Un anno fa ho scritto questo articolo non appena mio marito ha concluso la sua maratona, ve lo voglio riproporre…
Due domeniche fa a quest’ora ero nel cuore della mia prima maratona a New York. Ne ho corse molte in questi anni ma partecipare alla New York Marathon è il sogno di ogni “runner”, il suo punto d’arrivo, la sua “laurea” potremmo dire. O almeno lo è stato per me perché là ho incontrato molti atleti, provenienti da ogni parte d’Italia che, al contrario ,avevano scelto la NYM come prima maratona, come trampolino di lancio, come debutto. Le emozioni che ho vissuto quella mattina di due settimane fa sono difficili da descrivere, quasi impossibili, ma ogni volta che ci provo, ogni volta che, in queste due settimane, ho incontrato amici e conoscenti che mi hanno fermato per strada per chiedermi di questa esperienza, mi rendo conto che è quasi inutile tentare perché, quasi indistintamente, tutti mi chiedono: “A che posto sei arrivato?” Purtroppo alla maggioranza delle persone interessa solo questo, ma a che serve saperlo quando i partecipanti eravamo 38.000, tra cui tantissimi con disabilità gravi e meno gravi, a che serve rispondere: “Sono arrivato 11.000esimo o 23.000esimo?” Non è più emozionante dire “sono arrivato, l’ho corsa tutta” e raccontare invece i colori, i suoni, le facce, gli abbigliamenti, i paesaggi, il percorso piuttosto che elencare la classifica finale? Ecco, quello che vorrei provare a raccontare è proprio questo, cominciando dal calore della gente di NY lungo la First Avenue di Manhattan, quasi 6 km di rettilineo, dove le persone ai bordi della strada erano assiepate in quattro, cinque file e ci sostenevano, noi corridori qualunque, non certo campioni, con il loro tifo urlando incitamenti, offrendoci frutta già sbucciata a pezzetti e bibite; dove ad ogni angolo del percorso c’era un’orchestrina diversa che suonava ininterrottamente per noi che passavamo di lì. Vorrei raccontare di un “collega” un po’ folle che ha corso, nonostante il gelo che quella mattina era sceso su NY, totalmente nudo coperto soltanto da una striscia di stoffa verde sui genitali o di quei corridori non vedenti che correvano con un’altra persona che faceva loro da guida, legati per i polsi, o di quegli atleti molto più anziani di me che mi hanno superato e oltrepassato con estrema disinvoltura, anche verso la fine della gara, ancora pimpanti, e a cui va la mia incondizionata ammirazione. Oppure vedere come i newyorkesi accettino la chiusura di tante strade della loro città sin dal mattino della domenica perché condividono la gioia di quella folla di atleti, venuti da tutto il mondo, per correre insieme da Staten Island attraverso Brooklyn e poi tutta Manhattan, e poi un “assaggio” di Bronx, e poi i Queens e poi ancora Manhattan con l’arrivo nello spettacolare Central Park, rivestito per l’occasione “a festa” con tutti i colori dell’autunno, col rosso dominante degli aceri. O ancora condividere, all’alba del giorno prima, al buio totale, il riscaldamento tra i viali dello stesso parco di quei corridori che non riescono a rinunciare ad una “sgambatina” neanche 24 ore prima della gara. Ecco, queste sono alcune delle emozioni che avrei voluto raccontare a chi mi ferma per chiedermi notizie, spero di essere riuscito a trasmetterne almeno una parte, vi garantisco che il mio cuore ne rimarrà colmo ancora per molto tempo a venire.
Dal sito http://www.orlandopizzolato.com