“Chi vigila sul controllore” di Carmelo Musumeci dal carcere di Spoleto


Sarebbe importante che il luogo carcere diventasse spazio aperto per i giornalisti.

L’appello del giornale “Il Manifesto”  e dell’Associazione Antigone per  favorire l’accesso ai giornalisti in carcere è di fondamentale importanza.

 La prigione è un mondo ignoto per tutti quelli che sono liberi:  far  conoscere ai cittadini l’inferno che i politici hanno creato e mal governato sarebbe vitale per portare la legalità in carcere.

Sarebbe importante che i giornalisti, e quindi i cittadini, sapessero degli abusi, dei soprusi, delle ingiustizie, dei pestaggi e delle  violenze che accadono in carcere.

Sarebbe di grande interesse che i cittadini sapessero che la galera in questi ultimi anni è diventata uno spazio solo per “allontanare, emarginare, isolare e controllare” il disagio sociale.

Sarebbe importante che i cittadini sapessero che in carcere  ci sono sempre  meno delinquenti e sempre più emarginati, tossicodipendenti, barboni, extracomunitari e “avanzi sociali”.

Un carcere trasparente e aperto alla stampa, come qualsiasi luogo pubblico, ovviamente con delle regole, farebbe bene al carcere, ai detenuti e alla polizia penitenziaria, per affrontare le contraddizioni di questo “non luogo”.

Rendere trasparente il luogo carcere farebbe bene alla democrazia.

 In questi anni alcuni giornalisti, anche qualcuno della stampa estera, hanno cercato d’intervistarmi per il mio attivismo per l’abolizione dell’ergastolo e, anni fa,  per essere stato uno dei promotori di una lettera al precedente Presidente della Repubblica, firmata di 310 ergastolani, per tramutare l’ergastolo ostativo in  pena di morte.

Il Dipartimento Amministrativo Penitenziario ha sempre negato l’autorizzazione affinché qualsiasi giornalista mi potesse intervistare,  come se non solo il mio corpo ma anche i miei pensieri fossero prigionieri dell’Assassino dei Sogni (come io chiamo il carcere).

Non molto tempo fa “ Tg3 Linea notte” mi aveva chiesto un’intervista,  ma non ho saputo più nulla e ne deduco che anche stavolta il DAP non l’abbia autorizzata.

Le uniche interviste che ho potuto rilasciare, finora, sono state solo per iscritto.

Mi viene spontanea una domanda:

-Perché l’Assassino dei Sogni ha paura che si sappia com’è fatto, cosa fa e cosa pensa?

Spero che un giorno non lontano i giornalisti possano entrare in carcere per fare conoscere all’opinione pubblica quello che accade nelle prigioni di stato  e per far sapere perché molti detenuti preferiscono suicidarsi che vivere. Ma questo ve lo posso dire anch’io:  il carcere in Italia non ti toglie solo la libertà, ti toglie soprattutto la dignità, ti prende a calci l’anima, ti strappa il cuore e ti ruba quel poco d’amore che ti è rimasto dentro.

 In questi nostri giorni, innocenti o colpevoli, tutti possono entrare in carcere,  ed è meglio per tutti che si  sappia quello che si può trovare dentro.

Lager in Italia


“Non mi uccise la morte, ma due guardie bigotte mi cercarono l’anima a forza di botte”.
(Fabrizio De Andrè)

pestaggio in carcere“Un detenuto non si massacra in sezione, si massacra sotto” l’audio shock del comandante delle guardie del penitenziario di Teramo aggiunge altro orrore al dramma delle carceri.
(Fonte: “Il Manifesto”, martedì 9 novembre 2009).

Ecco due testimonianze tratte dalla tesi di laurea “Vivere l’ergastolo”:

Una mattina, mentre mi trovavo al passeggio, vengo chiamato dalle guardie, dopo che mi vengono messe le manette vengo fatto salire in una jeep, mettono in moto ed usciamo. Mi ordinano di tenere la testa abbassata. Ad un tratto una guardia impugna la pistola e mi dice “Stai per morire!” Mi punta la pistola nella tempia destra. Non ho battuto ciglio, certamente la paura c’era, ma non potevo fare nulla. In quel momento pensavo alla mia famiglia, quando sento il grilletto girare a vuoto … una finta esecuzione con le relative risate dei secondini. Come se non bastasse mi si dice:”Ora scappa, corri per la campagna”. Io con la testa faccio segno di no. Un aguzzino mi dà uno schiaffo e urla: “Scappa” io non mi muovo. Prendono una corda la mettono tra le mie manette e la legano alla jeep, mettono in moto e mi tirano dietro, cerco di correre il più forte possibile, ma non posso farlo più forte della jeep, finchè con un piede entro in una buca, perdo l’equilibrio, cado e sono trascinato per circa 100 metri con risate e divertimento delle guardi carcerarie.
(Matteo Greco, carcere di Pianosa 1992)

