Morire in carcere da ammalati – Il garante: “No all’archiviazione”


di Roberto Puglisi

“Quello che è accaduto è molto strano”. Salvo Fleres, garante per i diritti dei detenuti in Sicilia conosce a memoria la storia di Roberto a Pellicano, tossicodipendente, morto da sieropositivo dietro le sbarre dell’Ucciardone, a trentanove anni, dopo due richieste di scarcerazione del suo avvocato Tommaso De Lisi. Intervistarlo sul punto è anche un’occasione per parlare di carceri siciliane. E di orrore.

Onorevole che idea si è fatto del caso di Roberto Pellicano?
“E’ un fatto strano”

Che andrebbe verso l’archiviazione, per la disperazione di una famiglia.
“Guardi, spero che sulla vicenda non si arrivi all’archiviazione, non ad una archiviazione veloce almeno. Sì, quello che è accaduto è strano, ma purtroppo è nella media. I detenuti dovrebbero essere assistiti e monitorati. E non lo sono, per mancanza di personale”.

Altri casi?
“Sto seguendo la storia di un giovane di 19 anni che si è suicidato a Catania, due giorni dopo la carcerazione”.

Catania, l’oscena prigione di piazza Lanza. Avete denunciato l’infamia delle carceri siciliane. Qual è la peggiore?
“Favignana, dal punto di vista strutturale, e Marsala. Ma sono tutti orrendi. Piazza Lanza, certo. L’Ucciardone, certo”.

Il problema centrale?
“Quella sull’affollamento è la madre di tutte le guerre”.

Chi va in carcere?
“Soprattutto i poveracci. Non lo dico io. Lo dicono i dati”. 

E che altro dicono?
“Che c’è un uso aberrante della carcerazione preventiva”.

Voi che potete fare?
“Denunciare, segnalare, intervenire. Questa battaglia di civiltà non si può perdere”.

da www.livesicilia.it

Il papa accetta le dimissioni del vescovo accusato di pedofilia


di Loretta Dalola

Benedetto XVI (bontà sua) ha accettato le dimissioni di Monsignor Mixa coinvolto nella vicenda degli abusi sessuali sui minori, su di lui pendono anche accuse sulla sottrazione di fondi destinati all’istituto per l’accoglienza dei bambini per comprarsi preziose stampe antiche, bottiglie di vino costose e anche un solarium.

Mixa ammette: “Ero e sono ben consapevole delle mie proprie debolezze”. “Compio questo passo con fiducia irremovibile nei confronti della grazia di Dio e sono fiducioso che il Padre in cielo conduca la Chiesa di Augusta verso un buon futuro”

Fatemi capire, cosa dovrebbero fare le vittime?  Esaltarsi e gioire per questa sua timorata assunzione di responsabilità?  E magari, essere pure  grati  al Papa per questa gentile concessione?

Mi sembra il minimo, visto che il pedofilo, sia esso prete o no, è una persona con gravi problemi, che in modo irrazionale, deviante e purtroppo molto dannoso per gli altri, cerca sé stesso e la sua perduta identità sessuale.  Nel caso in cui il pedofilo sia un prete, la situazione è  ancora più complessa perché si scontra con l’influenza psichica di quella teologia che è stata oggetto dei suoi studi, della sua formazione e della sua vita.

L’omertà della chiesa, e le sue solite negazioni dell’evidenza, oltretutto, impediscono a questi preti di essere curati, supportati da specialisti della psicologia, magari portati in psicoterapia. Evidentemente la chiesa preferisce tenersi dei preti pedofili, che continueranno a fare vittime innocenti, piuttosto che correre il rischio di confrontarsi con delle menti liberate.

Chiedere perdono e soprattutto essere fiduciosi nel Padre Eterno – non basta,  occorre assolutamente evitare che i casi si ripetano. Una posizione chiara, precisa e forte, da parte della Chiesa potrebbe essere un  segnale concreto per  non favorire o tollerare la tragedia della pedofilia.

