Michela Capone, madre di Marco, racconta come in un diario la storia di una maternità difficile e di una lenta accettazione della diversità del figlio. Il libro, edito da Carlo Delfino editore, presentato al Salone Internazionale del libro di Torino
CAGLIARI – “Devo ancora imparare a essere un buon genitore, un genitore che ama un figlio per quello che è, per quello che non è, e per quello che non diventerà”. Michela Capone è la mamma di Marco: di questa maternità difficile, di questo figlio “diverso” Michela racconta nel libro “Quando impari a allacciarti le scarpe”. Una sorta di diario di viaggio, doloroso, coinvolgente ma, in fondo, anche catartico. Il libro di Michela Capone, edito da Carlo Delfino editore, è arrivato alla terza ristampa e presentato sabato 15 maggio al Salone internazionale del libro di Torino.
“Un successo insperato, assolutamente al di là delle mie aspettative – confida Michela Capone – in realtà ho iniziato a scrivere per me, per esorcizzare, attraverso la narrazione, la sofferenza, la paura e il senso di solitudine. Poi qualche amico ha letto questo mio diario e mi ha convinto a pubblicarlo. Se ho accettato è solo perché sono convinta che la mia testimonianza può sollecitare alla riflessione, può far volgere lo sguardo su una dimensione dell’esistenza che può riguardare tutti e che può arrivare all’improvviso, cogliendoci impreparati. Come è stato per me e per la mia famiglia”.
Marco oggi ha dodici anni e fin da piccolo il ritardo psicomotorio e di linguaggio che manifestava è stato associato ad una delle tante patologie dello spettro autistico. Soltanto lo scorso anno si è
arrivati a formulare una diagnosi precisa della sua malattia: si tratta di una patologia rarissima, definita “microdelezione del cromosoma 2”. Alla sua identificazione si è arrivati grazie
all’applicazione di nuovissime tecniche d’indagine sul Dna e ad una mappatura mirata del corredo genetico. Sembra che Marco sia il secondo bambino al mondo al quale è stata diagnosticata questa rara alterazione cromosomica; il secondo caso conosciuto riguarda una bambina del Canada. Gli esami sono stati effettuati all’Ospedale Microcitemico di Cagliari, città in cui vivono Marco e la sua famiglia. Dall’attesa alla nascita prematura, dalla scoperta dei primi segni del ritardo al calvario delle visite mediche, passando attraverso cliniche, ospedali, ambulatori e centri di riabilitazione, senza tacere delle lungaggini burocratiche e delle difficoltà per ottenere l’assistenza e per assicurare a Marco una buona integrazione a scuola.
“E’ vero che il dolore è costante e a volte sembra insuperabile – racconta Michela – ma è altrettanto vero che poter condividere questo carico di sofferenza è già un grosso sollievo. Negli anni, noi abbiamo visto assottigliarsi il numero degli amici e degli stessi parenti disponibili anche semplicemente all’ascolto. Lo stesso sistema sociosanitario non è ancora capace di farsi carico delle fragilità altrui. La disabilità fa paura e il principio di inclusione sociale, in realtà, rimane sulla carta. La vera solidarietà nasce tra le famiglie che vivono le stesse esperienze, le battaglie si combattono dentro questo microcosmo di umanità, mentre aumenta la distanza con coloro che non si sentono toccati direttamente dal problema”.
Michela Capone, che di mestiere fa il magistrato presso il Tribunale dei Minori di Cagliari, ha deciso di devolvere i proventi della vendita del libro all’Associazione “Peter Pan”, nata nel 2000 per iniziativa di un gruppo di famiglie con bambini affetti da disturbi pervasivi dello sviluppo ed altre patologie neurologiche invalidanti. In particolare, lo scopo è di sostenere la realizzazione della “Casa di Peter Pan”, una farm community per adolescenti e adulti con patologie neurologiche. Il progetto, ancora in fase iniziale, prevede una struttura di accoglienza per 24 persone, ospitate in tre case famiglia, collegate ad ambienti di servizio e di lavoro comuni. I giovani e gli adulti disabili potranno svolgere attività lavorative, come la coltivazione di orti biologici, l’allevamento di animali da cortile, la manutenzione di serre e giardini, attività ludiche di relazione, programmi di riabilitazione socio-sanitaria. L’idea della farm community è stata mutuata da esperienze simili realizzate in Norvegia con buoni risultati.
“La casa di Peter Pan non è una struttura pensata solo per il dopo di noi – spiega Michela Capone – ma anche per il ‘durante’, per il presente e per la fase successiva alla fine del ciclo scolastico quando i nostri figli avranno la necessità di un progetto esistenziale che garantisca loro una vita autonoma e serena, al di là della presunzione di una ‘normalità’ che appare sempre più come una maschera limitante e a tratti grottesca”. (mtm)