“A volte la bellezza cela segreti di tristezza”


di Tiziana Mignosa

Non sempre il coperchio a festa tinteggiato

fa da specchio al contenuto che c’è dentro

ma anche quando è assai nascosto il bello

timido e giù nel fondo

l’arcobaleno luccica in silenzio.

Mi ritrovo così

ad acchiappare il mio sentire umano

in questo luogo dove la bellezza trovo

solo se passo via correndo.

Infatti è quando indugio

che la verità sorpassa l’apparenza

e annuso polvere di brutto

sui fiori a petali di plastica.

Decorata è la tappezzeria

ma dalle mani abili del latte e del caffè

e da lontano pare pure bella

quando invece di fatto non lo è.

Come la silenziosa lacrima

protagonista non riconosciuta di quella triste storia

che se di fretta vai ti sfugge

velata dietro il cauto sorriso

che di pietà la teme e la nasconde.

Curiosità e macchine del sesso, Bizzocchi l’ideatore dei due stravaganti musei


Dal Museo delle Curiosità a San Marino a quello delle Macchine del sesso di Praga. Oriano Bizzocchi, italiano di nascita ma sanmarinese di adozione, si è inventato due dei musei più pazzi del mondo. ”La spinta ad andare a vedere le cose del mondo – spiega – è la curiosità e io di mestiere faccio da sempre questo: dare cose curiose alle persone’

Per questo nel museo, nato nel 1989 e gestito dall’ex moglie di Bizzochi, Cristina Ginesi, si trovano un centinaio di oggetti strani, ma veri, come il primo casco da capelli, che di fatto bruciava i ricci alle signore, la parrucca più alta del mondo e il primo bidet.

In mostra ci sono anche alcune riproduzioni di personaggi da Guinness dei primati come la donna più piccola del mondo, alta poco più di una spanna, l’uomo più alto del mondo, davvero impressionante, la ragazza dalla vita più sottile (appena 33 centimetri) e via di questo passo. ”Il museo – spiega la direttrice – raccoglie oggetti strani, curiosi, che rappresentano di fatto l’evoluzione del costume”. E’ il caso degli abiti, per esempio o dei calzari, originali, delle prostitute greche, che lasciavano sulla sabbia la scritta ”Segui i miei passi”.

E proprio al sesso, o, meglio, alle macchine sessuali, è dedicato il secondo museo inventato da Bizzocchi. E’ uno dei più visitati al mondo e si trova a Praga. Nel museo sono conservati oggetti molto particolari, come il primo vibratore della storia, ”una piccola macchina a vapore, come un treno – spiega Bizzocchi – che veniva impiegato a fine Ottocento per curare dall’isteria le signore. In questo modo i medici riuscivano a curare molte più pazienti”.

Sono molti i giocattoli raccolti nel singolare museo, vietato ai minori di diciott’anni, come le poltrone usate dai reali per dilettarsi nell’arte amatoria o i vasi da notte voyeuristici che usavano le donne bene dell’alta società europea. ”Mi piacciono le sfide e la ricerca – spiega l’inventore dei due musei – e ora penso ad un nuovo museo, quello delle mutande, forse sempre a San Marino, da dove sono partito, ma per il momento mi limito a fare ricerca”.

fonte Adnkronos

“The end”


di Maria Grazia Vai
Riuscissi a non amarti, credi non lo farei?
Potessi fingere di vivere dentro un romanzo ….
Ti giuro, cascasse il mondo, ne scriverei a due a due!

Una poesia? ma no, non credo.
Un cantastorie, un commediante.
Un pagliaccio con le scarpe di Pierrot…

Una pellicola interrotta senza i titoli di coda
Ed io a reinventare trame, immagini,
luci e discorsi
di questa storia che non era poi così importante

Perché il mio nome accanto al tuo non l’hai mai visto
Perché l’amore scrivi a tutti
ma “Ti amo” a me non l’ hai mai detto

Forse per questo, che ancora oggi aspetto
che tu spenda
tutte le parole che mi hai negato!

