Più che la mafia uccide il marito. O il padre, la madre, il figlio, il compagno. Una cose è certa: al giorno d’oggi la famiglia miete più vittime della malavita. L’allarme è lanciato dall’associazione dei matrimonialisti italiani, con tanto di cifre a corredarlo: negli ultimi 40 anni sono stati uccisi in casa 400 bambini sotto i quattro anni, e nel 90 per cento dei casi ad ucciderli sono state le loro madri. ”La figlia che a Bordighera ha tentato di far uccidere per motivi di eredità la madre, la donna che a Napoli ha tentato di uccidere la sua bambina di due anni e mezzo con cinque coltellate e l’uxoricidio in Toscana che ha visto protagonista un domenicano, danno il senso – osserva l’associazione in una nota – del fenomeno sociale più grave che esiste in Italia: la violenza tra familiari”. Una violenza che sta cambiando perché, sostengono i matrimonialisti, ”non avviene solo tra i coniugi ma si sta scatenando anche reciprocamente tra genitori e figli”. Una violenza strisciante che ”è frutto di un malessere generale della famiglia italiana, sempre più alle prese con crisi di identità e di tenuta. Pertanto i casi di Erika ed Omar e, prima, quello di Pietro Maso, pur nella loro efferatezza, non possono essere più considerati eccezionali”. E non si pensi di liquidare i – tanti – casi di omicidi in famiglia come conseguenze di menti folli: ”Non sempre alla base di tali omicidi può ravvisarsi uno squilibrio mentale – spiega il presidente nazionale dell’Ami Gian Ettore Gassani – quanto una incapacità di alcuni genitori di oggi e dei loro figli di impostare un dialogo costruttivo nel quadro di un mutuo rispetto. In pratica genitori e figli sovente vedono nell’altro un ostacolo o addirittura un nemico da abbattere”. E allora cosa fare? ”Urge una nuova politica finalizzata al recupero di valori minimi di cui la famiglia si deve riappropriare nonché – suggerisce Gassani – un potenziamento della rete dei servizi sociali e dei centri antiviolenza affinché questi ultimi possano mediare sui disagi e sui conflitti familiari e portare tempestivamente all’attenzione dell’Autorità Giudiziaria ogni segnale di squilibrio che possa essere prodromico di gravi fatti di sangue”.
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Dal pianeta carcere :otto Marzo, festa della donna 2010
Auguri a tutte le donne degli “Uomini Ombra”.
Grazie di darci l’amore che abbiamo bisogno per vivere.
Grazie di seguire i nostri sogni.
Grazie di farci vivere le nostre vite.
Grazie di amarci per come siamo e non per come avremmo potuto essere.
Auguri a tutte le nonne, madri, compagne, sorelle e figlie degli “Uomini Ombra”.
Grazie di trasformare la nostra tristezza, malinconia e solitudine in felicità.
Grazie di amarci e di farvi amare.
Grazie di continuare ad abitare nei nostri cuori.
Grazie di fare sorgere il sole dentro di noi tutte le mattine.
Auguri a tutte le donne della “Compagnia dell’Amore” degli “Uomini Ombra”.
Grazie del vostro affetto che ci sta riempiendo il vuoto delle nostre giornate.
Grazie di lottare con noi e per noi.
Grazie di farci dividere con voi le nostre avversità e sofferenze.
Auguri a tutte le donne del Gruppo “Urla dal silenzio” su Facebook.
Grazie della vostra solidarietà e amicizia.
Grazie di stringere le nostre mani.
Grazie dei sorrisi che ci mandate dalle sbarre.
Auguri a tutte le donne della Comunità Papa Giovanni XXIII vicine agli “Uomini Ombra”.
Grazie dell’amore che ci donate senza prendere nulla in cambio.
Auguri a tutte le donne del mondo.
Grazie di essere la metà della nostra anima.
I nostri cuori vi sorridono, vi abbracciano e vi baciano.
Gli ergastolani in lotta per la vita di Spoleto
N.B. Gli “Uomini Ombra” sono gli uomini né morti, né vivi, condannati alla pena della “morte viva”: l’ergastolo ostativo a qualsiasi beneficio.