Dopo i primi giorni avvenne il primo pestaggio: quando si usciva all’aria gli sgherri erano messi in fila con i manganelli nelle mani. Un compagno anziano, lento nei movimenti, rimasto indietro, venne preso a calci, pugni e manganellate. Sentivamo urli strazianti. Al ritorno vedemmo tutto il sangue sparso nel corridoio, ma noi eravamo troppo impauriti per potergli dare la nostra solidarietà. E quella nostra debolezza fu l’inizio della fine, perché fatti del genere in seguito si ripeterono sovente.
In quel periodo imparai a conoscermi a crescermi dentro, scoprii che lo Stato è peggio di quel che credevo, mi faceva conoscere privazioni, torture e patimenti nell’assenza totale di legalità, giustizia e umanità. In quella maledetta isola persino i gabbiani erano infelici per quello che vedevano. Alla fine, nell’estate del ’93, iniziai a fare lo sciopero totale della fame …
(Carmelo Musumeci, carcere dell’Asinara 1992)

Perchè meravigliarsi tanto dell’omicidio di Stefano Cucchi e delle botte ai detenuti?
Il carcere in Italia è così e basta e non deve rendere conto a nessuno.
Perché queste lacrime di coccodrillo da parte dei politici e dei mass media?
Non è un segreto che in carcere i detenuti vengono picchiati, è sempre stato così e sempre sarà così.
Vengono picchiati soprattutto i detenuti più deboli, i più soli e i più emarginati.

Carmelo Musumeci
Carcere di Spoleto

da www.informacarcere.it

Teramo: pestaggi in cella, polemica


Video denuncia, si muove il ministro

Una registrazione mandata a un giornale locale ha scatenato la bufera sul carcere di Teramo. Nell’audio si sente la voce del comandante delle guardie penitenziarie, Giovanni Luzi, che redarguisce un agente reo di aver pestato un detenuto. Il fatto sarebbe avvenuto davanti a dei testimoni. “Si massacra di sotto, non in sezione. Abbiamo rischiato la rivolta perché il negro ha visto tutto”, dice Luzi. Sulla vicenda si sta muovendo anche il ministro Alfano.

“E’ vero che il detenuto ha fatto così ma è anche vero che lo ha massacrato in sezione. E in sezione non si può massacrare un detenuto, si massacra sotto. Abbiamo rischiato la rivolta perche’ c’era il negretto, il negro che ha visto tutto…”. Frasi nette, che costituirebbero testimonianza di un pestaggio in piena regola di un detenuto, nel rimbombo di un ufficio nel settore del personale del carcere di Castrogno a Teramo. La voce è del comandante delle guardie penitenziarie, Giovanni Luzi. Oggi avrebbe ammesso che la voce è sua.

Il sostituto procuratore David Mancini ha aperto un’inchiesta e ha acquisito il Cd su cui qualcuno, sicuramente un agente, ha riversato l’audio catturato con un telefonino e spedito in busta anonima al direttore del quotidiano locale La Città. La radicale Rita Bernardini chiama in causa il Guardasigilli: “Alfano sotto questo profilo ci sembra un po’ addormentato. Bisogna prendere provvedimenti urgenti perché 61 suicidi sono troppi, il ritmo di crescita dei detenuti è di 800-1000 l’anno, la situazione è grave e Teramo non fa eccezione”. Stesso invito arriva anche dal Pd, che sostiene “la sottovalutazione di quella che è una situazione esplosiva”.

L’appello a identificare e punire gli eventuali responsabili ma a non strumentalizzare, è lanciato dal Sappe, il sindacato autonomo, il cui segretario Donato Capece parla del Corpo, come “istituzione sana, con una onorabilità da difendere da inaccettabili strumentalizzazioni”.

Teramo non è la Guantanamo d’Italia
Il penitenziario di Teramo è, per Eugenio Sarno, segretario generale Uil penitenziari “connotato dalle caratteristiche negative del sistema carcerario italiano, sistema che trasforma la pena in supplizio e il lavoro intortura, e non certo per colpa del personale”. “Possiamo tranquillamente affermare che Teramo non è la Guantanamo d’Italia”, aggiunge Sarno.

“D’altro canto – aggiunge – nel corso della visita abbiamo potuto incontrare due detenuti a cui il personale ha salvato la vita. Per ben due volte , infatti, uno dei due ha tentato il suicidio attraverso il soffocamento con sacchetto di plastica. L’altro è stato salvato con una corda rudimentale già al collo con il chiaro intento di impiccarsi. Tantomeno nessun detenuto, dei tantissimi, ascoltati dall’On. Bernardini ha fatto riferimento a violenze di sorta. A questo punto credo che il caso si sgonfi clamorosamente. Ovviamente ci rimettiamo, comunque, alla Magistratura cui spetta l’accertamento dell’ accaduto e auspichiamo una conclusione delle indagini in tempi rapidi”.

fonte tgcom