggettivo più adeguato, troppo “macchiettistica”, non sappiamo se per direttive registiche onde provocare ulteriore ilarità.

Nota di cronaca: Marcello Perracchio che interpretativa il cognato del protagonista, don Lucinu, per improvvisi motivi di salute ha dovuto abbandonare il cast ed è stato molto ben sostituito da Santo Pennisi.

“La scuola delle mogli” al teatro Musco di Catania


di Daniela Domenici

Molière tradotto da Turi Ferro e interpretato da Enrico Guarneri: questi sono gli elementi di base di “La scuola delle mogli” che è in scena, per tutto il mese di dicembre, al teatro Angelo Musco di via Umberto a Catania e a cui abbiamo avuto il piacere di assistere ieri sera.

Un testo come questo del grande commediografo francese non poteva non affascinare Turi Ferro che ne ha fatto una riduzione in siciliano, di grande successo sin dagli esordi, perché “la profonda ricerca linguistica dell’autore francese e la sua immediata efficacia nei dialoghi e nelle situazioni comiche contengono…una prossimità con i modi di dire e le amenità recitativo – linguistiche del dialetto siciliano…si tratta, infatti, oltre che di una traduzione, di una riscrittura adoperando i modi di re e di fare isolani..” come sottolinea il regista Federico Magnano di San Lio che si è avvalso della scenografia molto essenziale ma efficace di Stafano Pace, dei costumi e del make-up molto pertinenti di Dora Argento, delle musiche ben adatte all’epoca storica di Massimiliano Pace e delle luci di Franco Bozzanca.

Ancora una volta vogliamo tributare una meritatissima “standing ovation” a Enrico Guarneri che avevamo già applaudito in un altro testo di Molière, “L’avaro”; perdonateci se ci ripeteremo ma Guarneri ha dimostrato, ancora una volta, la perfetta conoscenza dei tempi comici che strappa la risata e l’applauso con molta naturalezza, mai una sbavatura, una comicità mai sopra le righe, una varietà di toni che gli consentono una grande padronanza del palcoscenico.

Accanto a lui, ottimi “collaboratori”, Barbara Gallo e Vincenzo Volo nei ruoli di Giorgina e Alano, i due fedeli servitori, che vengono caratterizzati da un make-up esagerato e da movenze quasi atletiche, vorremmo dire, perdonateci l’ironia; i nostri più calorosi applausi a entrambi per aver saputo rendere la grettezza ingenua di questi due personaggi.

E un “bravi” va, naturalmente, anche ai due protagonisti giovani della vicenda, l’innocente Agnese, promessa sposa del protagonista Arnolfo che si innamora, ricambiata, di Orazio, ben interpretatati da Valeria Contadino e Rosario Marco Amato.

Un applauso anche al “prorompente” Carmelo Di Salvo nel ruolo del notaio e amico di Arnolfo, e “bravi” anche a Orazio Mannino che interpreta Don Gesualdo, a Fiorenzo Fiorito e Toni Lo Presti nei ruoli di Salvatore e Benedetto e Nadia De Luca in quello di Aitina.