Anche perchè quando Gesù diceva :”Lasciate che i pargoli vengano a me”…credo avesse ben altre intenzioni…

da http://lorettadalola.wordpress.com

“Patch” Adams, io clown per portare amore


Una gioventù travagliata con tre tentativi di suicidio, molti anni passati negli ospedali psichiatrici; e poi la svolta della sua vita: l’idea di un ospedale dove potesse emergere l’empatia per il malato. Trentasette anni di attività come medico-clown, 15 mila persone visitate senza mai prescrivere uno psicofarmaco. E’ durata più di un’ora la prima lezione romana all’università di Roma di Patch Adams il medico statunitense riconosciuto come l’ideatore di una terapia molto particolare, quella del sorriso. La prima tappa di un tour che lo porterà in altre università italiane (domani pomeriggio sarà all’Aquila) e che lo ha portato a costruire una rete internazionale di solidarietà in più di 65 paesi attraversati da conflitti e calamità naturali. “Il vero scopo del medico – afferma Adams – non è curare le malattie ma prendersi cura del malato”, e la sofferenza interiore è altrettanto importante del dolore fisico. Look in perfetto stile clownesco Adams è divenuto popolare grazie al celebre film del 1998 interpretato da Robin Williams. “Il film – racconta scherzando – ha incassato 2 miliardi di dollari ma a me non me ne hanno dati neanche 10”. Agli studenti il medico-clown ha ripercorso le tappe della sua vita e i suoi progetti: dai tre tentativi di suicidio, a cui hanno fatto seguito altrettanti periodi passati in ospedali psichiatrici; alla nascita di un modello di ospedale unico, basato come una sorta di comunità, dove il chirurgo e l’addetto alle pulizie venivano pagati allo stesso modo (300 dollari) e dove la relazione medico-paziente (la prima visita non durava mai meno di 4 ore) era improntata all’empatia, all’intimità e a una buona dose di umorismo, secondo lo slogan “ridere fa bene alla salute”. “Volevo creare un modello di ospedale – ha spiegato il 65enne medico americano – che si occupasse delle cure in tutti i suoi aspetti. Per questo ho iniziato a fare il clown in ospedale. Non ho mai pensato a una terapia, non credo di averne mai fatte, essere clown era solo uno strumento per arrivare all’amore, che deve essere sempre l’obiettivo principale”. E forse deve esserci riuscito, se è vero che “nei primi 12 anni del progetto pilota, ho visitato circa 15 mila persone e non ho mai prescritto uno psicofarmaco”. Ma la lezione agli studenti non si è fermata agli aspetti sanitari, ad “educare alle cure”. Perché Adams ha provato ad andare oltre, parlando dei mali del capitalismo e dei disastri ambientali, invitando gli studenti a “resistere” e incitandoli a fare “una rivoluzione non violenta”. Quella “rivoluzione” che lui aveva iniziato tempo addietro, e che lo ha portato ad essere ‘Patch’ Adams. Nel frattempo a Firenze si fa strada il progetto che prevede la formazione di Clown Ospedalieri professionisti dello spettacolo al servizio della salute. Gli aspiranti Clown ospedalieri (finora ne sono stati formati 90), saranno formati sia sul modello operativo ampiamente sperimentato dalla Clown Care Unit del Big Apple Circus di New York, sia sul modello operativo già sperimentato dal 2005 dalla Regione Toscana. E l’esperienza del medico-clown ha lasciato una traccia tangibile anche nel nostro paese: Firenze diventerà il punto di riferimento italiano per la formazione di professionisti nella Clown Terapia in ospedale, grazie al bando del ministero per le Pari Opportunità vinto dalla Onlus Soccorso Clown, in partnership con l’ospedale pediatrico Meyer.

fonte ANSA

Usare i soldi della mafia per curare i malati


Gentilissimo  Presidente,

sono il padre di una giovane ragusana di 27 anni in stato vegetativo persistente. Come tanti familiari di persone gravi e gravissime, sto sostituendo, insieme a mia moglie, da anni  un welfare che si nasconde dietro la mancanza di coperture economiche permettendo allo Stato di risparmiare somme ingentissime.

A Ragusa mancano purtroppo i centri per gravi che, oltre a curare questo tipo di malati, potrebbero anche provvedere a riabilitarli per evitare retrazioni tendinee, piaghe da decubito, blocchi articolari e quant’altro. Per questo motivo io e mia moglie, 24 ore su 24 ore al giorno, da anni adottiamo la sanità “FAI DA TE” nel reparto ospedaliero con un solo posto letto quale è diventato il nostro domicilio e curiamo nostra figlia come possiamo.

È da quattro anni che faccio la seguente domanda alle famiglie ragusane e ai politici: “Vi siete chiesti, dove possiamo ricoverare i nostri cari, se ci ammaliamo, anche per un periodo limitato di tempo e non possiamo accudirli? Ci sono le strutture?”