La morte a Capodanno
di Roberto Puglisi
Debora, diciassette anni, inghiottita da via Dell’Olimpo, strada tristemente famosa a Palermo (come racconta la foto). Bernardo, ucciso da un incidente sulla Statale 113. Un ragazzo annientato sulla Catania-Gela. E loro? Loro, gli uomini delle istituzioni, devono aspettare per forza che muoia qualcuno. E poi, forse, parlano. Parlano. Parlano. A Palermo, tra via Dell’Olimpo e via Venere, nel noto triangolo degli incidenti, hanno messo qualche ridicolo dissuasore all’altezza dell’asfalto macchiato dal sangue di Salvuccio Gebbia. Per il resto, arrangiati. Questo per dire che non esiste una politica comunale sulla prevenzione degli incidenti. Veramente, a Palermo non esiste una politica comunale praticamente su niente. Ma qui parliamo delle vite dei ragazzi. E dello scempio che ne viene fatto nell’impastatrice della retorica dei politici.
Certo, i ragazzi non sanno guidare e sono spericolati. Una caratteristica di molti palermitani e siciliani attempati. Gente perseguita magari giustamente per la targa alterna sbagliata, in un giorno di smog. E con la licenza di sgommare, di sorpassare a destra, di fregarsene della doppia striscia continua. E mai che si trovi uno con mezza divisa a mormorare: scusi?
Il meccanismo vizioso produce morti. Domani leggeremo, come sempre, pezzi sulle vittime e sui carnefici. E le vittime sono sempre “bravi ragazzi, prudenti e attenti”. Figuriamoci se abbiamo voglia di irridere lo strazio dei parenti. Lo conosciamo bene. L’abbiamo praticato. Ci siamo stati nelle case del dolore, con le madri e con i padri, consci dell’irreparabile. Sappiamo come può ridursi un corpo giovane, smembrato da un impatto atroce. Livesicilia ha soltanto la sua voce, per gridare essenzialmente due cose. E le vuole gridare forte. L’amministrazione – quella più prossima a noi, quella di Palermo – deve darsi una mossa, in termini di prevenzione e rimedi. Perché muoiono tutti in via Dell’Olimpo? Sfortuna? E poi vorremmo dire per nulla sommessamente – senza il minimo riferimento alle morti di di cui parliamo oggi, la cui dinamica oltretutto è incerta – che chi non rispetta le regole della strada è un coglione. Non un cretino e nemmeno un fesso. Proprio un coglione, specialmente se muore a vent’anni, per colpa della sua leggerezza. Lo vorremmo scritto a caratteri cubitali su ogni muro, dietro ogni curva. E se questa parola vi turba, andateci voi a carezzare le lapidi che fioriscono sul nostro asfalto. Guardateci voi, dentro gli occhi di una madre che chiama, senza risposta, il nome di suo figlio.
Cagliari: in carcere bambino di 16 mesi è “ingiusta detenzione”
Natale amaro per un bimbo nigeriano che ha trascorso le festività nella Casa Circondariale di Buoncammino, dove il 25 dicembre è stato anche battezzato insieme alla giovane mamma. Un caso di “ingiusta detenzione senza alcun risarcimento”, denuncia la presidente dell’associazione Socialismo Diritti Riforme, che richiama l’attenzione delle istituzioni sulla necessità di garantire ai minori di madri detenute condizioni di vita adeguate alle loro esigenze.
Il piccolo nigeriano ha appena 16 mesi, ma suo malgrado vanta già alcuni record negativi: oltre al Natale, dietro le sbarre 4 mesi fa ha festeggiato ferragosto e il suo primo compleanno. “Il bambino, che ha ottenuto grazie alla sensibilità del giudice di poter frequentare un asilo nido e di trascorrere qualche ora fuori dal carcere, non può – sottolinea Caligaris – continuare a crescere dentro una struttura detentiva. Non è difficile verificare – conclude – che le dichiarazioni di principio del ministro Alfano, con le quali aveva garantito la soluzione del problema dei minori di 3 anni negli istituti di pena, sono rimaste senza seguito”.