Amore, semplicemente amore


di Loretta Dalola

Sappiamo che l’amore, per sua natura, sfugge ad ogni pretesa di definizione, non può essere definito, ma solo descritto, tramite l’analisi delle sue manifestazioni, che si evidenziano soprattutto nel sentimento. 

Il concetto di amore nelle teorie filosofiche dell’antica Grecia si estende, dal suo significato primo di sentimento di affezione ad una altra persona e che implica una scelta che tende alla reciprocità e all’unione, ad una vasta gamma di sentimenti, dal desiderio di possesso di un qualsiasi oggetto che ci procura piacere, all’amore verso enti ed oggetti ideali, fino all’amore considerato come principio cosmico. 

L’amore e l’unione sessuale sono – secondo Buddha – le forme più primordiali in cui si manifesta la sete di vita. 

Per Tagore, non è solo sentimento, ma Persona, è Dio stesso e a lui, l’amante eterno, che incessantemente chiama a sé gli uomini e donne da ogni sconfinata solitudine, è non solo possibile, ma giusto chiedere sollievo, è naturale ricevere conforto, è infinita e assoluta realtà senza la quale la vita non avrebbe senso. 

Quando si entra in rapporto con la persona amata, il sentimento vibra, commuove, coinvolge, magnetizza verso un solo polo, indica la linea da seguire e si traduce in atteggiamenti comportamentali tipici dell’amore. 

In preda all’amore l’uomo dovrebbe liberarsi da ogni pensiero, passione, interesse, desiderio particolare per ritornare alla semplicità dell’essere bambino puro –  dovrebbe fare solo ciò che è necessario e naturale. 

Amare, semplicemente, amare – vivere una vita in cui è ignorato il profitto, lasciata da parte la scaltrezza, minimizzato l’egoismo. Non bisogna cioè agire con artifici e deformazioni ma lasciare che le cose si compiano in modo spontaneo e naturale. 

Il sentimento è l’ispiratore di tutti i progetti, ma  ha bisogno dell’intelligenza e della volontà, coinvolgendole le fa funzionare nel loro specifico per porre le basi di valide progettazioni. 

L’ amore  si percepisce come bisognoso di conoscere e di essere conosciuto, amare  e di essere amato dall’altro, che però non è sentito come l’oggetto di soddisfacimento del proprio bisogno, ma come  l’unica possibilità di una reciproca, vitale, corrispondenza.

Sei la nube della sera che vaghi nel cielo dei
miei sogni.
Io ti dipingo e ti plasmo col mio
desiderio amoroso.
Sei mia, tutta mia, Abitatrice dei miei sogni infiniti!”
TAGORE

 

Oh invadimi con la tua bocca bruciante,
indagami, se vuoi, coi tuoi occhi notturni,
ma lasciami nel tuo nome navigare e dormire.”
PABLO NERUDA 

  

…e da allora sono perché tu sei,
e da allora sei, sono e siamo,
e per amore sarò, sarai, saremo.”
PABLO NERUDA  Oh, sospirami qualche parola di fuoco!
E sorridimi come se dovessero bruciarmi!
Stringiti a me come si stringe un’amante …
Baciami, e nel tuo cuore seppelliscimi!
Oh, amami davvero!”
JOHN KEATS

da http://lorettadalola.wordpress.com

“Ode al fegato” di Pablo Neruda


Ammetto che fino a pochi minuti fa, prima di leggere e pubblicare la notizia sull’evento di Roma “LIver and friends” non conoscevo questa poesia del grande poeta cileno, sono andata a cercarla e ve la propongo…quanta importanza ha quest’organo così fondamentale e spesso così trascurato, Neruda lo esalta, con questa sua lirica, a ragione…

Umile, organizzato amico,
lavoratore alacre,
lascia che ti dia l’ala del mio canto,
il colpo d’aria,
l’elevazione della mia ode:
essa nasce dalla tua invisibile macchina,
essa vola dal tuo infaticabile e chiuso mulino,
interiora delicata
e poderosa,sempre viva e oscura.
Mentre il cuore suona
e attrae la partitura del mandolino,
lì dentro tu filtri
e riparti,
separi e dividi,
moltiplichi e lubrifichi,
aumenti e riunisci i fili
e i grammi della vita,
gli ultimi liquori,
le intime essenze.
Viscera sottomarina,
misuratore del sangue,
vivi pieno di mani e di occhi,
misurando e travasando
nella tua nascosta stanza d’alchimista.
Giallo è il tuo sistema
di idrografia rossa,
palombaro della più pericolosa profondità dell’uomo,
lì sempre ti nascondi,
sempiterno, nella fabbrica,
silenzioso.
E ogni sentimento o stimolo
crebbe nel tuo macchinario,
ricevette qualche goccia della tua elaborazione infaticabile,
all’amore aggiungesti fuoco o melanconia,
una piccola cellula sbagliata
o una fibra spesa dal tuo lavoro
e l’aviatore si sbaglia di cielo,
il tenore precipita con un fischio,
l’astronomo perde un pianeta.
Come brillano sopra gli stregati occhi della rosa,
le labbra del garofano mattutino!
Come ride nel fiume la fanciulla!
E sotto il filtro e la bilancia,
la delicata chimica del fegato,
il magazzino dei cambiamenti sottili:
nessuno lo vede o lo canta,
ma, quando invecchia o logora il suo mortaio,
gli occhi della rosa si chiusero,
il garofano appassì la sua dentatura,
la fanciulla non cantò nel fiume.
Austera parte o tutto di me stesso,
nonno del cuore, mulino di energia:
ti canto e ti temo come se fossi giudice,
metro, fedele implacabile,
e se non posso darmi prigioniero alla purezza,
se le eccessive prelibatezze
o il vino eredità della mia patria
vollero perturbare la mia salute o
l’equilibrio della mia poesia,
da te, monarca oscuro,
distributore di miele e veleni,
regolatore di sali,
da te attendo giustizia.
Amo la vita:
Soddisfami! Lavora!
Non fermare il mio canto.