Pochi centesimi della tua vita…
Qualche sillaba
che a te costerà poco o niente

Fammi un regalo….ti prego, liberami il cuore
E poi uccidimi, ma dimmi almeno “Addio”

Riflessioni sul cuore e sui suoi… cassetti!!!


di Daniela Domenici

Se parli con un medico ti dirà che il cuore è un muscolo con  certe dimensioni e caratteristiche fisiche specifiche, fondamentale per la sopravvivenza umana.

Io, invece, ho sempre immaginato il cuore come un’entità senza forma né dimensioni, elastico, espandibile, modellabile, insomma un qualcosa che deve contenere miliardi di ricordi, emozioni, dolori, immagini, tutti e tutte racchiuse in infiniti cassetti e cassettini di dimensioni diverse.

So che ogni cassetto appartiene a una storia vissuta, più o meno lunga, più o meno bella, più o meno dolorosa; ogni persona che, per breve o lungo tempo, è passata nella mia vita ha un suo cassetto in cui si va a riporre e conservare tutto quello che la/lo riguarda.

Ci sono cassetti con le chiavi e quelli senza e ora vi spiego il perché: credo che quando decidi tu di chiudere, volontariamente, una storia, d’amore o d’amicizia, quando concludi un ciclo, più meno lungo, per i motivi più vari, chiudi a chiave, nel relativo cassetto, quella storia; l’hai voluto e deciso tu consapevolmente e quando vuoi ripescare qualche emozione o immagine di quel ciclo giri la chiave, apri e scegli cosa vedere o sentire.

Ma quando una storia, d’amore o d’amicizia, viene interrotta dall’altra persona che decide autonomamente, spesso senza neanche avvertirti, senza comunicartene i motivi, cambiando talvolta anche le carte in tavola a suo uso e consumo, allora quel cassetto rimarrà sempre un po’ aperto, non avrà la chiave, non si potrà mai chiudere definitivamente perché riaffioreranno sempre, nei momenti più impensati, attimi di piacere, gocce di dolore, immagini di dolcezza, sorrisi caldi, lacrime silenziose che faranno riaprire continuamente quel cassetto-ferita mai rimarginata.

“La regina e la sua stramba storia”


di Tiziana Mignosa

  Ti vedono

e sono tanti

regina spensierata e fiera

e a denti stretti tu sorridi

mandando giù polvere e rospi

che mai saranno stelle né principi alati.

 

Loro che ambiscono ad orbitarti intorno

tutt’e tre le carte hanno messo in ballo

ma quanto buffa è la tua stramba storia

regina sì, ma di vana gloria

come se bastasse il futile vezzo

per dissetarti alla fonte della gioia.

Sovrana senza regno

di fil di ferro aguzzo è appeso il cuore tuo al chiodo

ma loro non lo sanno

e continuano a costruire colla sabbia

castelli senza senso

che a terra vanno mescolandosi col fango.

Eppure lui in te ha visto il mondo

falco senz’ala

ti sussurrava che eri tutto

ma al primo angolo ha voltato lesto

lasciandoti da sola

insieme alla tua inutile corona.

16 marzo 1978 Strage di via Fani a Roma


Oggi 32 anni fa in via Fani a Roma veniva rapito Aldo Moro, uno dei più grandi statisti che l’Italia abbia mai avuto, e venivano uccisi gli uomini della sua scorta.

 

L’on Moro verrà poi ritrovato ucciso il 9 maggio, 50 giorni dopo, nel bagagliaio di una R 4, in via Caetani dopo una prigionia atroce.

