10 giugno 1940 – 10 giugno 2010


di Daniela Domenici

Oggi, 70 anni dopo, nel giorno che ricorda l’entrata in guerra dell’Italia nel secondo conflitto mondiale vi invito a ribadire un NO a ogni forma di

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Umbria choc, nessuna piazza per Falcone e Borsellino


di Roberto Puglisi

Falcone e Borsellino erano due siciliani. La visione federalista della neo Italia prevede che essi siano ricordati nelle piazze siciliane, nelle vie siciliane, con i monumenti siciliani, tra i loro simili. Oltre lo Stretto è peccato.
Riporta oggi il Corriere della Sera: “«A me Falcone e Borsellino non hanno fatto niente di male. Ma si potrebbe discutere anche di altri nomi, come Aldo Moro, Bettino Craxi, Bazzoli Alessandro». E chi sarebbe questo Bazzoli Alessandro? «Un nostro concittadino che ha donato al Comune il terreno vicino alla piazza. Merita una ricompensa». Fausto Dominici è il sindaco di Vallo di Nera, meno di 500 abitanti in uno degli angoli più belli dell’Umbria. È stato lui a bocciare la proposta di dedicare una piazza del paese ai due magistrati uccisi dalla mafia. Per loro nessuna ricompensa”.
Umbria, regione civilissima, profumo di terra buona, sudore di gente operosa. Non siamo nelle valli del profondo Bergamasco. E’ un altro spicchio di neo Italia, a quanto pare con le idee diverse dalla vetero-Italia.
Continua a raccontare il cronista del Corrierone, affonda il bisturi nel ventre molle del paradosso che un po’ fa ridere, un po’ spaventa: “L’idea era venuta ad un consigliere dell’opposizione, Marco Morganti. E sembrava destinata a filare liscia tanto più che in questo delizioso borgo della Valnerina i nomi delle strade non sono proprio creativi: via del fiume, via del fosso, via di mezzo, via del fondo… Il consigliere ne parla con il sindaco, iscritto al Pd ma eletto con una lista civica. «E cosa c’entrano questi con noi?» si sente rispondere. D’accordo il federalismo ma Falcone e Borsellino non sono eroi per tutta l’Italia, Umbria compresa? Il consigliere, anche lui eletto per una lista civica, insiste. Pochi giorni prima dell’anniversario di Capaci, fa mettere ai voti una mozione per intitolare ai due magistrati una piazza della frazione di Meggiano, quella vicino al terreno donato al Comune. Ma la bocciatura è rotonda: due sì e otto astenuti, sindaco compreso”.

Sarà vero quello che scrive il Corrierone? Non ci sarà un pizzico di esagerazione? Possibile che la civilissima Umbria… Sì, deve essere vero, è tipico della neo Italia. Falcone e Borsellino eroi siciliani e basta. Chi erano costoro rispetto al mitico concittadino Bazzoli?  E anche la mafia è un affare solo siciliano, di Riini, Provenzani e Bruschi prodotti in serie, “Made in Trinacria”. Allora forse dovremmo ricambiare con la stessa moneta questi aspiranti federalisti d’accatto. Tanto per cominciare, via dalla toponomastica di Palermo corso Vittorio Emanuale, sovrano straniero e – diciamolo – pure antipatico. Non suonerebbe meglio, assai meglio, corso Ficarra e Picone? Ne sarebbe contento per principio – pensiamo – il sindaco di Vallo come si chiama. Che ha pure la delicatezza di ammetterlo: Falcone e Borsellino “non hanno fatto niente di male”, nonostante una sospetta sicilianità. E vallo a capire,  vai a capire cosa legge e come respira il signor primo cittadino di Vallo e qualcosa…

da www.livesicilia.it

Treviso, bimba down insultata al ristorante: “Con figli così rimanete a casa”


Orribile episodio di nei confronti di una piccola disabile a . «Quando si hanno dei figli è meglio restarsene a casa», infastidito dal gioco di una bimba seduta nel tavolo vicino, il cliente di un di ha apostrofato così i suoi genitori.

Per non turbare ulteriormente la bambina, lì per lì il padre non ha reagito all’offesa ma, non volendo far passare sotto silenzio questo «atto di inciviltà», ha scritto una lettera alla Tribuna di .

«L’ho fatto perchè simili scene non accadano più – spiega il papà – In un istante quell’uomo è riuscito a rovinare una tranquilla serata, ma non ho voluto che mia figlia assistesse a una scenata che avrebbe trasformato un bel ricordo in un trauma». La famiglia – padre, madre e quattro bambine dai tre ai nove anni – aveva appena finito di mangiare la pizza e, in attesa del caffè, una cameriera intratteneva la più grande facendola giocare con dei ritagli di carta.

Un foglietto è inavvertitamente volato sul tavolo vicino, dove un signore stava cenando insieme alla famiglia e ad alcuni amici, cadendo vicino ad un piatto: la reazione è stata quella frase brutale e intollerante che ha creato il gelo, ma di fronte alla quale nessuna delle altre persone sedute al tavolo ha avuto nulla da eccepire.

