Il ministro della Giustizia Angelino Alfano “visiti le carceri con noi radicali”. Va bene che “un ministro non entra nelle celle e non parla con i detenuti, ma bisogna conoscere la realtà per fare delle politiche efficaci”. Lo chiede la deputata dei radicali Rita Bernardini, che tra sabato e domenica ha visitato cinque strutture detentive in Emilia-Romagna (la Dozza e il Cie di Bologna, il Cie di Modena e le due case lavoro di Castelfranco Emilia e di Saliceta San Giuliano nel modenese). Al termine delle visite, i radicali raccontano di aver trovato una “situazione sempre più grave e deteriorata”, dove ci sono “numerose illegalità” (che presto raccoglieranno in un’interrogazione parlamentare), e parlano di “sistema impazzito, che produce solo danni ed è estremamente dispendioso a fronte dell’assenza di risultati”. Bernardini, in una lunga nota, attacca poi anche la “politica della sicurezza”, che ha dato una forte stretta all’applicazione delle misure alternative: “Erano 50.000 nel 2005 e oggi sono 10.000”, con un tasso di recidivi che ora è del 68% (mentre sarebbe del 30% con misure alternative). Mai come nei Cie è evidente, attacca Bernardini, che “lo Stato italiano può essere considerato alla stregua di un delinquente professionale, viste le continue violazioni della legalità, rispetto alle quali non si intende porre rimedio in alcun modo”. Dopo aver visto i centri di Bologna e Modena, Bernardini afferma: “All’interno di queste strutture il degrado umano e civile può solo far vergognare un rappresentate delle istituzioni: persone trattenute come animali in gabbia, in mezzo alla sporcizia e al degrado”. Pesantissimo anche il giudizio sulle case lavoro, dove si scontano quelli che Bernardini definisce “ergastoli bianchi”. Nella case lavoro sono rinchiuse “persone ai margini della società tra cui tossicodipendenti, alcolisti, senza casa, disperati senza famiglia” ed “è evidente che il sistema non sia riuscito a recuperare nessuno”. Si tratta infatti di “ex detenuti che hanno già scontato il loro debito con la giustizia, ai quali, però, la pena può essere reiterata di altri sei mesi, un anno, 18 mesi, perché considerati socialmente pericolosi”. Ma come possono riabilitarsi se poi, fa notare Bernardini, “in queste ‘case lavorò, il lavoro non c’è o non c’è per tutti”, né vi sono educatori? A Saliceta San Giuliano, ad esempio, “non viene insegnato nulla e gli internati sono utilizzati solo per lavori di pulizia interna e cucina”, niente di utile al reinserimento nella società. A Castelfranco, invece, “i laboratori specializzati già presenti non sono utilizzati per una mancanza di interazione e di progettualità con le istituzioni locali”. Senza contare che agli “internati” delle case lavoro non vengono concessi mai permessi, dice Bernardini, anche se spetterebbero loro di diritto. Altro punto dolente delle case lavoro è il problema sanitario: “enorme, di notte non c’è la guardia medica. A Castelfranco c’è il defibrillatore, ma senza medico nessuno lo può far funzionare” e “i problemi odontoiatrici sono all’ordine del giorno, proprio per l’elevata presenza di tossicodipendenti”. È per tutti questi motivi che le pene scontate nelle case lavoro, prosegue la deputata radicale, “sono definite ergastoli bianchi, in palese contraddizione con la legge e la Costituzione italiana”. Tornando ai Cie, Bernardini sottolinea le pessime condizioni degli ospiti raffrontate alle dispendiosità per lo Stato. “Ogni ospite costa ben 75 euro al giorno, assegnati alla ditta che ha in appalto la struttura, più tutte le altre spese di gestione dei centri e il costo del personale addetto alla sorveglianza”. Quanto ai numeri, quello di Bologna ha una capienza di 95 persone, ma ne ospita 57, mentre il Cie di Modena ha una capienza di 60 persone. Le persone sono tenute come “animali in gabbia” per un tempo medio “di 30 giorni, con la procedura di rimpatrio per quelli riconosciuti, mentre quelli non identificati sono rimessi in libertà con l’ingiunzione di lasciare il paese nei successivi 5 giorni”. Bernardini spende poi qualche parola anche sulla Dozza di Bologna, dove i detenuti sono 1.150 (contro una capienza di 480), di cui il 65% è straniero. Gli educatori sono otto in tutto, ci sono problemi sanitari, soprattutto sul fronte dell’assistenza odontoiatrica e di quella psichiatrica. “Le medicine di prima necessità devono essere acquistate all’esterno e a spese dei detenuti. Anche la carta igienica è a pagamento”. Il personale di Polizia penitenziaria è “sempre in difficoltà, con turni di lavoro pesantissimi” e la struttura necessita di “numerosi interventi di ristrutturazione” a partire dalle docce.