Alla memoria di questi uomini dedico oggi l’introitus del Requiem di Mozart, l’orchestra è diretta da sir Georg Solti.

http://www.youtube.com/watch?v=mb3bwGb0glQ&feature=related

Firenze crocevia di culture


 Giovedì 21 gennaio 2010 ore 17, nella Sala Affreschi della Regione Toscana, via Cavour n. 4 Firenze, sarà presentato il volume Firenze crocevia di culture curato da Comunità dell’Isolotto, Fondazione Michelucci, Archivio del Movimento di Quartiere. Interverranno Claudio Martini presidente della Regione Toscana, Enzo Mazzi della Comunità dell’Isolotto, Alessandro Margara della Fondazione Michelucci, Moreno Biagioni dell’Archivio del Movimento Quartieri, Adriana Dadà Università di Firenze. Il Volume, una specie di guida alternativa, ricco di storia poco nota, di foto e di mappe, propone una lettura della storia e dell’attualità di Firenze come città sul monte, crocevia di culture, crogiolo di movimenti di trasformazione dal basso.

 Per tutti coloro che nelle istituzioni e nella società, in tanti campi diversi e con ruoli e strumenti tra loro differenti, operano concretamente e quotidianamente con la convinzione che “un altro mondo è possibile”, è importante avere e condividere una storia comune e un quadro di riferimenti: il ruolo e l’importanza del protagonismo di base nella trasformazione sociale e civile della società e nei suoi sviluppi culturali, scientifici e artistici; il ruolo e l’importanza della città mondo, dell’interazione culturale con quanti provengono da altri paesi e sono portatori di esigenze, linguaggi, saperi; il ruolo e l’importanza dell’autorganizzazione di base e della partecipazione popolare per la difesa, la riconquista, l’ampliamento della democrazia sociale e urbana.

La storia della città di Firenze porta scritto il fecondo incontro fra saperi diversi in tanta parte della sua architettura e del suo patrimonio artistico, negli edifici e nelle piazze, come nella storia delle idee e nelle conquiste della sua cultura. Le vicende ripercorse in questo volume, come il ruolo di singole personalità, sono state selezionate ed evidenziate nella loro relazione con il contesto in cui sono avvenute e hanno operato. E’ volutamente affiancato il pensiero e l’opera di élite intellettuali con le storie, spesso considerate subalterne, delle lotte popolari e dei loro protagonisti.

  la Comunità dell’Isolotto Firenze

“Breve storia della mia vita” dal carcere di Augusta


Mi è arrivata questa lettera da un giovane trentenne attualmente detenuto nel carcere di Augusta che conosco personalmente, mi ha dato il permesso di copiarla e pubblicarla quasi integralmente senza, naturalmente, il suo nome e cognome, ho voluto condividerla con voi.

…Sono nato in un quartiere di Torino denominato Bronx, un ammasso di case popolari sovraffollate da famiglie meridionali, di tutto il sud Italia. Ultimo di 5 figli, entrambi i miei genitori sono calabresi, sono cresciuto nell’ignoranza più profonda e conoscevo un solo linguaggio, la violenza, più lo eri più eri qualcuno in quel ceto sociale. Il falso senso del rispetto e dell’onore ci accompagnava quotidianamente e così crescemmo devastando noi e tutto ciò che ci circondava; io mi sono sempre sentito diverso, ero molto astuto e stratega, un leader fin da bambino; tutto compravamo con la “banconota del timore” e convinti che fosse tutto normale, crescevamo, io ed i miei coetanei, oggi sono tutti morti per overdose, per malattie…e chi è vivo, chi è sopravvissuto è in carcere come me.

Quando avevo 13 anni mia madre si ammalò, aveva 44 anni, l’amavo ed era davvero buona, brava e unica. Lei si ammalò ed io trascorsi con lei, al suo capezzale, 2 anni d’ospedale, abbiamo girato tutti gli ospedali principali d’Italia (centri tumore), quando io compivo 15 anni d’età lei morì, io la vidi (senza poter far nulla per salvarla) morire lentamente per due anni, giorno dopo giorno, il suo ultimo abbraccio è stato il mio, con lei morivo anche io e non mi diedi più pace.