«Cose del genere non devono succedere – dice il titolare della – Se avessi assistito alla scena avrei allontanato quel cliente arrogante e cattivo. Di clienti così facciamo volentieri a meno».

da www.blitzquotidiano.it

A Rosarno i bianchi contro i neri, la prima guerra etnica d’Italia


A prima in Italia E’ la prima rivolta etnica in Italia, non sarà l’ultima. E’ scoppiata ovviamente nel luogo più “illegale” d’Italia, ma cova e fermenta in molti altri luoghi della penisola. Ecco il film della “Rivolta di ”, un film dove la parte dei “buoni” non la recita nessuno, è assente dal copione e dalla sceneggiatura.

 Prima scena: migliaia di “neri” vengono fatti lavorare nelle campagne. Venti euro al giorno, di cui cinque vanno agli . “Orario” di lavoro: dall’alba al tramonto. Di giorno i “neri” sono bestie da lavoro sopportati, di notte devono sparire. Rintanarsi in alloggi fatiscenti che le stesse autorità definiscono “gironi danteschi”. Gli agricoltori della zona dicono che lavoratori regolari non ne possono pagare e che quindi l’unico lavoro possibile è quello nero per i neri. Dicono che c’è “la crisi dell’agricoltura”. E’ una teorizzazione, forse inconsapevole ma di certo esplicita, del lavoro schiavile.

 Seconda scena: con i “neri” ci si guadagnano soldi. In qualunque attività dove si guadagnano soldi è controllata o “osservata” dalla criminalità organizzata. I “neri” sono sotto la doppia pressione dei “padroni” e dei boss. Sopportano gli uni e gli altri. Si aggiunge un endemico, spontaneo, quotidiano e “naturale”. Se e quando i “neri” escono dal circuito campo-tana, la gente del posto li evita e talvolta si diverte a ricordare loro che sono umanità di serie inferiore. Fino a che un giorno qualcuno prende un fucile ad aria compressa e spara al “nero”. Mica per ucciderlo, ma per tenerlo al “suo posto”.

 Terza scena: i “neri” si ribellano. Con rabbia violenta: sfasciano, minacciano, invadono. Quel che succede nelle banlieu parigine, quel che succedeva nei ghetti delle metropoli americane, quel che pensavamo, chissà perchè, da noi in Italia non potesse mai succedere. I “neri” fanno male e fanno paura. Commettono reati ma soprattutto “occupano” la terra, le strade, lo spazio dei bianchi.

 Quarta scena: i bianchi reagiscono, centinaia di giovani calabresi, parole loro, danno “la caccia all’africano per difendere le nostre case”. Negozi e scuole chiuse. Qualcuno spara stavolta non a salve. La polizia cerca a fatica di impedire lo scontro di piazza tra neri e bianchi.

 Quinta scena: il governo capisce cosa sta succedendo. Affida l’emergenza ad una “task force” che comprende uomini del Viminale, del ministero del Welfare , della Regione . Perchè, parole ufficiali, l’emergenza è insieme di “ordine pubblico, lavoro neo e assistenza sanitaria”. Capisce, ma lavora, come dice il commissario prefettizio , in una “situazione grave e pesante”. Quanto grave e pesante? Il corteo dei “neri” va sotto la sede del Comune, ma il Comune non c’è, è sciolto per infiltrazioni mafiose. Le ronde di autodifesa dei bianchi accerchiano il corteo dei neri, gridano: “Andatevene in Africa”. E un grido che ha più o meno lo stesso suono viene da Roma, dal ministro degli Interni che oggi si ricorda di essere prima leghista e poi ministro, per lui questi clandestini sono “troppo tollerati”. La polizia, che è insieme quella di ma anche della legge e dell’ordine pubblico, se si azzarda a fermare i bianchi violenti rischia insieme la sollevazione della gente e il biasimo del ministro. Se attacca i “neri” rischia la tragedia. Sta quindi più o meno ferma, in mezzo.

 La “Rivolta di ”, un film dove sono tutti cattivi e incattiviti: i “neri”, i bianchi, la gente, gli agricoltori ci dice quel che in fondo avremmo dovuto già sapere. Quel che è sempre accaduto, sempre e ovunque. Puoi usare ed estendere il lavoro nero fino a farne sistema, puoi far diventare il lavoro nero delle altre etnie, dei clandestini, lavoro e condizione schiavile. Lo puoi fare, nessuno ti ferma davvero e puoi perfino invocare le leggi dell’economia a sostegno di quello che fai. Puoi decretare per legge che i clandestini non devono esistere e che quindi, siccome ci sono e lavorano per te italiano, al calar del sole devono sparire nelle tane. Puoi, come si comincia a fare al Nord, ispezionare le loro case a caccia di documenti scaduti. Puoi comunicare loro per via di legge, di stampa e di tg, che non sono graditi. Puoi, d’accordo con il sentire popolare, additarli come fonte di guai e di contagio.

 Puoi fare tutto questo, per farlo ce ne sono in Italia sia le condizioni materiali che le leggi di Stato che il consenso d’opinione. Però non puoi farlo gratis. Ovunque nel mondo hai fatto o fai questo il prezzo è la rivolta. Rivolta bestiale di quelli che hai trattato come bestie

 da www.blitzquotidiano.it