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CARCERI: DL svuota celle, vince ancora una volta l’ANM che svuota, anzichè le carceri, il DDL Alfano. Prosegue sciopero fame
Dichiarazione di Rita Bernardini, deputata radicale membro della Commissione Giustizia
Se sono veri i lanci delle agenzie di stampa che riportano la notizia della probabile emanazione da parte del consiglio dei ministri di domani del decreto per la concessione della detenzione domiciliare per chi debba scontare meno di un anno di carcere, posso affermare che ha vinto, ancora una volta, il partito dei magistrati organizzati nell’ANM che proprio ieri, nel corso dell’audizione in commissione giustizia della Camera, aveva contestato la parte del DDL Alfano che prevedeva una sorta di automatismo nella concessione della misura, senza passare dal magistrato di sorveglianza.
L’ANM e i suoi referenti “onorevoli” alla Camera, ottenendo la cancellazione dell’automatismo che intelligentemente era stato previsto dal DDL Alfano, lasceranno la decisione ai magistrati di sorveglianza che già oggi non riescono a stare dietro alle istanze dei detenuti, limitandosi nei fatti a rigettarle pressoché tutte. Se fino all’indulto del 2006 i detenuti che usufruivano di misure alternative erano 40.000, nel 2009 sono drasticamente scesi a meno di 10.000.
Con la modifica che si intende introdurre, prima che i magistrati decidano sulle istanze avanzate per accedere alla misura detentiva domiciliare al posto del carcere, si sarà consumato l’intero anno, con benefici sul sovraffollamento delle celle pari a zero.
Ieri il Ministro Alfano preannunciandomi che avrebbe preso in considerazione le proposte migliorative al suo DDL che come radicali avanziamo, ci aveva invitato a “ricominciare a mangiare”. Alla luce delle notizie di oggi riteniamo sensato e prudente continuare. Le carceri italiane sono, ogni giorno di più, discariche umane dove viene tolta ogni dignità umana, dove lo Stato si rende colpevole – da vero delinquente professionale – di reiterate violazioni della Costituzione repubblicana.
Empoli: il ministero ha bloccato l’arrivo dei detenuti transessuali
Bloccato. Questa volta l’inghippo viene dal ministero. Angelino Alfano ha messo il veto al trasferimento dei transgender da Sollicciano a quello di Empoli. E la struttura di Pozzale rimane ancora vuota e improduttiva, sulle tasche dei contribuenti. Doveva essere aperto il 9 ma a ieri non si sa quale sarà il suo destino. Il progetto dei transessuali è stato congelato. Quale è, però, il motivo di questo ennesimo blocco dopo che il carcere è vuoto da quasi un anno? Sconosciuto. La domanda è stata girata all’amministrazione penitenziaria. Ma il provveditore, Maria Pia Giuffrida, non c’è. Dall’ufficio spiegano che: “la situazione è stata fermata dal ministero, siamo in attesa di ulteriori disposizioni”.
Altro non emerge. Se non che il carcere di Pozzale, che era femminile a custodia attenuata, è vuoto da quasi un anno ormai e che i lavori di riconversione sono ormai terminati e collaudati da tempo. Tanto che era stato predisposto anche un corso di formazione per il personale che doveva lavorare nel carcere. E che a un tratto è stato sospeso in attesa di ulteriori disposizioni. Che il ministro Alfano ci abbia definitivamente ripensato e che abbia optato per una diversa categoria di detenuti? Forse Pozzale avrà un destino diverso.
