Adolescenti dello stesso viaggio


di Tiziana Mignosa

Se il bimbo
coi suoi passi incerti
la spinta trova al posto di carezza
quando il pavimento con le mani tasta
il cielo capovolto sotto ai piedi incrocia.
 
Le parole intinte nell’aceto
aiutano soltanto chi le rigurgita
alleggerendo così il sacco della rabbia
sospingono il bersaglio del momento
sugli spigoli della sofferenza a scrocco.
 
La gentilezza
è mano che accompagna sulla via
soffice poltrona
che il posto espugna
al duro banco della scuola.
 
Infatti chi per prima
davvero alla scialuppa arriva
tira a mare il salvagente
invece di piombarlo in testa
a chi nell’acqua di certo non sta bene.
 
A tutti noi
adolescenti dello stesso viaggio
ci viene chiesto d’essere migliori
ma non per  questo
di considerarci i primi.
 
Rallenta il passo
infatti
chi crede d’essere il più bravo
quando l’altruismo e l’umiltà
sono scarpe comode chiuse nel buio dell’armadio.
 

La sofferenza e la vita sublime


di O. M. Aivanhov

“Non cercate di sfuggire sistematicamente alla sofferenza, ma
pensate piuttosto ad attingere da essa delle forze per
risvegliare in voi la vita sublime. Il ruolo della sofferenza è
precisamente quello di far sorgere delle qualità che non
appariranno mai in altre condizioni. Quando vi accade di soffrire
fisicamente o moralmente, benedite il Cielo pensando che vi viene
data l’occasione di fare un grande lavoro su voi stessi a causa
di quella sofferenza.
Ovviamente, non parlo qui di certe sofferenze insopportabili:
quelle necessitano dell’aiuto della medicina. Parlo, in generale,
di tutte le circostanze sgradevoli, dolorose, che non mancano di
verificarsi nella vita quotidiana. Anziché gemere, piangere e
imprecare, è preferibile cercare di approfittare di quegli
inconvenienti per mettersi al lavoro e svilupparsi. Come? Non
rimanendo concentrati sulla vostra sofferenza, ma cercando di
armonizzare tutto in voi. Quando questo lavoro sarà terminato, la
vostra sofferenza scomparirà, perché sarete riusciti a risolvere
il problema che vi era stato posto.”

Amate i vostri nemici


“Occorre saperlo: chiunque voi siate e qualunque cosa facciate,
dovrete subire delle prove. Perciò, invece di essere ogni volta
sorpresi come se faceste una scoperta, e ritenere tutti gli altri
– compreso il Signore – responsabili di quelle difficoltà,
riflettete, meditate, e comprenderete il lato buono delle prove.
Ci sono molte qualità che non si possono sviluppare finché non
si è passati attraverso certe sofferenze: gli insuccessi, la
malattia e anche l’inimicizia degli esseri umani. Sì, e per
questo vi dirò che i nostri nemici sono amici camuffati, perché
ci obbligano a fare degli sforzi e a progredire. Gesù diceva:
“Amate i vostri nemici” e molti trovano questo comandamento non
soltanto irrealizzabile, ma anche insensato: come si possono
amare coloro che ci fanno del male? È impossibile! Sì, invece, è
possibile quando si scopre che essi sono amici camuffati, e che
la Provvidenza ce li invia per obbligarci a fare dei progressi
sulla via della padronanza di sé e della liberazione.”

Omraam Mikhaël Aïvanhov

da “Vita”, primo romanzo, ancora inedito, di Micaela Toti


…”Le persone hanno paura dei ricordi, invece sono un patrimonio enorme che ognuno di noi ha e che deve custodire come un tesoro segreto e, soprattutto, non permettere a nessuno di violarlo. A volte i ricordi fanno male: quando una persona cara se ne va, quando finisce un amore, quando ti allontani dalla tua famiglia, quando perdi di vista gli amici più cari. A volte ripensi alla tua giovinezza e una nostalgia, che non si può spiegare con le parole, si impadronisce di te: vorresti poter tornare indietro ma non si può. Ti rimangono solo i ricordi ma bisogna imparare a non farsi toccare l’anima da loro per non soffrire più. Bisogna immaginare di vedere il film della nostra vita: ci sono state tante cose brutte ma anche tante belle e allora perché non ricordare con gioia tutti i momenti lieti passati con le persone importanti che ci hanno accompagnato durante la nostra vita?

