“Vacanze talpa’: il 15% degli italiani, chiusi in casa, finge di essere partito


Uno studio della Società italiana di psicologia sottolinea l’aumento di persone che per non confessare la rinuncia alle ferie, causa crisi, si nascondono in abitazioni poco distanti dalla propria. La fascia medio alta quella più colpita.

Fonte: Immagine dal web

Vacanze barricati in casa, o ‘nascosti’ in

abitazioni non troppo distanti dalla propria, per non confessare la rinuncia alla ferie per colpa della crisi. Sono aumentati gli italiani, concentrati soprattutto in provincia che, complici le difficoltà economiche, scelgono le ‘vacanze talpa’. Secondo uno studio condotto condotto dalla Società italiana di psicologia, se negli anni passati rappresentavano poco più del 5 per cento “oggi queste persone sono il 10-15%”.

“Si tratta di persone – spiega Antonio

Lo Iacono, presidente della Società italiana di psicologia – che non riescono a mostrare la propria povertà, la propria crisi. Soprattutto in provincia e tra le classi sociali medie o medio alte che si sono impoverite”. Così raccontano vacanze a cinque stelle mentre invece vanno da parenti o amici fuori dal giro delle normali frequentazioni, o tornano nella casa paterna e magari fanno qualche lampada abbronzante per mostrare un aspetto ‘da vacanza’.

L’esperto spiega come questo fenomeno riguardi soprattutto gli

ambienti dove il controllo sociale è elevato: le persone che hanno un forte bisogno di apparire ‘vincenti’, ad esempio, nascondono le proprie difficoltà anche a caro prezzo.

Un fenomeno in crescita la cui percentuale, complice la crisi, racconta

Lo Iacono “è più che raddoppiata, in particolare tra chi sente il bisogno di ‘salvare la faccia’ in ambienti dove ciò che si mostra è più importante di tutto il resto. E il fatto che ci siano tante persone che rinunciano alle ferie non cambia la loro prospettiva”. E’ sicuramente un segno di disagio amplificato dalla città che si svuota e dagli amici che in vacanza ci vanno davvero.

A dover rinunciare alle ferie ‘per crisi’, però, ci sono anche tanti italiani

che non sentono nessun bisogno di ‘nascondere’ la loro scelta obbligata. “Anche in questi casi – spiega Lo Iacono – non mancano i disagi psicologici. Si aggrava sicuramente la percezione della precarietà, delle difficoltà economiche, delle paure per il futuro”. Insomma, la crisi si fa sentire al suo massimo livello. Ma lo psicologo invita a cogliere anche le opportunità ‘nascoste’ di questa situazione.

“La parola crisi – prosegue – ha una doppia valenza. Significa difficoltà

ma anche opportunità”. E, in questo senso, chi resta a casa può cogliere comunque l’occasione di una ‘vacanza alternativa’, per recuperare energie. Semplicemente cambiando abitudini. “In primo luogo rallentando i ritmi. Ciò permette di sentire anche di più se stessi. Poi occorre puntare a riscoprire il territorio e le risorse della propria città o del proprio paese o le località più vicine. In Italia ci sono tante ‘offerte’ estive, anche a casa propria”.

Ci si può organizzare, inoltre, “con cose semplici, visitare la biblioteca se

si ama la lettura, fare una gita in un parco o in località limitrofe”. Utile anche “inventarsi attività fisiche – dalla camminata alla passeggiata in bicicletta – che aiutano. Perché – conclude Lo Iacono – chi non fa niente entra in agitazione, si sente stupido e si intristisce”.

da http://www.nannimagazine.it

Captare le lunghezze d’onda del mondo spirituale


Volete ascoltare un concerto, un’opera teatrale oppure le
informazioni: girate la manopola della vostra radio finché
trovate la stazione che trasmette il concerto, l’opera teatrale o
le informazioni. Allo stesso modo, nella vostra radio interiore,
avete la possibilità di scegliere le trasmissioni che volete
ascoltare.