Ma rimangono gravi il susseguirsi di ritardi e il fatto che tutto questo avvenga a dieci chilometri da una struttura, quella dell’Opg, dove gli ospiti sono ammassati in celle vecchie, sporche e inadeguate. Nel frattempo il garante per i detenuti di Firenze Franco Corleone ha lanciato di nuovo un appello per Pozzale. “Lo chiedo ancora una volta: cosa succede nel carcere di Empoli? – ha detto – dal 9 marzo doveva ospitare detenute transessuali, invece è ancora vuoto. E questo di fronte a un sovraffollamento che riguarda tantissime situazioni, da Sollicciano al carcere minorile di Firenze.
Proprio al Comune, tra l’altro, abbiamo chiesto di trovare una sede per i detenuti in semilibertà”. Non solo. Corleone va avanti. Un’iniziativa giudiziaria, sotto forma di denuncia, contro Franco Ionta, capo del Dipartimento per l’amministrazione penitenziaria e, forse, anche nei confronti di Angelino Alfano, ministro della giustizia, per la violazione del regolamento di esecuzione per l’ordinamento penitenziario del 2000 che riguarda il trattamento dei detenuti e le loro condizioni di vita in carcere. È questa l’ipotesi su cui sta lavorando Franco Corleone, garante dei diritti dei detenuti del Comune di Firenze.
“Ci riferiamo all’area fiorentina – ha detto Corleone – ma ci sono situazioni simili in Italia”. Corleone ne ha parlato ieri mattina. “Stiamo valutando, con i nostri avvocati, se ci sono gli estremi”, ha aggiunto il garante. “Il Dap ha sempre spiegato la mancata applicazione del regolamento con la scarsità di risorse ma ora i fondi ci sono: 500 milioni dalla Finanziaria per il piano carceri e altri 150 dalla cassa ammende. Non ci sono più scuse”.
In Libia amnistia per i detenuti che imparano a memoria il Corano
E se lo facessimo anche in Italia? sarebbe un ottimo modo per diminuire il sovraffollamento nelle nostre carceri e aumentare la cultura delle persone con un libro fondamentale come è la Bibbia, che ne pensate? lo proponiamo al ministro Alfano?
In Libia imparare i versetti del Corano a memoria potrebbe diventare presto la via di uscita anticipata dal carcere a beneficio dei detenuti comuni. Non è ancora realtà, ma la proposta è al vaglio del Consiglio Supremo di giustizia, l’organo che esercita il potere giudiziario nel paese del Colonnello Muammar Gheddafi.
Una misura che potrebbe diventare un sistema «alternativo» di uscita anticipata dal carcere. La Libia sta conducendo da tempo una politica di amnistie, anche di detenuti ex terroristi. Meccanismi che hanno portato allo svuotamento di alcune storiche carceri. La decisione di includere nell’amnistia «anche le persone che imparano a memoria il Corano», come si legge oggi sul quotidiano arabo on line «Al Manara», e quindi di introdurre lo studio del libro sacro per i musulmani come metodo di riabilitazione per i detenuti, farà parte delle disposizioni soggette a ratifica del Consiglio Supremo, la cui prima riunione ordinaria per l’anno 2010 è stata diretta dallo stesso Ministro della Giustizia, Mustapha Abdul Jalil.
Il metodo della riabilitazione dei detenuti, che passa attraverso lo studio del Corano, è stato già applicato ai prigionieri rilasciati lo scorso ottobre, circa un centinaio, tutti ex appartenenti al Gruppo Combattente Libico Islamico (Lifg), legato ad Al Qaida, e al Gruppo cosiddetto Jihad. Gli ex miliziani islamici, sotto gli auspici della Fondazione Gheddafi, hanno trascorso due anni studiano il corano e rivedendo le loro convinzioni politiche. I prigionieri, che hanno aderito al programma di «riabilitazione» attraverso lo studio del testo sacro e che erano tutti detenuti da più di dieci anni nel carcere Fellah di Tripoli, nel quartiere Abu Slim, rappresentavano il terzo gruppo di detenuti islamici liberati in Libia negli ultimi due anni.