So quanto, per esempio, possa essere difficile per una persona giovane, abbandonata dal suo amore, superare certi momenti. Vorresti cancellare tutti i ricordi, vorresti che la tua mente si svuotasse in un istante ma perché dimenticare le esperienze piacevoli fatte insieme, perché non ricordarle con simpatia, con un sorriso sulle labbra? In fondo fanno parte della nostra vita, di tutto quello che è il nostro io e vanno presi solo come flashes di una parte del nostro bagaglio di esperienze”…

Per Carmelo: i miei non auguri di Pasqua ad un amico ergastolano


Vorrei poterti dire “Ti capisco” ma sarei ipocrita perché anche se mi sforzo non potrò mai capire appieno la tua sofferenza.
Non posso capirla perché non sono in carcere da 20 anni come te,
non posso capirla perché non ho mai avuto le manette ai polsi come te,
non posso capirla perché non ho mai preso le botte che hai preso tu,
non posso capirla perché non ho preso i calci e i pugni che hai preso tu,
non posso capirla perché non ho mai preso gli insulti e gli sputi che hai preso tu,
non posso capirla perché non sono mai stata all’Asinara come te,
non posso capirla perché non sono mai stata tra gli escrementi di topi come te,
non posso capirla perché non sono mai stata nella cella liscia come te,
non posso capirla perché non sono stata in 41 bis come te,
non posso capirla perché non ho mai parlato ai miei cari da dietro ad un vetro come te,
non posso capirla perché non ho mai patito la fame e il freddo come te,
non posso capirla perché non ho mai dovuto fare lo sciopero della fame per ottenere una cosa che mi spettava di diritto come hai dovuto far tu,
non posso capirla perché non sono mai stata in isolamento come te,
non posso capirla perché la sera nessuno mi chiude in faccia un blindato come invece fanno con te,
non posso capirla perché mai un magistrato mi ha rifiutato un permesso dopo 20 anni come invece è accaduto a te,
non posso capirla perché non ho vissuto rinchiusa in una cella stretta come invece vivi tu da 20 anni
non posso capirla perché io non sono crocefissa alla croce dell’ostatività da 20 anni come te.

Per questo, in occasione di questa Pasqua non ti faccio nessun augurio Carmelo, amico della mia anima e del mio cuore
In occasione di questa Pasqua voglio fare un augurio a me stessa.
Che questa Pasqua sconfigga il mio egoismo e mi apra il cuore a te e alla tua sofferenza
Che questa Pasqua distrugga la mia pigrizia e mi dia la forza di lottare ancora di più per te e con te.
Che questa Pasqua mi apra gli occhi e mi faccia comprendere nell’intimo la tua tristezza, i soprusi che patisci ogni giorno, la tua croce, il tuo giogo, il tuo lungo calvario, le tue stimmate, le tue catene.

Ti voglio bene mille,
Mita

(Pasqua 2010)

 “E’ il tempo della croce. Del silenzio. Di poche parole. Di speranza”

Niente carcere, seconda settimana: “L’uomo ombra” di Carmelo Musumeci dal carcere di Spoleto


Un’amica mi scrive:

Mi è venuto da riflettere sul verbo “scontare”, infatti si dice “scontare la pena”.

Quindi è già insito nella parola stessa che “scontando una pena” questa diminuisca, infatti più sconti la pena e più la parte restante diminuisce.