Ma per captare le lunghezze d’onda del mondo
spirituale è necessario un grande studio, altrimenti, nel momento
in cui crederete di ricevere le melodie del Cielo, sentirete le
grida e il baccano dell’Inferno. Se questo dovesse accadere, non
rimanete senza fare niente, ma affrettatevi a cambiare lunghezza
d’onda; tramite il pensiero e l’immaginazione, collegatevi ad
un’altra stazione.
Cosa significa pregare? Significa raggiungere le lunghezze
d’onda più corte e più rapide che ci mettono in relazione con il
mondo divino. ”

Omraam Mikhaël Aïvanhov

Vaccino provoca autismo: non è vero. Sarà diffusa questa notizia?


Nel 1998 la rivista scientifica Lancet pubblicava uno studio che ipotizzava, solo ipotesi e dubbio di ricerca e non prova provata, che ci fosse un legame tra e casi di nei . Da allora e a ritmo crescente per un decennio l’ipotesi è stata trasformata in allarme e quindi in certezza.

L’informazione medica “fai da te” ha assunto e diffuso l’idea che i possano generare . Veicolo di questa “notizia” sono stati i siti web, ben 55mila ce ne sono dove l’ipotesi di ricerca è stata trasformata in fatto accertato. Ora gli autori della ricerca originaria hanno verificato che l’ipotesi era sbagliata e infondata. Hanno ritirato dalla circolazione il loro stesso studio e la rivista Lancet lo ha conseguentemente escluso dalla letteratura scientifica: non c’è nessun rapporto tra e casi di infantile.

Così funziona la scienza: ipotizza, sperimenta. E accetta l’idea che la sperimentazione possa confermare o smentire l’ipotesi iniziale. La sperimentazione, l’osservazione del reale serve a questo: a confermare o smentire. Funzionerà allo stesso modo l’informazione di massa via web? Quei 55mila siti cancelleranno, smentiranno e daranno la nuova e stavolta provata notizia? E’ lecito dubitarne perché, crescendo e gonfiandosi, espandendosi e riempiendo il grande sito del senso comune, della voce diffusa, la notizia si è caricata di ideologia. Invece che un’ipotesi di lavoro scientifica è diventata la prova della malvagità e della pericolosità di “big pharma”, l’industria dei farmaci.

Ideologia che trasforma i grandi profitti delle industrie farmaceutiche e le loro discutibili scelte sui farmaci da sviluppare (solo quelli che rendono e non sempre quelli che servono) in una sorta di “peccato originale”. Peccato per cui tutto ciò che è farmaco è speculazione, inganno e, in fondo, maleficio. Ideologia che si è consolidata in costume, addirittura in “sapere”. Falso e mitico, ma comunque “sapere”. Decine di migliaia di famiglie solo in Italia credono in perfetta e ignorante buona fede di “sapere” che i fanno male. E quindi non hanno vaccinato i figli contro gli , il , la …Genitori in angoscia per i figli, dimenticando che molti di loro sono vivi e quindi genitori anche perché da piccoli sono stati vaccinati.

La stessa vicenda del vaccino contro l’influenza A è stata percepita sotto la lente distorta dell’ideologia. Si è trattato di un allarme eccessivo da parte dell’Oms e dei governi. Eccessivo però con il senno di poi: cosa avrebbe detto la pubblica opinione se il contagio fosse stato massiccio? Eccessivo allarme all’ombra del quale si sono fatti affari, non c’è dubbio. Ma questo nulla c’entra con la pericolosità dei : il “link” tra farci i soldi sopra e diffondere “ maligni” non esiste se non nel mondo taroccato e semplicistico dell’ideologia. Un mondo che nulla ha a che fare con la scienza. Si può e si deve rimproverare a “Big Pharma” di piazzare sul mercato soprattutto farmaci che curano le affezioni marginali del mondo economicamente sviluppato. Ma non c’è alcuna prova e in fondo non c’è nessuna ragione al mondo, neanche di bieco profitto, per cui dovrebbero spacciare veleno sotto forma di vaccino.

