di Silvia Fumarola
Al Festival di Sanremo si canterà in dialetto. La novità del regolamento dell’edizione 2010, che sarà presentato ufficialmente lunedì, prevederebbe all’articolo 6 che “le canzoni dovranno essere in lingua italiana; si considerano appartenenti alla lingua italiana, quali espressione di cultura popolare, canzoni in lingua dialettale italiana e non fa venir meno il requisito dell’appartenenza alla lingua italiana la presenza di parole e/o locuzioni in lingua straniera, purché tali da non snaturare il complessivo carattere italiano del testo”. Lo stesso articolo, nel regolamento del 2008 recitava invece: “Non fa venire meno il requisito della appartenenza alla lingua italiana la presenza nel testo letterario di parole e/o locuzioni in lingua dialettale italiana, quali espressioni di cultura popolare”. Quest’anno, invece, si parla esplicitamente di “canzoni in lingua dialettale italiana”.
Il festival di Antonella Clerici, che festeggia la sessantesima edizione (si svolgerà dal 9 al 13 febbraio), apre quindi le porte ad artisti che scelgono di esprimersi nel loro dialetto, senza essere costretti a cambiare il testo. Il primo vincitore a Sanremo è la Lega. Era stato Umberto Bossi, la scorsa estate, a chiedere a gran voce che il dialetto fosse protagonista sul palco dell’Ariston. Il leader del Carroccio aveva rilanciato la proposta di Marco Lupi, presidente leghista del Consiglio comunale di Sanremo, deciso a dedicare una serata alle canzoni “in lingua etnica”.
Per Bossi “Sanremo era uno dei simbolo del centralismo, ma sapevo che il sistema, a furia di prendere cazzotti, sarebbe cambiato. E al Festival andranno anche le canzoni in lingua etnica”. È questa l’espressione con la quale aveva definito i dialetti, che Lupi aveva invece ribattezzato, ispirandosi a Dante, “lingue municipali”. Alcuni dialetti erano già comparsi al festival: i Tazenda avevano cantato strofe in sardo, i Pitura Freska, con “Papa nero”, avevano portato alcune espressioni in dialetto veneziano, il trio Enzo Gragnaniello, Mia Martini e Roberto Murolo in una bellissima canzone, “Cù mme”, cantarono in napoletano. Versi, ma non intere canzoni in lingua.
, grande protagonista della canzone e del teatro napoletano (debutterà il 4 dicembre al Trianon, di cui è direttore artistico, con Lacreme napulitane accanto a Maria Nazionale) , fu escluso proprio per il regolamento che non prevedeva il dialetto, e oggi applaude. “Ma vi pare possibile che un napoletano debba ringraziare la Lega?” ironizza “Alla fine mi trovo d’accordo con un’iniziativa di Bossi. È giusto che il dialetto riacquisti la sua importanza, e non perché sono napoletano, ma il napoletano è una lingua vera e propria, le cose più belle sono stati scritti da autori campani. Quando serve Napoli va tutto bene, ci recuperano. Sanremo, diciamoci la verità, è stato il primo grande reality, prima del Grande fratello ma ora è agli sgoccioli. Così per riprendersi un po’ di attenzione torna al Sud e non solo al Sud, per recuperare il grande pubblico”.
Anche Peppe Servillo, senza entrare nei meriti della politica, è soddisfatto: “È ovvio che sia d’accordo che si usi il dialetto, ce ne sono alcuni meravigliosi, più musicali. Il napoletano è una lingua, ma anche il veneto, lingua teatrale per eccellenza, e come dimenticare Creuza de mar di Fabrizio De Andrè? Vera poesia”.
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