Carceri. L’annus horribilis di un’ordinaria emergenza


  di Valentina Ascione

Cinquantaquattro decessi. Diciotto suicidi. Sembra un bollettino di guerra e in un certo senso lo è. La triste conta dei morti tra i detenuti, dal 1° gennaio di quest’anno, dimostra infatti che nelle galere della civilissima Italia del XXI secolo ogni giorno si combatte una battaglia. E’ la guerra per la sopravvivenza, contro il sovraffollamento, le pessime condizioni sanitarie e igieniche; contro l’inedia, l’imbarbarimento del corpo e della mente. Uno scontro quotidiano con tutto ciò che colloca le nostre carceri fuori dalla Costituzione. Guerra che vede direttori dei penitenziari, agenti, medici, educatori impegnati sullo stesso fronte dei detenuti, alle prese con organici quasi ovunque insufficienti. Questo 2010 già mostra di avere le carte in regola per competere con l’annus horribilis che l’ha preceduto, se non addirittura per puntare al sorpasso. Il 2009, con i suoi 175 morti – dei quali 72 suicidi – ha fatto segnare un record. Il drammatico elenco si allunga tuttavia a ritmi vertiginosi. Impossibile, dunque, escludere che quando questo numero de “Gli Altri” andrà in edicola, il bollettino si sarà ulteriormente aggravato. Eppure quella detenuta è una popolazione giovane: come fa notare l’Osservatorio permanente sulle morti in carcere, i due terzi degli oltre 67 mila reclusi hanno meno di 40 anni e gli ultrasessantenni sono appena 2.500.

 La realtà è che le galere sono ormai diventate delle “discariche sociali”, dove accantonare – e dimenticare – migliaia e migliaia di tossicodipendenti, immigrati, sieropositivi, malati di mente e piccoli delinquenti assimilabili alla proverbiale categoria dei ladri di polli. Sono per lo più i poveracci a finire e restare dietro le sbarre, non i criminali di alto bordo in grado di assoldare i più blasonati principi del Foro. Ma in carcere ci sono anche decine di bambini, a scontare la pena con e delle loro madri, perché nel nostro Paese non si è ancora riusciti a mettere a punto una soluzione semplice come quella delle case famiglia protette. E poi ci sono gli internati, ovvero quelli che hanno già scontato la propria pena, ma poiché ritenuti potenzialmente pericolosi (in base a criteri forse da rivedere) vengono trattenuti nelle cosiddette Case lavoro, dove di lavoro ce n’è ben poco: strutture come quella di Sulmona, teatro di diversi suicidi tentati e riusciti. Nei giorni scorsi il Parlamento ha scelto di perdere una buona occasione per alleviare almeno un po’ l’asfissia nelle carceri.

 Un’inedita ricollocazione sullo scacchiere politico ha visto Lega, Italia dei Valori e Pd uniti nel respingere la proposta della radicale Rita Bernardini – eletta nel gruppo dei democratici  – di concedere la sede legislativa alla discussione del disegno di legge Alfano in Commissione Giustizia. Ciò avrebbe accorciato l’iter per l’approvazione di misure contenute nel ddl di legge governativo, quali gli arresti domiciliari per i detenuti con meno di un anno da scontare e la messa in prova degli imputati per reati che prevedono una pena non superiore a tre anni. Provvedimenti preziosi nell’immediato, costretti invece a imboccare il normale percorso parlamentare, lungo e tortuoso. Senza uno slancio comune di legalità, umanità e ragionevolezza, senza una ferma volontà politica e istituzionale, con ogni probabilità la prossima estate saranno in 70 mila a far fronte all’afa dietro le sbarre. Tutt’altro che al fresco.

da www.radicali.it