Quindi, facciamo una “prova” scientifica: si vada a vedere nei prossimi giorni quanti dei 55mila siti che hanno accreditato l’equazione vaccino- attingendo a suo tempo dall’ipotesi comparsa su Lancet,  riporteranno le conclusioni definitive e finalmente sicure pubblicate da Lancet.

da www.blitzquotidiano.it

La cultura fa bene al cuore: meno infarti per chi è stato a scuola almeno 8 anni


Più si studia più si allunga la vita. Insomma, studiare fa bene al cuore. Infatti, chi ha trascorso più di 8 anni tra i banchi di corre un minor rischio di infarto .

Il nesso è il risultato di un ampio studio, pubblicato sulla che ha messo a confronto, in 52 Stati, circa 12mila infartuati e 14 mila persone in buona salute.

Finora sapevamo che un giro vita abbondante, poca attività fisica, troppe sigarette, mangiare poca frutta e verdura possono mettere a dura prova la salute del nostro cuore. Diversi studi nei Paesi occidentali hanno poi evidenziato un legame tra più elevato status socioeconomico e minor rischio di malattie cardiovascolari.

Tuttavia, non era ancora del tutto chiaro se i diversi indicatori utilizzati per individuare le condizioni socioeconomiche, come per esempio istruzione, reddito familiare, tipo di lavoro svolto, fossero ugualmente importanti. Inoltre, si sapeva poco su come lo status socioeconomico agisca sul rischio cardiovascolare nei .

Ora, un gruppo di ricercatori svedesi ha scoperto che è l’istruzione, indipendentemente dal reddito familiare, dal lavoro svolto o dai beni posseduti, è associata direttamente col rischio di un attacco di cuore. In particolare, spiega una delle autrici della ricerca, Annika Rosengren, cardiologa del Sahlgrenska University Hospital di Goteborg: «Un livello di istruzione, uguale o inferiore a 8 anni di , può significare un maggior rischio di avere un infarto, circa il 30% in più rispetto a chi è più istruito. La correlazione è più marcata nei paesi ricchi, ma evidente anche nei Paesi meno sviluppati». I motivi? « Sarà necessario approfondirli; probabilmente sono dovuti alla migliore conoscenza dei fattori di rischio e quindi a una migliore prevenzione», afferma Rosengren. Secondo lo studio, infatti, più alte percentuali di obesità addominale e cattive abitudini come fumo, poca attività fisica, scarso consumo di frutta e verdura, spiegano circa la metà del rischio connesso a bassi livelli di istruzione.

«Non c’è dubbio che chi è più istruito conosca meglio i fattori che mettono a rischio il cuore – conferma il professor Filippo Crea, direttore del dipartimento di malattie cardiovascolari del Policlinico universitario “Agostino Gemelli” di Roma -. La prevenzione è la migliore arma contro le malattie cardiovascolari. Tenere sotto controllo peso, colesterolo, pressione, diabete, non fumare, fare attività fisica e mangiare frutta e verdura già da piccoli, aiuta a ridurre nettamente le malattie cardiovascolari. Non possiamo dimenticare i risultati soddisfacenti che abbiamo ottenuto finora – continua il cardiologo -, ma non dobbiamo abbassare la guardia. Per esempio, basta un calo di attenzione sul fumo e i ragazzi riprendono in mano le sigarette».

«Per ora i risultati suggeriscono che «migliorare i livelli di istruzione nelle nazioni in via di sviluppo potrebbe essere una valida contromossa per contenere la rapida diffusione di malattie cardiovascolari anche in quei Paesi», conclude Rosengren. «In Cina – fa notare Crea – fino a 15 anni fa non c’erano bambini grassi. Oggi l’obesità infantile è diventata un’epidemia, che mette seriamente a rischio il cuore. Per questo è necessario fin dai banchi di apprendere sane abitudini, come corretta alimentazione, niente sigarette e regolare esercizio fisico».