Me ne andai di casa il giorno stesso che lei se ne andò e con i miei 15 anni d’età, un paio di jeans e una magliettina, niente altro, senza meta, senza soldi e vuoto nel cuore. Ce l’avevo con il mondo intero e con Dio che non ascoltò la mia unica preghiera, di lasciare mia madre in vita. La ferocia e la crudeltà torturarono me e la mia giovane vita, superai i confini del delirio ed altre realtà indefinibili; passai due anni, fino ai 17 anni, in totale auto-distruzione; poi Dio ebbe pietà di me e mi fece ritornare un essere umano: conobbi una ragazza di 10 anni più grande di me che mi amava, convivemmo per un anno fin quando non fui chiamato al servizio militare. Il 10.08.94 dovevo presentarmi alla caserma dei parà di Pisa, lasciai la ragazza e partii per questa nuova esperienza ma io ero già un uomo sofferto e cresciuto troppo in fretta; lì se ne accorsero e per un mese fui super sorvegliato perché ritenuto troppo impavido e severo. Così mi chiamarono e mi congedarono in quanto a loro dire ero “inassociabile alla vita militare”, avevano ragione. Io ero lì, in realtà solo per rimodellare, addestrandomi ad essere più potente e sofisticato: avevo troppa rabbia dentro.

All’età di 20 anni fui arrestato dietro le accuse di un altro delinquente, per omicidio, rapine, porto abusivo di armi e munizioni, ricettazione e lesioni gravi. Fui sbattuto in una cella d’isolamento nel supercarcere Le Vallette a Torino, picchiato e trattato malissimo dalle “giubbe blu” (così chiamavo io le guardie) per circa 6 mesi in un sotterraneo angusto; poi mi portarono nella sezione “comuni” insieme ad altri reclusi; lì mi accorsi subito che avevo terreno fertile per dare sfogo alla mia rabbia interiore. Le Vallette è un carcere che contiene circa 2000 reclusi d’ogni nazionalità e d’ogni specie; io ero uno dei più giovani ma sempre in assoluto un super rispettato, anche i più grandi mi temevano, non so bene ancora oggi il perché ma questo fu di certo un bene. Una continua guerra tra me e le giubbe blu, il motivo era perché mi ritenevano un indisciplinato, rispondevo sempre, non abbassavo mai la testa e se mi accerchiavano per minacciarmi, reagivo (della mia vita non mi importava più niente). Continuai così per i primi 6 anni di carcere, poi si decisero a trasferirmi in Toscana, a Volterra, perché potessi essere inserito nel contesto scolastico; lì vi passai 5 anni e studiavo come geometra ma nonostante mi trovassi bene e cercai di evitare ogni “disguido” restandomene per i fatti miei ancora una “giubba blu” di origine sarda, alcolizzato, mi prese in antipatia, così mi perseguitò per circa un anno, io evitavo e non lo pensavo minimamente ma si impuntò; così un giorno mi scagliò contro un altro detenuto arabo che era il suo zerbino, questa magrebino pensava di potercela fare con le mani ma io ebbi la meglio. Così fui immediatamente trasferito per punizione al carcere dell’Ucciardone con l’applicazione del regime di sorveglianza speciale, il cosiddetto 41bis, che consiste in un isolamento totale da tutto e tutti e viene applicato a chi è ritenuto pericoloso in carcere. In sostanza mi fecero scontare 2 anni di isolamento e poi nel 2007 mi trasferirono dall’Ucciardone al carcere di Augusta.

Ora sono 3 anni che sono qui, mi fanno frequentare da 2 anni il corso di ceramica e nient’altro. Forse questo 2010 dovrebbe portarmi un po’ di luce…

Ecco, cara Daniela…ci tenevo che tu sapessi il mio difficile percorso di vita…

Sono cresciuto solo, senza affetti e senza amore; ora sono stanco da diversi anni e voglio uscire perché del carcere ne ho la nausea…vedremo, sono ottimista e realista per carattere…