La risposta è no! Nemmeno un posto letto per gravi in tutta la Provincia!

Io so, per esperienza diretta, che in Emilia Romagna ci sono moltissime strutture ospedaliere d’altissimo livello dove i malati vengono curati adeguatamente. Chi vive alla ricerca di un centro di riabilitazione o di accoglienza disposto ad accogliere i malati più gravi deve sperare di poter partire verso i tanti centri del centro-nord. Chi non ci riesce deve  arrangiarsi…. Eclatante è il caso del ricovero improprio di una giovane in stato di minima coscienza che, nell’ospedale “S. Elia” di Caltanissetta,  è rimasta nel reparto di rianimazione per 15 anni.

Paradossalmente, la Regione siciliana spende somme notevoli per ricoveri impropri e per sovvenzioni quando un malato siciliano trova posto  nelle attrezzate ed efficienti strutture riabilitative del Nord. Eppure le tasse le paghiamo anche noi in Sicilia. E’ da quattro anni che propongo  a tutte le forze politiche, alle autorità della Sanità, di  avere un impeto di orgoglio di sana “ragusanità”  per far nascere   un centro per gravi cerebrolesi  nella Provincia di Ragusa, per  potenziare  le strutture esistenti e per fornire  servizi domiciliari più efficienti alle famiglie. Nessuna risposta!

La risposta all’esigenza della popolazione ragusana di avere un centro di accoglienza  per  neurolesi invece   l’hanno data   sette generosi   ragusani  che hanno   fondato l’associazione onlus “Centro Risvegli Ibleo” ed hanno pensato di realizzare una struttura di accoglienza per persone in stato vegetativo o in stato di minima coscienza. Da tenere presente che attualmente in provincia di Ragusa, secondo i dati dell’ASP, i pazienti in stato vegetativo o di minima coscienza ammontano a circa 150.

L’opera completa dovrebbe disporre di 70/80 posti letto dei quali 10, ubicati in appartamentini di 45 mq riservati alle persone in  stato vegetativo e ai loro familiari per consentire l’eventuale “risveglio”; gli altri invece destinati a pazienti con altre patologie neurologiche (ictus, sclerosi multipla, SLA, etc…).

Il Comune di Ragusa ha già donato un terreno di 9000 mq ed esiste già un progetto per la realizzazione della struttura. E’ di vitale importanza  realizzarla al più presto considerato che  centri  simili in tutto il Sud del paese  non ce ne sono e che, essendo una onlus senza fini  di lucro, la struttura sarà gestita e controllata  da tutti i  soci e dagli  utenti che hanno tutto l’interesse a far si che i loro familiari malati siano curati nel miglior modo possibile.

Molte sono le iniziative per la raccolta dei fondi e la popolazione iblea sta partecipando con generosità, ma le somme necessarie  per realizzare la struttura sono tante ed è per questo che chiedo a Sua Eccellenza  l’interessamento per far pervenire alla suddetta onlus parte delle somme sequestrate alla mafia.

Certo della Sua sensibilità la ringrazio a nome mio e di tutte le famiglie  in attesa di trovare una soluzione dignitosa per i propri cari.

Ragusa

21 aprile 2010 (Giorno del 27° compleanno di Sara)

Distinti saluti

il papà di Sara

Luciano Di Natale

da www.italianotizie.it

 

Malato di Sla, figlio vuole vendere rene: “Abbandonati dallo Stato”


Domenico Pancallo A vent’anni ha deciso di vendere un rene: il padre è malato di Sla e lui non può permettersi le cure di cui il genitore ha un disperato bisogno.

 Il dramma dei malati di Sla non colpisce solo nel fisico e negli affetti, anche la dignità ne esce ferita irrimediabilmente se, come è successo a Vercelli,  un figlio disperato intende vendere un suo organo sano pur di garantire un’assistenza minima  al padre bisognoso di cure specialistiche e continue.

 «Ho deciso di vendermi un rene perché ci sentiamo abbandonati dallo Stato italiano e non abbiamo le possibilità economiche per permetterci una badante che allevi le nostre sofferenze».

 E’ Andrea Pancallo a rilasciare una dichiarazione che interpella le coscienze di tutti: suo padre Domenico dal 2004 lotta contro la Sla, la sclerosi laterale amiotrofica.

