di Renato Minore
ROMA (1 novembre) – Esce dagli archivi della Manni Come polvere o vento di Alda Merini che la casa editrice pugliese pubblicherà tra qualche settimana, con introduzione di Giulio Ferroni. Questo volume raccoglie un prezioso e casuale ritrovamento: oltre 60 poesie di Alda Merini inviate alla casa editrice Manni agli inizi degli anni Novanta, su suggerimento di Maria Corti, mai pubblicate e sepolte negli archivi dei manoscritti. Si tratta di liriche straordinarie, tre le più intense e passionali che la poetessa abbia mai scritto, che toccano tutti i mondi interiori della Merini: l’amore, le donne e gli uomini (tra tutti, quelli della famiglia Pierri), il disagio mentale, la solitudine, il dolore con in più una vena satirica e irriverente che è assieme intento personale e poetico.
La poesia della Merini si è sviluppata in un flusso continuo, che ha la qualità di un modo di porsi nel mondo: offerta di sé al ritmo indefinito della quotidianità, in una ininterrotta costruzione di rapporti, di possibilità che variamente si intrecciano, si confondono, si sovrappongo, si infittiscono e si districano; presenza dentro il corpo e in mezzo alle cose, ricca certo di sapienza e di passione, intessuta di molteplici echi della cultura e del mito, di suggestioni di un mondo lontano, di parole perdute e indecifrabili, ma tutta esaltata, consumata, bruciata, nel suo darsi, nel suo offrirsi all’occasione, canto e vocalità in totale abbandono, dono divino caduto nella banalità del presente, ma pronto comunque ad accendersi anche in quella banalità, a brillare nonostante tutto, tra gioia e disperazione, tra la più nuda esposizione di sé e il trucco più sontuoso e splendente.
Da “Come polvere o vento” anticipiamo la poesia “Requiem”
Requiem
ed ecco per te il mio requiem senza parole
con la bocca piena di erba e di felci azzurre
ecco il mio requiem della corifera che non
è creduta, della Cassandra che è vilipesa
magnifico esempio di segreta impresa
tu solo mi esalti e mi incanti perché
sei colui che non si può prendere ed essendo
fermo sulle rive del Gange in perenne
contemplazione aspettando che passi la pagliuzza
d’oro della conoscenza e dell’era eterna
tu che sei scaltro più della pietra e più
duro del sasso e che pensi perennemente
pensi alle ere pitagoriche e che veneri
Socrate e che infine sei Paolo di Tarso
atterrato dalla fede infinita ebbene io
ti disarcionerò dal tuo cavallo d’amore
filiale desiderante farò di te un martire
dell’ombra perché il segreto della tua
tristezza è l’ordine e il disordine delle
cose create perché io non sono dissimile a
tua madre a Cerere eterna e infine sono
anche la primavera che si mette sugli alberi
insieme alla rugiada e tu ami la rosa della
vergogna che mi trovo appuntata sul petto
e tu le esalti e le scorri con le tue dita
feconde. Potessi così capire il mio desiderio
che si apre il fiore della carne infinitamente bella
e trovarvi dentro il seme insaziabile
dell’amore e dell’ebbrezza potessi sprezzante te
spargere sangue insieme disseminare
la discordia degli abissi perché sei
il murmure pieno e il precipizio delle
albe e perché infine tu conosci il senso
della bellezza. Io aborro pensare ma
aborro anche muovermi nel caos infinito.
da www.ilmessaggero.it