da www.blitzquotidiano.it

Si apre strada a cure per tumori al cervello


Antonio Iavarone Antonio Iavarone

ROMA – Ci sono due geni all’origine dei più aggressivi e devastanti tumori del cervello, i glioblastomi, e per la prima volta la loro scoperta apre la speranza a future cure: sono ancora molto lontane, ma non più impossibili. A segnare questa nuova tappa della ricerca contro il cancro, pubblicata online su Nature, è il gruppo dell’italiano Antonio Iavarone, il ricercatore che ha lasciato l’Italia in seguito a una vicenda di nepotismo e che oggi lavora alla Columbia University di New York. La scoperta apre anche la strada alla possibilità di prevedere la probabilità di recidive. “Tumori di questo tipo oggi sono incurabili perché invadono il cervello normale”, dice all’ANSA Iavarone. Vale a dire che, anche quando si rimuove il tumore, le recidive compaiono in aree del cervello distanti rispetto a quella dalla quale si trovava il tumore. “Ecco perché – spiega – i glioblastomi sono così aggressivi e non possono essere curati”.

LA FIRMA DEL TUMORE: “da alcuni anni – aggiunge – abbiamo visto che i tumori più aggressivi hanno una ‘firma’, ossia l’espressione di geni che tutti insieme caratterizzano l’espressione mesenchimale, una sorta di firma genetica del tumore”. Ma nel cervello sano le cellule staminali non sanno formare cellule mesenchimali: questo avviene solo se c’é il tumore. Così i ricercatori sono andati a cercare i geni responsabili della trasformazione delle cellule normali del cervello in cellule mesenchimali. –

BIOINFORMATICA: Per farlo hanno chiesto aiuto agli esperti di bioinformatica che, alla guida di un altro italiano, Andrea Califano, hanno individuato gli algoritmi che hanno permesso di identificare i geni. Partendo da una biblioteca di profili di espressione genica ottenuti da 176 pazienti con tumori al cervello, i ricercatori hanno ottenuto una rete nella quale da soli cinque geni centrali si irradiano gli altri geni che ‘firmano’ il tumore.

MODELLO PER ALTRI TUMORI: “E’ stata un’analisi molto complessa e finora non esisteva niente del genere”, osserva Iavarone. E il risultato è un modello che potrà essere utilizzato in futuro per studiare le firme genetiche di altre forme di tumore.

LA ‘CUPOLA’: Con esperimenti su cellule tumorali si è scoperto che, fra i cinque geni principali, solo due , chiamati C/Ebp e Stat3, giocano un ruolo primario. Non solo cooperano fra loro, ma insieme controllano gli altri tre, come una sorta di “cupola” del cancro che organizza tutti i geni coinvolti nel tumore. Il meccanismo è stato verificato sperimentalmente nelle cellule staminali sane del cervello. In sostanza “abbiamo ricostruito la catena di eventi all’origine del più aggressivo tumore del cervello”, osserva Iavarone.

GENI IN AZIONE: in un’altra serie di esperimenti i due geni principali sono stati eliminati dalle cellule tumorali e si è visto che “la firma genetica scompare” e con essa “la capacità del tumore di invadere il cervello normale. Lo abbiamo visto in vitro e poi in vivo, quando abbiamo impiantato nel topo cellule tumorali umane prive dei due fattori”.

PREVEDERE L’AGGRESSIVITA’: da ulteriori ricerche condotte sui pazienti è emerso che i due geni rendono il tumore estremamente aggressivo, tanto da portare alla morte dopo 140 settimane. Se invece i pazienti non producono i due fattori, nel 50% dei casi sopravvivono per oltre 400 settimane. Diventa quindi possibile prevedere come si evolverà la malattia.

CACCIA AL FARMACO: I due geni sono stati brevettati e il passo ulteriore, dice Iavarone, “sarà identificare le molecole capaci di interferire con i due geni. E’ in corso una prima valutazione di composti chimici, in cerca di quelli più efficaci, ma è ancora molto presto per parlare di farmaci”.