 «Papà si è ammalato all’età di 44 anni – ha detto – ed in poco tempo la malattia lo ha reso incapace di essere autonomo in tutto e per tutto. Oggi è completamente immobile, non comunica più neanche con gli occhi, è attaccato ad un respiratore e nutrito per via artificiale. Ci siamo trovati da un giorno all’altro catapultati in una realtà di dolore e di sofferenza che non ci ha risparmiato nemmeno un minuto, e da allora siamo soli».

 L’odissea dei malati di Sla purtroppo rientra tra le normali emergenze del nostro paese: ogni tanto si accende qualche riflettore, episodiche iniziative benefiche riaccendono deboli speranze, popi tutto ritorna come prima, solitudine e abbandono delle istituzioni pubbliche.

 Già in novembre lo sciopero della fame di un gruppo di malati di Sla riuscì a sollecitare un recalcitrante  ministero della Salute chefino ad allora non aveva visto, ascoltato, parlato. Di fronte a un paese distratto lo scandalo di persone allo stremo delle forze costrette a non  alimentarsi per cercare un po’ di attenzione. L’hanno ottenuta: un incontro c’è stato, seguito da uno scambio di lettere con il viceministro Fazio. Poi è tornato il silenzio, più forte di prima, visto che Salvatore Usala, il malato che guidò quella protesta estrema, quasi ci lasciava la pelle

 da www.blitzquotidiano.it

Presidio nonviolento dell’Associazione Luca Coscioni e di Radicali italiani a sostegno dei malati di Sla


L’iniziativa nonviolenta è volta a sostenere i malati di Sla Salvatore Usala, Giorgio Pinna, Mauro Serra, Claudio Sabelli (che nelle scorse settimane hanno intrapreso uno sciopero della fame, denunciando il loro stato di abbandono) e gli obiettivi per i quali anche Maria Antonietta Farina Coscioni è da 18 giorni in sciopero della fame L’iniziativa è finalizzata ai seguenti obiettivi: 1. rendere noto l’effettivo utilizzo dei finanziamenti stanziati nel 2007 e nel 2008 per i “comunicatori” di nuova generazione; 2. rendere effettiva ed operativa l’approvazione della nuova versione dell’assistenza protesica del nuovo Nomenclatore; 3. adottare le linee guida cui le Regioni si conformano nell’assicurare un’assistenza domiciliare adeguata per i soggetti malati di sclerosi laterale amiotrofica
a questo link potete vedere come stanno manifestando e ascoltare le loro dichiarazioni

Alla fine ha ragione chi protesta


di Franco Bomprezzi

SLASto seguendo giorno per giorno la vicenda delle quattro persone che stanno facendo lo sciopero della fame per sollecitare interventi precisi e concreti in favore di una piena e adeguata assistenza domiciliare per i malati di sla, la sclerosi laterale amiotrofica. Ho sempre ritenuto che le battaglie per ottenere servizi di welfare moderni e adeguati alle effettive esigenze delle persone con disabilità vadano combattute centellinando gli strumenti spettacolari di protesta, e utilizzando piuttosto con tenacia il metodo della pressione delle associazioni e dei mezzi di comunicazione su chi al momento è chiamato a governare. Temo infatti che chi si incatena per chiedere aumento di pensioni da fame, o chi fa lo sciopero della fame per denunciare l’ingiustizia che sta vivendo o che comunque percepisce su di sé, toglie credibilità e forza agli interlocutori sociali, alle forze vive del volontariato che lavorano tra mille difficoltà monitorando lo stato di salute dei diritti in un Paese parcellizzato dal federalismo immanente.

Ma è anche vero, e oggi lo constatiamo con evidenza, che queste singole persone sono di fatto la punta dell’iceberg di un mondo sommerso di persone e di famiglie che stanno vivendo sulla propria pelle la continua riduzione dei servizi, i tagli, anche veloci al welfare, il continuo rinvio di decisioni importanti per la qualità della vita (penso al nomenclatore tariffario degli ausili, penso ai Lea, i livelli essenziali di assistenza…).

E’ vero inoltre che la reazione di chi governa conferma le ragioni dei digiunanti, visto che il viceministro Fazio ha riconvocato d’urgenza per il 12 novembre, ossia domani, la consulta nazionale delle malattie neuromuscolari. E’ un gesto concreto, un atto di buona volontà, ma anche l’ammissione che qualcosa non funziona. I malati sardi e romani, e tutti quelli che nel tam tam mediatico e politico si stanno associando a loro, non stanno facendo i capricci, non stanno reclamando per sé un po’ di soldi giusto per vivere un po’ meglio. Il pacchetto delle loro richieste, concreto e circostanziato, è ritenuto infatti corretto sia dal presidente di Aisla, Mario Melazzini, che dal presidente della Fish, Pietro Barbieri.