Quindi è già insito nella ratio del concetto giuridico di “scontare la pena” che la pena prima o poi si esaurisca proprio in virtù del fatto che con il passare degli anni la pena si sconta.

Allora è assurdo e contraddittorio dire “sconta l’ergastolo ostativo” oppure “sta scontando l’ergastolo ostativo” perché nonostante il passare degli anni, la pena residua non diminuisce.

 È vero!

L’ergastolo ostativo va persino contro la matematica e l’italiano.

La pena perpetua non ti toglie solo la libertà, ti strappa pure il futuro.

Ti  potrebbero togliere tutto ma non la tua intera vita.

Lo Stato si può prendere una parte di futuro,  ma non tutto, se vuole essere migliore di un criminale.

L’ergastolo ostativo è disumano perché l’uomo per vivere e morire ha bisogno della speranza che la sua vita un giorno forse sarà diversa o migliore.

La pena perpetua è un sacrilegio perché anticipa l’inferno sulla terra e la pena eterna senza possibilità di essere modificata è competenza solo di Dio (per chi crede).

L’uomo è l’unico animale che può cambiare,  per questo non potrebbe e non dovrebbe  essere considerato cattivo e colpevole per sempre.

La giustizia potrebbe, anche se non sono d’accordo, ammazzare un criminale quando è ancora cattivo, ma non dovrebbe più tenerlo in carcere quando è diventato buono.

O farlo uscire solo quando baratta la sua libertà con quella di qualcun altro collaborando e usando la giustizia.

Se la pena è solo vendetta, sofferenza e odio,  come può fare bene o guarire?

Voglio ricordare che per chi ha commesso un crimine, il perdono fa più male della vendetta, il perdono lo  costringe a non trovare dentro di sé nessuna giustificazione per quello che ha fatto.

Ecco perché converrebbe combattere il male con il bene, col perdono,  con una pena equa e rieducativa.

La pena dell’ergastolo ostativo ci lascia la vita, ma ci divora la mente, il cuore e l’anima.

A un malato di sclerosi multipla concessa la marijuana per uso terapeutico


Il tribunale di Avezzano accoglie la procedura di urgenza per la somministrazione gratuita di un farmaco a base di cannabis, che deve essere acquistato fuori dall’Italia. Primo caso in Italia

pillole farmaceutiche sul palmo di una mano

AVEZZANO – Per la prima volta in Italia a un malato di sclerosi multipla viene concessa la somministrazione gratuita di un farmaco a base di cannabis. Succede ad Avezzano dove il tribunale ha dato ragione ad un malato in uno stata avanzato della malattia che aveva chiesto di essere curato con il farmaco che deve essere acquistato fuori dall’Italia. Il giudice, Elisabetta Pierazzi, si è infatti pronunciato in un procedimento cautelare e urgente promosso da un malato, affermando il diritto alla somministrazione gratuita di cannabinoidi al malato in questione, in rispetto dell’articolo 32 della Costituzione (che afferma il diritto del cittadino alla salute). L’ordinanza considera, infatti, questo diritto prevalente rispetto a norme a fondamento etico che pure di fatto ne limitano l’efficacia.

Secondo quanto riportato oggi dalla pagina on-line de “Il centro”, il malato ha ottenuto un pronunciamento favorevole perché in condizioni di particolare indigenza e perché il farmaco si è dimostrato l’unico mezzo per alleviarne le sue sofferenze. A spingere inoltre il giudice ad accogliere la procedura di urgenza per ottenere il farmaco anche il fatto che sussisterebbe il cosiddetto periculum in mora. Cioè il rischio di un pregiudizio imminente e irreparabile alla salute del paziente perché le condizioni del ricorrente potrebbero essere pregiudicate dal tempo che occorre per instaurare un giudizio ordinario (più lungo e complesso), in considerazione della gravità della patologia diagnosticata e della sua progressiva evoluzione in senso peggiorativa.