La proposta di questi giorni, cioè liberare chi studia il Corano, fa seguito alla fase di amnistie e rilasci che sono iniziati in concomitanza con i festeggiamenti per il quarantesimo anniversario del leader Gheddafi al potere. Lo scorso primo settembre è infatti passata la decisione di dare la grazia a 1.273 detenuti e di sostituire la pena di morte con l’ergastolo per tutti coloro che erano stati condannati alla massima pena prima del primo settembre.
CARCERE. Emergenza modello L’Aquila
Stato di emergenza fino al 31 dicembre 2010. E’ qesto il “primo pilastro” del Piano Carceri presentato oggi in Cdm dal ministro della Giustizia, Angelino Alfano, e illustrato dallo stesso Guardasigilli nella conferenza stampa al termine della riunione. Gli altri “pilastri”, ha spiegato Alfano, sono “il piano edilizio“, “due importanti norme di accompagnamento” e l’introduzione di “duemila nuovi agenti della Polizia Penitenziaria”
Proclamando lo stato di emergenza fino al 31 dicembre, ha spiegato Alfano, “nel corso di quest’anno intendiamo realizzare 47 nuovi padiglioni, cioe’ strutture che insistano e si affiancano a istituti di pena gia’ esistenti, che non ci danno l’incombenza di dover individuare l’area, espropriarla e procedere a tutto l’iter amministrativo”. In tal modo, ha proseguito il ministro, “mentre apriamo questi 47 cantieri sul modello dell’Aquila, noi evadiamo tutta la procedura burocratica per realizzare nel 2011 e nel 2012 le strutture tradizionali e flessibili a cui daremo vita con tempi tipo l’Aquila e con modelli organizzativi di quel tipo“. Il responsabile di “questa missione”, ha aggiunto Alfano, sara’ il capo del Dipartimento dell’Amministrazione penitenziaria, Franco Ionta, anch’egli presente alla conferenza stampa.
Alfano si e’ detto “fiducioso” di poter raggiungere l’obiettivo che, ha spiegato, e’ ritenuto “prioritario” dal premier Berlusconi. Quanto ai fondi necessari, Alfano ha ricordato di “aver reperito 500 milioni” nella legge Finanziaria e “altri 100 milioni” sono stati presi dal bilancio del ministero della Giustizia. “Con 600 milioni costruiremo i 47 nuovi padiglioni e nel frattempo individueremo le modalita’ sia dal bilancio statale che dai finanziatori privati per realizzare gli altri istituti nel 2011 e nel 2012. Il totale dovra’ fare – ha concluso- 21.749 posti, che si aggiungeranno ai posti attualmente disponibili”.
Quanto alle “norme di accompagnamento” che fanno parte del Piano, Alfano ha parlato dell’approvazione nel Cdm di un disegno di legge contentente due articoli. Il primo, “che concede la possibilita’ a chi deve scontare un anno solo di reclusione, di scontarlo ai domiciliari” e l’altra norma, “che prevede la cosiddetta ‘messa alla prova’ per coloro i quali hanno la possibilita’ di essere imputati per reati fino a tre anni, di svolgere lavori di pubblica utilita’ sospendendo il processo“. Le norme, ha spiegato, serviranno a “deflazionare” il sistema Giustizia sia sul piano carcerario che su quello processuale.