E’ dunque quella stanchezza profonda, che ho segnalato spesso in questo blog, a caratterizzare l’attuale momento sociale delle persone con disabilità, che vedono da un lato sanciti i diritti della Convenzione Onu, con tanta enfasi retorica, e poi dall’altro devono constatare, da Nord a Sud alle Isole, una micidiale battuta d’arresto delle politiche di welfare. Dalla crisi economica questo mondo rischia di uscire a pezzi.

Mi auguro vivamente che a livello politico si trovi una soluzione capace di convincere i digiunatori a interrompere il rischiosissimo sciopero, ma penso anche che non si doveva arrivare sin qui. I giornali dovrebbero davvero cominciare a raccontare le condizioni di vita delle famiglie nelle quali irrompe come un tornado devastante una patologia invalidante e progressiva. Di questo sciopero della fame invece pochi cenni distratti, anche perché per il momento nessuno è morto.

P.S.: lo sciopero della fame è sospeso, annunciano i protagonisti di questa iniziativa, proprio in considerazione della convocazione dell’osservatorio. Ciò che ho appena scritto trova dunque piena conferma. Adesso vediamo che cosa scaturirà dall’incontro a Roma.

da www.vita.it

“Grazie Alda, mi mancherai”


franco basaglia

Dopo i funerali della poetessa, il basagliano Peppe Dell’Acqua firma un commosso ricordo

Il direttore del Dipartimento di Salute Mentale di Trieste ha scritto per “Vita” questa lettera di gratitudine a una donna che, con la forza della sua poesia, ha saputo dare diritto di parola a tanti malati, che pure non hanno le parole della poesia. Sul numero del settimanale in edicola da domani, insieme a questa lettera, anche un racconto dell’inedito e “sconvolgente” incontro fra Alda Merini e Gavino Sanna, che sta lavorando alle illustrazioni di alcune poesie inedite.

di Peppe Dell’Acqua, direttore del DSM di Trieste

Ho saputo domenica pomeriggio. Un amico milanese mi ha informato poco prima che la notizia arrivasse ai giornali. Che sarebbe successo a breve lo sapevamo tutti. Me l’aspettavo. E tuttavia, qualcosa accade. Tristezza. Una tristezza profonda. Ho avvertito un vuoto. La mancanza improvvisa di una voce di verità. Una verità di cui sento il bisogno ora più che mai. Una voce pura, sommessa, estrema, fastidiosa talvolta, e solenne.

Non ho mai conosciuto Alda Merini. Ho cominciato a sapere di lei tardi, quando era già diventata un personaggio. Da anni mi proponevo di incontrarla, di farle visita, di invitarla a Trieste a parlare con noi. Stava quasi per accadere qualche anno fa. Licia Maglietta, attrice, andava in scena con un’antologia di suoi scritti. Era stata invitata. I suoi acciacchi le impedirono di venire a Trieste. Ho cercato nel mio archivio tracce di quell’invito. Ho trovato queste poche righe. Per scusarsi  volle regalarci un piccolo gioiello, una poesia per Franco Basaglia.

La lettera: “Auguro a tutti un po’ di follia”

«Ringrazio sentitamente tutti quelli che hanno lavorato intorno ai miei testi e alla mia vicenda e mi dispiace immensamente di non poter essere presente. Se a Trieste è nata la legge Basaglia e anch’io ho lottato per liberare con me gli altri malati e avere una parola credibile per lo meno sulla scena, debbo dire che tutti i malesseri che mi hanno colpito recentemente sono senz’altro dovuti alle torture manicomiali. Lentamente ma inesorabilmente queste memorie negli anni si fanno avanti e diventano autentici dolori. Sono anche molto addolorata dalla scomparsa di Maria Corti, mia insigne maestra, che ha fatto degli orrori del manicomio un angolo di cielo fervente, per così dire, in cui tutti i martiri del dolore sono caduti senza giustificazione.

Mi auguro che la rappresentazione di Licia e la presenza dei miei ammiratori, cui in parte devo la mia celebrità, serva a sciogliere le catene e la paura della malattia mentale che è stata per anni il rifugio di molte cattiverie. Mi complimento con Licia e con la sua bravura. Forse a quei tempi ero bella come lei.

