“Respiro attimi”


di Tiziana Mignosa

Ogni tanto mi piace rovistare

in quei luoghi dove l’adesso non mi concede di tornare

e mi lascio allora trascinare

in quel vortice accaldato

che mi fa ancora emozionare.

Sulla scena respirata a menadito

l’allora assaporo sul presente

sul tuo sguardo che mi veste come guanto sulla pelle

sulle labbra tue introverse

bianco e nero sulla chiacchiera degli occhi.

Accattivante è lo splendido sorriso

che legna secca aggiunge

sulle fiamme della voglia

non bisbiglia tenerezze al chiar di luna

ma notti estreme deste e grida di passione.

M’incendio dentro al rogo del tuo sguardo

tra polpastrelli e labbra di piacere oscillo

tra il ruvido che le mani col pensiero afferrano

e l’umido tepore della tua bocca

nettare prelibato per il gusto.

“A volte”


di Tiziana Mignosa

A volte amo respirare il mio passato

quando le foglie

cadendo giù

d’autunno vestono la nostalgia

e il pensiero plana

su quei luoghi inviolati

dove regina

era la gioia.

Col sorriso

d’attimi fodero il mio dolore

mentre la mente mente

negando gelo e inverno.

“Carillon”


di Angela Ragusa

Fugge la vita e lascia vuote le mani
a tirare somme sempre inesatte,vaga ricerca,
quando pure era facile il conto dei giorni accaduti,
del tempo trascorso, dei luoghi già visti…

Si svuota di noi, ingombro recluso
in cartoni di istinto, ignara
sprovveduta corsa d’ esistere
attesa a cavallo di sogni e speranze.
Gira la giostra ,non ferma la conta.

Suona ili carillon immutabile ritmo
ammutolisce nei cuor, l’illusione di un sempre.

“Come acqua”


di Tiziana Mignosa

 Quando il dolore è troppo

diventa come il nero pesto dell’inchiostro

anima come acqua

di corvino l’esistenza tinge.

Ora che l’adesso ha spento l’interruttore al tempo

e il sentimento raccatta punti di domanda

ti ritrovi ancora a rovistare

tra scarti di tepore e fiele.

Negli spaziosi luoghi dell’assenza

smarrita vivi l’ingorgo della mente

pensieri stropicciati

tenerezza e piombo.

Ma la ragione ti porta ad asserire

che anche se il fato ribaltasse il gioco

troppi sono i nei accatastati

che tu comunque non vorresti niente.

“Angelo di fuoco”


di Angela Ragusa

Bozzolo di seta
di crisalide dischiusa,
dea di anfratti mistici
e soprasensibili luoghi,
sovrasti mondi
sconosciuti di antichi
volti e dimenticate armonie…

Sboccerai, angelo di fuoco
ad avvolgere il tormento
che nella notte dei tempi
lega corpi avvinti
di amanti irrefrenabili…
Sulla passione incontenibile
tra vortici e fiamme
lascerai che si compia il trionfo
che umani senza scampo
rinnovano nell’amplesso
come lupi innamorati
al chiar di luna……

Steve McCurry 1980-2009. Sud-Est


di Maria Vacante

“Osservare un viso è come guardare dentro un pozzo, sul fondo si compone un riflesso ed è l’anima che si lascia intravvedere”. E’ questo il cuore della mostra su Steve McCurry che dall’11 novembre al 31 gennaio si può visitare nella splendida cornice medioevale del Palazzo della Ragione a Milano.

“Sud-Est” racconta gli ultimi, i dimenticati, coloro che in silenzio vivono in luoghi segnati da grande sofferenza ma enorme dignità come l’Afghanistan, il Tibet, la Birmania, l’India. Attraverso i volti fermati in questi scatti troviamo bellezza, eleganza, dignità e ci possiamo specchiare nel loro sguardo cercando la nostra storia.

La mostra si compone di sei sezioni divise da “alberi” e fasci di luce rossa sul pavimento che aiutano il passaggio da una sensazione all’altra. L’altro è una raccolta di visi, sguardi ed espressioni che ci raccontano vite, luoghi ed emozioni lontani nello spazio ma vicini per la forza che hanno di catturare la nostra mente. Il silenzio, che ha accompagnato il fotografo durante i suoi viaggi, permette allo spettatore di osservare ed entrare in contatto con l’anima profonda di quei luoghi, attraverso persone in preghiera e scenari di silenzio. Nella terza sezione esplode La guerra, e McCurry esprime il passaggio improvviso e scioccante che ha vissuto tornando proprio il 10 settembre 2001 dal Tibet agli Stati Uniti, in tempo per assistere al crollo delle Torri Gemelle. Dal silenzio della preghiera al boato del dramma dell’umanità contro l’umanità. “Seicento pozzi di petrolio in fiamme, il cielo nero e denso più della notte, animali agonizzanti, corpi carbonizzati. Questo l’inferno”, così l’autore spiega il disastro di tutte le guerre, ma che nel suo lavoro diventa armonia di colori e immagini. Senza retorica e senza giudizi di parte, lascia che lo spettatore si faccia la propria idea guardando prigionieri, morti, carri armati, animali carbonizzati. Ma lo scontro mostra la forza dei popoli di risollevarsi, ed ecco che inizia La gioia, liberatoria come una risata e bella come delle mai alzate verso il cielo. I colori ora sono vivaci, accesi e allegri, i volti sorridenti, sereni e leggeri. Ci si sente subito meglio, ma dura poco, perché subito dopo siamo riportati alla triste realtà dello sfruttamento dell’Infanzia. Bambini soldato vicini a bambini che lavorano nei campi, bambini pastori, bambini a cui è negata la possibilità di vivere l’età più bella e spensierata; forse non può esistere autentica gioia senza piena consapevolezza del dolore e queste immagini ci raccontano di paura, solitudine, necessità di crescere troppo in fretta. Ma ecco che alla fine arriva la speranza della Bellezza che secondo Dostojevski può salvare il mondo. Tre ritratti di bambine in cui si condensa tutta l’opera di McCurry: dietro ogni immagine c’è una storia che va raccontata e lui riesce a combinare tutti gli elementi in maniera magica, portandoci a conoscere realtà che devono essere viste per prendere piena consapevolezza del nostro tempo.