…Riconoscere il proprio passato, riaffrontarlo più volte è senz’altro il primo passo per cominciare in maniera più sana un nuovo cammino, io l’ho fatto, lo faccio e se sarà necessario lo rifarò. Ritengo inoltre che nessuno di deve far vincere dalla paura o dalla vergogna perché siamo (tutti gli esseri umani) organicamente precisi ma mentalmente imperfetti. Io ne sono l’esempio! Ciò non mi scoraggia ma bensì mi dà la forza maggiore per dire che siamo grandi per quanto grandi siano le nostre sofferenze e umili per quanto più siamo disposti a riconoscere i nostri errori. Un giorno, spero non molto lontano, avrò anche io l’occasione di mettere in atto ciò che sono e forse guardando negli occhi dei miei amici futuri e della gente in genere potrò riscoprirmi un uomo nuovo, il mio riscatto sta in essi e negli occhi di un bambino…magari il mio !…

“Storia di ordinaria follia”


d Francesco dal carcere di Augusta

“Educare, anzi, rieducare è lo scopo della pena”.

Rieducare nel rispetto della dignità umana, precisa la Costituzione, memore della mortificazione patita da chi, nel ventennio fascista, assaggiò la galera “cimitero dei vivi”.

“Mai più un carcere così” dissero i Costituenti aprendo la strada a una vera e propria rivoluzione.

Carcere non più intenso come controllo dei corpi ma come servizio a persone private della libertà e tuttavia integre nei diritti fondamentali. Non un luogo dove si finisce ma da dove si può ricominciare. Dove i detenuti sono accompagnati verso la libertà nel rispetto della loro capacità di scegliere. Da dove non si esce abbrutiti né peggiorati. Un “dentro” che guarda costantemente “fuori”. Un carcere che produce libertà individuale e sicurezza collettiva.

“Ecco, abbiamo fatto la rivoluzione ma non ce ne siamo accorti. O non vogliamo”.

Ancora oggi, all’interno del muro di cinta, si consuma la contraddizione tra l’obbiettivo dichiarato dalla legge e la gestione quotidiana della vita fondata sull’annullamento dell’identità del detenuto, sulla negazione di ogni autonomia, sulla violazione dei più elementari diritti umani. La rieducazione, o risocializzazione che sia, resta sulla carta. Il rispetto della dignità pure. Carceri fuorilegge: Cucchi e quant’altri.

Alla rivoluzione dei Costituenti è sopravvissuta una gelida cultura autoritaria e burocratica dei carcerieri cosicché, al di là degli obbiettivi dichiarati, lo scopo reale della pena è ancora quello di eliminare l’identità dei carcerati per gestirli più agevolmente. Una schizofrenia micidiale.

Il carcere che funziona non è quello che priva della libertà ma che produce libertà. E per produrre la definitiva libertà dei suoi abitanti deve rivoluzionare se stesso. Deve trasformarsi in un luogo in cui non c’è bisogno di esercitare il potere, già esercitato dal muro di cinta. Deve diventare un luogo in cui si organizza un servizio. Una grande utopia, forse. Ma come dice un vecchio proverbio :”Nessuna carovana ha mai raggiunto l’utopia, però è l’utopia che fa andare la carovana”.

Il carcere, ancora oggi, è un luogo di dolore. La galera deve sembrare una galera. Dunque è disadorna, buia, noiosa, scomoda. Punitiva. Se manca l’acqua, se le docce non funzionano, se i metri quadri calpestabili dai detenuti dietro il blindato si riducono a un paio di metri a testa a causa del perenne sovraffollamento è normale. E’ galera. Se la cella resta chiusa venti ore al giorno e neanche si può aprire la finestra perché il letto a castello è stato sopraelevato è normale. Questa è galera. Anche l’aria è impregnata di galera. C’è odore di chiuso, di fumo, di cibo avanzato, di medicine. Qualche volta, però, il detersivo prende il sopravvento sugli afrori. Persino la carta igienica a volte scarseggia, soprattutto in tempo di crisi economica.

Ecco, questa è la storia di ordinaria follia che nel nome della rieducazione vive un detenuto dell’universo-carcere italiano.