Il pericolo di una danno grave e irreparabile consiste, secondo il giudice, anche nel fatto che la spesa necessaria per l’acquisto degli unici medicinali efficaci, anche in relazione alla cronicità della patologia, potrebbe compromettere la possibilità di soddisfare con il proprio reddito le altre minime esigenze di vita del malato: insomma il farmaco in questione costerebbe troppo rispetto al reddito della persona che ha presentato il ricorso.

da www.superabile.it

“Oci ciornie”, occhi neri


Ochi ch‘rnye, ochi strastnye,
Ochi zhguchie i prekrasnye.
Kak lyublyu ya vas,
Kak boyus’ ya vas,
Znat’ uvidel vas ya ne v dobryj chas.

Skatert’ belaya zalita vinom.
Vse gusary spyat besprobudnym snom,
Lish’ odin ne spit, p’‘t shampanskoe
Za ochi ch‘rnye, za tsyganskie.

Ne vidal by vas, ne stradal by tak,
Ya by prozhil zhizn’ ulybayuchis’.
Vy sgubili menya ochi ch‘rnye,
Unesli navek mo‘ schast’e.

Ochi ch‘rnye
Zhguchi plamenem
I manyat menya v strany dal’nie,
Gde tsarit lyubov’,
Gde tsarit pokoj,
Gde stradaniya net,
Gde vrazhdy zapret

Occhi neri, occhi appassionati
occhi infuocati e bellissimi
quanto vi amo, io
quanto vi temo
significa che vi ho visto nel momento sbagliato.

La bianca tovaglia cosparsa di vino
dormono gli ussari di un sonno senza fine
solo uno e’ sveglio, beve spumante
brindando agli occhi neri, a quelli zingari.

Se non vi avessi visto non avrei sofferto cosi’
avrei trascorso la vita a sorridere
occhi neri, mi avete rovinato,
mi avete privato in eterno della felicita’ .

Occhi neri infuocati di ardore
mi attirano verso paesi lontani
dove regna l’amore
dove regna la quiete
dove non esiste sofferenza
dove l’odio e’ vietato.

http://www.youtube.com/watch?v=oQEjwKs_hpg&feature=related

Forgiare col calore dell’amore


“Numerose sono le tradizioni che danno al mestiere di fabbro un
significato simbolico; ma ciò che mi interessa soprattutto, sono
le corrispondenze che si possono scoprire con certi processi
della vita interiore.
Il fabbro che vuole forgiare un pezzo di ferro, comincia col
riscaldarlo; in seguito lo batte per dargli una forma. Fintanto
che il ferro non è caldo, lo si può battere quanto si vuole, ma
esso resiste oppure si rompe. Questo fenomeno rivela che la vera
educazione degli esseri può avvenire soltanto con il calore, il
calore del cuore: l’amore. Tutti coloro che contano troppo
sull’intelletto a scapito dei valori del cuore, hanno ancora
bisogno di essere educati, e quell’educazione passa attraverso
il fuoco della sofferenza. Essi si chiedono perché mai si
sentano bruciare e ricevano dei colpi… Ebbene, è il Cielo che li
sta scaldando e li sta battendo: facendoli passare per quelle
prove, vuole dar loro delle forme divine.”

Omraam Mikhaël Aïvanhov

Requiem per un’amica cara


di Daniela Domenici

Giulia, oggi sono dieci anni che hai lasciato questa terra per tornare alla Casa dove non soffri più; hai lasciato il tuo corpo mortale, martoriato da innumerevoli “torture”, per indossare una veste di luce; da quel luogo in cui sei, pieno di pace, colori e musica, quella musica che tu amavi tanto, guardi questo mondo in cui ancora mi trovo, in serena attesa di raggiungerti, quando il Signore vorrà, per continuare le nostre conversazioni, durate quasi trent’anni in questa vita…chissà se c’è un teatro o una sala concerti lì dove sei, Giulia, per poter ancora nutrire quella tua “fame di cultura” che condividevi con me…

Pozelùi, majà daragàja padrùga, GIULIA