Con tanti auguri e scusandomi moltissimo ricordo ancora Maria Corti e Vanni Scheiviller che hanno dato coraggiosamente alle stampe il Diario di una diversa, che ha illuminato tanta gente e determinato la chiusura dei manicomi.

Auguro a tutta la buona gente un briciolo di follia perché Lorenzo il Magnifico dice: “Di primavera un poco di follia fa bene anche al re”.

Con tanto affetto, Alda Merini».

Per non dimenticare

Dopo aver letto avrei voluto parlarne con qualcuno. Intanto potevo condividere con i miei amici la notizia. Con quelli che sono nella mia rubrica telefonica e che sono coinvolti nelle stesse storie che io vivo. Ho inviato un messaggio scarno: «È morta Alda Merini». Nelle due ore successive ho ricevuto più di 50 messaggi. Segnali. Condivisioni. Pensieri affettuosi. Per tutta la sera è stato un bel ricordare insieme.

Ho riletto la poesia dedicata a Franco Basaglia. Una testimonianza drammatica e lieve, alla sua maniera. Forse è nata da lì la mia curiosità per lei. Volevo sapere di più della sua storia e le rare testimonianze che raccoglievo, testimonianze sul manicomio, sulla malattia, sul dolore mi apparivano lontane anni luce dalla piattezza di quanto negli ultimi anni si andava dicendo di quelle cose.

La sua storia aveva attraversato il faticoso cambiamento che è avvenuto nel nostro paese. E il suo dire testimoniava, narrando di sé con rabbia e tenerezza, delle violenze, dell’annientamento, delle sottrazioni. I manicomi nel suo racconto appaiono come luoghi dove, malgrado i dispositivi di annientamento che pure conosceva, non si spegne quel filo di umano, quella flebile voce, quel tanto di fragilissimo che allude alle storie singolari, alle persone.

Si è lasciata intervistare, fotografare, riprendere. La vedevo chiamata in causa nei talk show televisivi a parlare della legge che ha chiuso i manicomi e di elettroschok. Diceva sempre la verità. Una verità che dopo gli ardori degli anni ’70, molti, sembrava, volessero dimenticare. Quando qualche anno fa una piccola lobby di psichiatri ha chiesto al Ministro allora in carica di promuovere l’elettroshock, le sue parole semplici e sommesse, la testimonianza della violenza che aveva subito e del rischio che aveva corso di essere ridotta per sempre al silenzio, è valsa più delle presupponenti attestazioni degli psichiatri.

La parola restituita, anche a chi non è poeta

È come se, con una cifra altissima, avesse aperto la stagione per la parola restituita a chi, per ordine psichiatrico, l’aveva perduta. Così il racconto dell’internamento e il suo rapporto talvolta ambiguo con i terapeuti, le parole di comprensione per quelli che pure erano “gli aguzzini”, la dolcezza amorosa della presenza degli altri e l’infinita comprensione del racconto di quelli che l’internamento condividevano con lei. Ma anche le parole chiare (rabbiose e dolenti) della denuncia: delle burocrazie, delle “pie opere assistenziali”, dei tribunali, delle mura, delle separazioni, delle mortificazioni. Abbiamo avuto la fortuna di assistere, di ascoltare un poeta che ci ha permesso di intuire la fatica  che devono fare le persone che vivono quell’esperienza per non essere soffocati dall’involucro della malattia. Per poter vivere, per essere riconoscibili e riconosciuti.

Credo che oggi migliaia di persone, che pure non posseggono le parole della sua poesia, sono in grado oggi di dire, di testimoniare, di esserci. Di questo, ma non solo per questo, siamo grati ad Alda Merini. Del suo lavoro poetico non sono capace di dire. È qualcosa che mi accompagna e mi suggerisce pensieri buoni, intensi, dolorosi, amorosi. È di questo suo lavoro, di questa altissima presenza poetica che credo si debba continuare a parlare. Io, per parte mia, non scriverò più di Alda Merini.

La poesia

A Franco Basaglia

Il vento, la bora, le navi che vanno via
il sogno di questa notte
e tu
l’eterno soccorritore
che da dietro le piante onnivore
guardavi in età giovanile
i nostri baci assurdi
alle vecchie cortecce della vita.

Come eravamo innamorati, noi,
laggiù nei manicomi
quando speravamo un giorno
di tornare a fiorire
ma la cosa più inaudita, credi,
è stato quando abbiamo scoperto
che non eravamo mai stati malati

 da www.vita.it