Un’intensa attività in cella: restare chiusi per 20 ore al giorno; di cultura: guardare la TV in orari stabiliti; di sport: giocare a carte. E di formazione: incontrare gli altri detenuti all’ora d’aria. Insomma, un trattamento avanzato, sperimentale.

Questa è una giornata-tipo:

–      Ore 7 del mattino. “Sveglia!!!” E’ il gentile urlo di un agente. Ci si alza dalle brande e si fa la fila davanti alla porta dell’unico bagno della cella.

–      Ore 8. “Conta!!!” lo stesso aggraziato urlo. E’ l’appello dei detenuti presenti in cella. Dopo averci contato, arriva il carrello del latte. Il liquido giallastro  la nostra colazione.

–      Ore 9. E’ il primo appuntamento formativo della giornata. Si scende in cortile per fare l’ora d’aria. In un ambiente confortevole, fatto di cemento, si apprendono le novità dal carcere. Chi è entrato, chi è partito, chi si è tagliato le braccia. Molto istruttivo!!!

–      Ore 10.30. Si torna in cella. Inizia l’attività culturale del carcere: guardare la televisione!!! Segue un breve ma intenso confronto sul programma visto in TV: Hai sentito la Santanchè? Che grandissima pu…!!!

–      Ore 11.30. Passa il carrello del pranzo, si mangia in cella. Oggi, come ieri e come domani, è servita un’ottima pasta scotta e scondita. Il tempo della tavola cronometrata è al massimo di 5 minuti. Straordinario!!!

–      Ore 13.00. E’ il secondo momento formativo della giornata. Un’altra ora d’aria. I temi sempre gli stessi. Costruttivo!!!

–      Ore 14.30. E’ l’ora della doccia ma non c’è acqua, no, è arrivata, è fredda, l’asciugacapelli non funziona. Si è rotto e quello che doveva essere un momento di relax è un dramma.

–      Ore 15.30. Inizia l’attività sportiva. I detenuti indossano tuta e scarpe da ginnastic. E, seduti intorno al tavolo della cella, danno il  via alla partita di carte. Il clima è teso. Chi perde dovrà lavare i piatti stasera.

–      Ore 17.30. La partita a carte è finita, chi ha perso non era ancora pratico di tresette. Posta!!! Tutti in attesa di avere notizie da “fuori”. Questa sera per me non c’è.

–      Ore 18.00. Passa il carrello per la cena. Qui c’è una variante. Una delle poche. Perché se è domenica o un giorno festivo la cena non arriva affatto. Si fa dieta. Altro pregio del carcere di Augusta. In compenso per la sera ci riuniamo con l’invito di uno o due ospiti e chiaramente cuciniamo noi stessi.

–      Ore 19.30. E’ l’ora delle gocce. Dei tranquillanti. C’è chi urla perché ne vuole di più. Ma una sberla istituzionale riporta la calma nelle celle.

–      Ore 20.00. C’è il ritiro posta e ancora una volta “Conta!!!”. Si ripete il teatrino d’appello.

–      Ore 21.000. Nelle celle si spengono le luci. Questa sera c’è una “prima TV”.

E i detenuti di Augusta, dopo una giornata “estenuante”, si addormentano.

E’ un anno che sono qui ad Augusta e ho dovuto vivere in questo deposito di carne umana lo stesso giorno moltiplicato per 365: storia di ordinaria follia!!!

Quando finisce un amore…


di Daniela Domenici

dedicata a un’amica carissima che sta vivendo questo momento

quando finisce un amoreQuando si conclude una storia d’amore

senti un profondo dolore dentro il cuore

quando una storia finisce

una parte di te perisce

il tuo cuore senti sanguinare mesto

e vorresti che tutto finisse presto

anche se stavolta non sei tu la perdente

ti senti comunque scoppiare la mente

senti che di te lui ha ancora tanto bisogno

ma speri che sia soltanto un brutto sogno

e che possa finalmente volare il tuo cuore

verso un nuovo grande splendido amore.