Quanto alla Polizia Penitenziaria, il ministro ha detto di ritenere che con duemila agenti in piu’ verra’ dato “un grande sollievo ai 40mila e oltre che gia’ lavorano nel Corpo”. A conclusione del suo intervento, Alfano ha parlato di “una missione che non ha precedenti nella storia della Repubblica: risolvere il problema del sovraffollamento, dare dignita’ alla presenza negli istituti di pena, senza fare amnistie e indulti, non preparati da un recupero dell’attivita’ lavorativa, che hanno prodotto un ritorno nelle carceri di coloro i quali erano usciti”.
da www.vita.it
Troppi detenuti meridionali? Federalismo carcerario
di Gilberto Oneto
Secondo il ministero della Giustizia al 30 giugno 2009 c’erano nelle patrie galere a vario titolo 63.630 detenuti. Le informazioni sulla distribuzione dei reclusi per luogo di nascita permettono di fare qualche considerazione poco politicamente corretta ma piuttosto significativa. Gli “indigeni” (in totale 39.389) sono in prigione nella misura di 0,68 persone ogni mille abitanti, o – se si preferisce – c’è un recluso ogni 1.463 cittadini italiani. I nati all’estero sono 24.241: basandosi su quanto diffuso dalla Caritas risulta che ci sono 6,21 reclusi ogni mille stranieri regolari, e uno ogni 161 persone. In realtà la loro incidenza è falsata dal numero di irregolari e clandestini che può essere solo stimato con ampia approssimazione: in ogni caso si tratta di percentuali inquietanti.
Ancora più interessante è analizzare la provenienza. I reclusi europei sono 8.741 (di cui 4.525 extracomunitari), gli africani 12.348, gli asiatici 1.177 e gli americani 1.323. Il primo dato che emerge è che i meno propensi a violare la legge sarebbero gli asiatici (1,88 reclusi ogni 1.000 regolari e un recluso ogni 532 immigrati), seguiti da europei e americani (4,2 per mille e un recluso ogni 236). Quelli che con più facilità incorrono nei rigori della giustizia sono invece gli africani: 14 ogni mille e uno ogni 69 immigrati regolari. Neppure i dati complessivi sui musulmani sono molto tranquillizzanti: 11,9 ogni mille e uno ogni 84 sono ospiti delle (nostre) patrie galere.
Le informazioni sulle singole nazionalità permettono di stilare una poco edificante classifica che vede presenti in gattabuia ben 30 tunisini, 25 nigeriani, 13 marocchini e “solo” 6 albanesi, sempre ogni mille immigrati regolari. I cinesi, che pure sono una delle comunità più numerose (170.265 regolari), sono pressoché assenti da questa hit parade a strisce perché se ne stanno per i fatti loro, cercando di farsi vedere il meno possibile: sorge però il sospetto che dispongano, oltre che di strutture sanitarie e commerciali, anche di un sistema giudiziario tutto loro. Gli zingari invece scompaiono fra le pieghe delle statistiche, infrattandosi sotto denominazioni nazionali diverse che non permettono un accorpamento di dati che sarebbe invece illuminante.
Il primo commento che viene da fare è che senza l’immigrazione straniera ci sarebbero il 38,1% di galeotti in meno e – visti i costi astronomici del loro mantenimento – un bel risparmio. Il dato sui reclusi non ha un rapporto diretto con quello dei reati perché lo stesso reo è spesso condannato per più di una azione criminosa, perché il 74% dei reati resta impunito e un numero imprecisato non viene neppure denunciato ma è del tutto legittimo pensare che, in assenza di immigrati stranieri, i reati diminuirebbero almeno della stessa percentuale, e di più considerando che gli stranieri facilmente sfuggono ai controlli (a maggior ragione se sono clandestini) e che si dedicano principalmente proprio a quelle tipologie di reato che vengono denunciate di meno.
Le statistiche ministeriali riguardano anche la provenienza regionale dei galeotti autoctoni e consentono altre interessanti considerazioni. Anche fra gli italiani ci sono notevoli diversità: le percentuali più alte di reclusi riguardano i nati in Campania (1,86 per mille e uno ogni 538 abitanti), poi quelli in Sicilia (1,53 e 653) e in Calabria (1,50 e 665), che si avvicinano ai dati degli immigrati asiatici e superano le percentuali di parecchie etnie prese singolarmente. Le regioni più virtuose sono la Valle d’Aosta (un recluso ogni 8.570 abitanti) e poi l’Umbria (7.855), le Marche (6.328) e l’Emilia (uno ogni 5.577 abitanti).
