“Autism, the musical”, il film che sfata i luoghi comuni sull’autismo


di Maurizio Molinari

La regista Tricia Regan ha seguito per sei mesi 5 bambini autistici di Los Angeles e ha raccontato la loro storia e quella delle loro famiglie. Oggi a Bruxelles la presentazione del film

i protagonisti di “Autism, the musical”

BRUXELLES – “Chi gioca in prima base. Non te lo sto chiedendo, te lo sto dicendo. Chi gioca in prima base?”. Come non ricordare questa scena dal film Rain Man in cui, nel 1988, il futuro premio oscar Dustin Hoffman (Raymond Babbitt) e la sua “spalla” Tom Cruise (il fratello Charlie Babbitt) portarono alla ribalta l’autismo sul grande schermo?  Da allora il problema dell’autismo è cresciuto in maniera esponenziale: per fare solo un esempio, nel 1980 l’autismo era diagnosticato a un bambino su diecimila negli Stati uniti, mentre ora le statistiche arrivano a parlare anche di un bambino su centocinquanta come affetto da questa grave disabilità. Senza dubbio il numero delle diagnosi è aumentato notevolmente.

Stasera, a Bruxelles, non andrà in scena Rain Man, ma saranno cinque bambini autistici i protagonisti di una storia vera, la realizzazione del film “Autism, the musical”, con cui una regista ha voluto dimostrare che è possibile coinvolgere le persone affette da autismo in progetti grandi quali quello della realizzazione di un prodotto cinematografico premiato a livello internazionale.

Tricia Regan, la regista appunto, ha seguito per sei mesi cinque bambini autistici di Los Angeles e ha raccontato la loro storia e quella delle loro famiglie, i loro successi e le loro frustrazioni mentre insieme a loro creavano quello che poi sarebbe diventato un musical. Proprio nel musical, la Regan ha scoperto, gli attori autistici coinvolti hanno trovato una forma di protezione, di luogo sicuro in cui esprimere la loro creatività. “Questo film – ha  dichiarato la regista – vuole essere da un lato una denuncia per la crescita del fenomeno allarmante dell’autismo e, dall’altro, la dimostrazione che, se coinvolte con metodi appropriati e nella giusta maniera, le persone autistiche possono esprimere un immenso potenziale”.

“Non bisogna avere un’immagine monolitica dell’autismo e delle persone autistiche – ha spiegato a Superabile Aurelie Ballanger, direttrice di Autism Europe, il network europeo delle organizzazioni che si occupano di questa disabilità – perché ci sono diverse forme di autismo con diverse problematiche. Gli autistici non sono tutti geni o tutti dotati di un’intelligenza superiore, tanto per sfatare un mito, e non ci sono cure per l’autismo. Detto questo, però, con i giusti trattamenti e le giuste terapie, le persone autistiche possono esprimere le loro potenzialità individuali, qualunque esse siano, e diventare cittadini europei e del mondo a pieno titolo, godendo così fino in fondo dei loro diritti che dovrebbero essere e purtroppo spesso non sono inalienabili”.

da www.superabile.it

Cinema: da Sodoma a Hollywood, al via a Torino il Glbt Film Festival


“I 25 film che ci hanno cambiato la vita” al Torino Glbt Festival. Sono trascorsi 25 anni da quell’aprile del 1986 in cui fu realizzata la prima edizione di una manifestazione “a tematica omosessuale” mai tenutasi in Italia. Oggi, “Da Sodoma a Hollywood” -Torino Glbt Film Festival – gestito e amministrato dal Museo Nazionale del Cinema- e’ il piu’ antico Festival d’Europa e terzo nel mondo, dopo i leggendari “Frameline” di San Francisco e “Outfest” di Los Angeles. Per festeggiare le nozze d’argento, la rassegna di quest’anno in programma all’ombra della Mole Antonelliana dal 15 al 22 aprile, presenta 25 suggestioni scelte tra le tante pellicole presentate al Festival nel corso di questi anni.

