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Trapianti: la fede, coadiuvante per la sopravvivenza

Pubblicato il 20 agosto 2010 di Daniela Domenici

di Paola Simonetti

Lo ha dimostrato uno studio condotto in Italia dall’Istituto di fisiologia clinica del Cnr di Pisa su 179 pazienti: mortalità tripla fra coloro che non credono.

Fonte: Immagine dal web

Quello che non può fare in pieno un farmaco

forse può realizzarlo la psiche. Essere sostenuti da positività e forza, può infatti, in qualche caso, addirittura aiutare la sopravvivenza. Al di là di qualunque convinzione miracolistica, il Cnr ha dimostrato ad esempio che, nell’ambito di quadri clinici legati ad un trapianto, in alcuni casi a fare la differenza nel decorso della fase post operatoria è la predisposizione alla ricerca di Dio, qualunque confessione religiosa si prediliga.

Insomma, aver fede può aiutare ad

allontanare la morte: a dimostrarlo lo studio italiano dell’Istituto di fisiologia clinica del Consiglio Nazionale delle Ricerche di Pisa (Ifc-Cnr), condotto su 179 pazienti che hanno subito un trapianto di fegato e seguiti per quattro anni dal gruppo in collaborazione con il dipartimento di Trapiantologia epatica dell’università di Pisa.

“I candidati al trapianto di fegato vengono sottoposti di routine a una valutazione

psicologica –  ha spiegato il responsabile della ricerca, Franco Bonaguidi, psicologo presso l’Ifc-Cnr -, che ha lo scopo di aiutarli ad affrontare questo momento particolarmente difficile e a  identificare eventuali controindicazioni all’intervento. Poiché i pazienti riferivano un profondo ritorno alla religione e alla spiritualità, la nostra ricerca ha indagato tale aspetto, indipendentemente dal credo religioso e dalla partecipazione alle funzioni ecclesiastiche”.

Dalla ricerca, pubblicata sulla rivista Liver Transplantation, risulta che, fra

i pazienti che hanno affrontato la malattia profondamente convinti che la fede li avrebbe aiutati, il 93,4% è sopravvissuto (la mortalita’ e’ stata quindi del 6,6%), mentre tra coloro che non lo hanno fatto la sopravvivenza e’ stata pari al 79,5% (con una mortalita’ del 20,5%, tripla rispetto a quella del primo gruppo di pazienti). Durante il follow-up di 4 anni successivo al trapianto, 18 pazienti sono morti. Secondo Bonaguidi, la differenza fra i due gruppi ‘”èstatisticamente notevole, mentre la probabilita’ di ‘falso positivo’, ovvero che sia stata rilevata una differenza inesistente, è del 2,6%, nettamente inferiore alla soglia convenzionale del 5%”.

Per comprendere quali fattori fossero stati in grado di predire la mortalità

dei pazienti, i ricercatori, hanno utilizzato un’analisi statistica nota come modello di Cox, “prendendo in esame fattori come l’età dei pazienti – prosegue Bonaguidi -, il sesso, il livello di istruzione e occupazione, il tipo e la gravità della malattia, l’età del donatore e alcune variabili o complicanze legate all’intervento chirurgico, come il sanguinamento peri-operatorio. Infine, abbiamo testato con lo stesso rigore scientifico il ruolo della religiosità”.

In particolare, le risposte sono state esaminate mediante un’analisi

fattoriale “che ha permesso di evidenziare, attraverso una procedura matematica, le principali componenti della religiosità, definite come ricerca ‘attiva’ di Dio, attesa ‘passiva’ di Dio e generico atteggiamento fatalistico”.

A fare la differenza, secondo i ricercatori, dunque, è la religiosità vissuta

in modo attivo, ossia intesa come ”cercare attivamente l’aiuto di Dio”. Un atteggiamento,  ha aggiunto lo psicologo, che ”non si identifica con una religione confessionale, ma che è un aspetto intimo della personalità che porta a vedere l’incontro con la malattia grave come un momento di rielaborazione della propria esistenza, dei propri valori e di rivalutazione della componente spirituale e trascendente”.

L’analisi delle risposte “ha permesso di evidenziare, con una procedura

matematica, le principali componenti della religiosità, definite come ricerca ‘attiva’ di Dio, attesa ‘passiva’ di Dio e generico atteggiamento fatalistico”. É emerso cosiì, conclude lo psicologo, che “le uniche variabili in grado di predire la mortalitàdei pazienti dopo il trapianto sono la durata della degenza in terapia intensiva e, come fattore negativo, l’assenza di ricerca di Dio, con un rischio relativo rispettivamente di 1,05 e 3,01”.