Solo l’11,23% di tutti i galeotti è nato nelle regioni padano-alpine, che – nel loro complesso – hanno 0,27 reclusi per mille abitanti e un galeotto ogni 3.588 cittadini: i dati del resto d’Italia sono rispettivamente 1,01 e 992, quelli del solo territorio del vecchio Regno delle Due Sicilie 1,4 e 701.
Considerando tutti i reclusi, nazionali e foresti, l’Italia si colloca nella classifica dei 20 Paesi del Consiglio d’Europa al 13° posto nel rapporto reclusi-abitanti; senza gli stranieri balzerebbe invece al quinto posto, dopo Slovenia, Finlandia, Danimarca e Malta. È un altro dato che dovrebbe fare riflettere molti salmodiatori del mantra che equipara gli immigrati a una risorsa.
Spingendo in avanti lo stesso semplice ma efficace ragionamento che si è fatto sullo stato della legalità in assenza di immigrati, scappa anche da considerare che in una condizione di reale autonomia e di controllo severo dell’importazione della criminalità, la Padania si troverebbe con facilità ad affrontare un bel 75% di reati in meno ed essere il Paese più sicuro d’Europa. Un buon motivo per cominciare a pensare a un serio progetto di “federalismo giudiziario”.
Carcere di Teramo, Bernardini (Radicali-Pd): Il Ministro Alfano continua a non rispondere. Che ci faceva ancora a Castrogno Uzoma Emeka?
Dichiarazione di Rita Bernardini, deputata Radicale-Pd, membro della Commissione Giustizia
Intervista all’onorevole Rita Bernardini
di Daniela Domenici
Inizia oggi l’ottavo giorno di sciopero della fame di Rita Bernardini, deputata radicale eletta nelle liste del PD.
Le abbiamo rivolto alcune domande in merito a questa sua protesta non violenta.
– Cosa vuoi ottenere con questo sciopero della fame a oltranza a cui partecipano anche Irene Testa, Claudia Sterzi, Alessandro Litta Modigliani, Annarita Digiorgio e Riccardo Masi?
– Voglio la calendarizzazione della mia mozione n°250, presentata alla Camera lo scorso 19 novembre, sulla situazione esplosiva nelle carceri italiane soprattutto dopo i recenti fatti di morti sospette come quella di Cucchi e di suicidi come il giovane Yassine. Sto raccogliendo firme intorno a questo mio testo, in questo momento siamo a quota 69, una bella cifra che spero di poter aumentare. Colgo inoltre l’occasione per ribadire il mio invito a tutta la comunità penitenziaria a unirsi a questa battaglia nonviolenta, per lottare insieme con proposte concrete.
– Quanto tempo ancora pensi di continuare in questo sciopero? E la tua salute?
– Con una grande senso dell’umorismo mi ha risposto: sono abituata, sono una “pannelliana” convinta”, una volta sono arrivata anche a 38 giorni e alla fine mi hanno dovuto fare le flebo di ferro…
– Da cosa e quando è nato questo tuo interesse per il pianeta carcere?
– Quando ero agli inizi della mia militanza tra i radicali accompagnavo Marco Pannella e Emma Bonino nelle loro visite nelle varie carceri italiane; vedendo queste realtà di “vita ristretta” è stato naturale, per me, in un certo senso continuare la loro opera. Il “blitz” a Ferragosto scorso, quando molti giornalisti hanno trascorso un giorno all’interno di un carcere per vedere e toccare dal vivo come si vive là dentro, è stata un’idea mia. Nel prossimo ponte dell’Immacolata, a dicembre, verrò in Sicilia per visitare i centri di accoglienza per extracomunitari, la Sicilia ne ha il numero massimo. E martedì prossimo sarò in TV alla trasmissione “Matrix” per un confronto dialettico col ministro della giustizia Alfano.
Le ho poi chiesto il permesso di pubblicare il testo integrale della sua mozione.