È importante anche il contesto da cui questi risultati provengono. “

Un’unità operativa ad alta tecnologia, il Centro trapianti di fegato dell’università di Pisa del prof. Franco Filipponi, dove la valutazione psicologica del vissuto di malattia è paradossalmente – ha concluso Bonaguidi- più sentita e valorizzata quale risorsa di guarigione”.

[Elaborazione da comunicato Cnr]

da http://www.nannimagazine.it

Pubblicato in: Cronaca: bianca e nera, Curiosità - oddly news, Gocce di fede, Salute, Scienza | Contrassegnato da tag cnr pisa, credere non credere, fede, fisiologia clinica, franco bonaguidi, guarir, liver transplatation, modello di cox, psicologo, religiosità, sopravvivenza, trapianti | Lascia un commento

Ma siamo scemi?

Pubblicato il 17 febbraio 2010 di Daniela Domenici

di Andrea Cottone

I siciliani e i meridionali sono meno intelligenti dei settentrionali e per questo le aree del Sud sono meno sviluppate. Così l’emerito professore Nord-Irlandese di psicologia Richard Lynn ha risolto il problema della differenza di sviluppo socio-economico fra il Nord e il Sud d’Italia. Così mentre il Nord presenta quozienti intellettivi in media con l’Europa, più si va a Sud, più il quoziente scende. La causa? “Con ogni probabilità da attribuire alla mescolanza genetica con popolazioni del Medio Oriente e del Nord Africa”.

Leopoldo Franchetti e Sidney Sonnino non avevano capito nulla. A parità di variabili (statura, istruzione e reddito), da Nord a Sud il q.i. scende fino a raggiungere i minimi in Sicilia. Sarebbe di 89 il quoziente intellettivo medio dei siciliani contro  il 103 del Friuli. Ma bisogna anche dire che Lynn è lo stesso che ha teorizzato differenze d’intelligenza in base alla razza e al sesso. Così le donne sono meno intelligenti degli uomini per via della dimensioni del cranio. Lo stesso ha teorizzato come la pelle chiara sia indice di maggiore intelligenza rispetto a quella scura.

“Infatti è risaputo che don Luigi Sturzo, Antonio Gramsci, Aldo Moro, Giordano Bruno, Luigi Pirandello, Edoardo de Filippo, Totò, Salvatore Quasimodo, ma anche Gian Lorenzo Bernini, Renato Guttuso, Renato Dulbecco, Grazia Deledda, solo per non dilungarci troppo, sono nati e cresciuti nel profondo nord Italia” risponde il gruppo del Pdl-Sicilia all’Ars commentanto la ricerca sulla sua pagina di Facebook. “Ma forse è solo un caso – continua la nota – che la maggioranza dei laureati nelle due più prestigiose università italiane, la Luiss di Roma e la Bocconi di Milano, sono ragazzi del Sud; la fuga all’estero dei migliori cervelli che nella stragrande maggioranza dei casi sono poveri ‘ignorantelli’ del Mezzogiorno? Uno scherzo del destino cinico e baro. Una cosa è certa, se è questo il risultato delle menti brillanti britanniche, allora – conclude la nota – non ci stupisce affatto che a volere maggiormente i nostri ricercatori sono proprio le università e gli istituti di ricerca d’oltre Manica!”.

Al gruppo di Micciché fa eco l’Mpa. “Di fronte alla volgare ignoranza di tanto ‘professore’ – sottolinea Totò Lentini – è perfino superfluo citare Pirandello o Bellini, il barocco della val di Noto o le ville liberty di Palermo. La Sicilia può e deve andare orgogliosa di avere realizzato l’incontro e la sintesi fra culture e popoli diversi, può e deve andare orgogliosa delle sue bellezze e, soprattutto, della propria gente, compresa quella che, emigrando, ha permesso, con le braccia e con l’ingegno, lo sviluppo di altri luoghi. A poche settimane dal ‘giorno della memoria’, per ricordare le vittime di uno sterminio realizzato proprio in nome di teorie razziste assai simili a quelle di Lynn, ci sarebbe da indignarsi e, per le autorità del suo paese, valutare il ricovero in una struttura psichiatrica”. “Ma – conclude – credo si tratti delle follie di un razzista, altrimenti ignoto, in cerca solo di pubblicità. Forse qualche ‘difetto’ genetico ce l’ha proprio Lynn?”.

da www.livesicilia.it

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