 Il nuovo comitato di selezione composto da Fabio Bo (coodinatore artistico) e da Angelo Acerbi, Margherita Giacobino, Alessandro Golinelli e dai consulenti (Christos Acrivulis, Flavio Armone, Nancy K. Fishman, Simone Morandi) e capitanato dallo storico direttore e ideatore del Festival, Giovanni Minerba, ha voluto, ancora una volta, essere attento alle esigenze del pubblico, riservando una forte attenzione alle istanze ocio-culturali della comunita’ gay.

Fra i temi in evidenza, l’omofobia anche in paesi come Iran, Camerun e Uganda, il tormentato rapporto genitori e figli, la bisessualita’, non vissuta piu’ come indecisione ma come scelta, i problemi dei gay anziani e soli. A giudicare i titoli in concorso tre giurie tra i cui componenti anche lo scrittore Peter Cameron

fonte Adnkronos

I primi 40 anni di Internet


40 anni di internetdi Marco Magrini

Il 29 ottobre di quarant’anni fa non era giovedì. Era un sabato. Alle 22,30 di Los Angeles, il professor Leonard Kleinrock, insieme a un assistente, tenta il primo collegamento fra un computer dell’Ucla e un altro al l’Università di Stanford. I nodi sono solamente due, ma promettono di crescere: la novità è che i rispettivi minicomputer sono collegati a una nuova macchina, battezzata Imp, che svolge il lavoro di smistare pacchetti di dati a un numero potenzialmente infinito di altri utenti.«Nel frattempo ci parlavamo per telefono», racconta oggi Kleinrock. «Io dovevo scrivere “login”. Scrissi la lettera elle. “Ricevuta”, mi dissero. Poi la o. “Ricevuta”. Quando digitai la terza lettera, il sistema andò in crash». Mai, una sconfitta ha preannunciato un futuro così radioso.
Quel sabato di quarant’anni fa, nasceva Arpanet. Quella che poi si sarebbe chiamata Internet. Ovvero la singola invenzione che, più di ogni altra, ha proiettato il mondo nel futuro che tanto attendeva.
L’internet come la conosciamo oggi non ha un solo padre, ne ha decine, forse centinaia. E Kleinrock è “solo” uno di questi. Ma è uno dei pochi pionieri, anche per aver gettato le basi matematiche del cosiddetto packet switching, quel sistema di pacchetti di dati che vengono istradati dagli Imp, quelli che oggi chiamiamo router.
«No, lo ammetto, non avrei mai potuto immaginare che Arpanet sarebbe andata così lontano», risponde il 75enne professore del l’Ucla, raggiunto per telefono a New York. «A quei tempi, nessuno pensava al computer come a uno strumento di comunicazione. Il pc non esisteva, i computer erano grandi e costosi. L’email sarebbe arrivata solo due anni dopo, diventando subito l’applicazione più usata sulla rete. Però, qualcosa di azzeccato, l’avevo previsto».
Il professore ci ha esibito, via email, un comunicato dell’Ucla del 1969, dove lui stesso profetizzava che «vedremo un giorno la nascita di computer utilities che, come quelle dell’elettricità e del telefono, serviranno le case e gli uffici di tutto il Paese». Per quei tempi, una bella lungimiranza. Ma il futuro, professore?
«Un giorno non lontano, la maggior parte del traffico internet non sarà fatto dagli esseri umani, ma dalle macchine», risponde. Un giorno non lontano? «Le capacità di calcolo e di comunicazione si stanno dilagando: sensori, attuatori, memorie, display, microfoni. Tutto quanto ci circonda sarà collegato in rete, per dare informazioni e servizi sulla realtà circostante. Potremo controllare a distanza la crescita delle piante, la popolazione ittica di un fiume. Un sistema cooperativo di strumenti che radunano le informazioni e ordinano ad altri strumenti di mantenere l’equilibrio. No, tutto questo è già alla portata della nostra tecnologia. E sta accadendo».
Sul mercato finanziario, rimarca Kleinrock, è già così. Ma si sta allargando a tutti i confini della nostra realtà. «Certo, ci sarà un crescente dibattito sull’affidabilità delle macchine, sul loro senso di responsabilità», ammette. «Il lato oscuro del l’internet esiste: oggi ci sono agenti automatici in grado di spiare migliaia di computer o di prendere il loro controllo a comando. Eppure, resta difficile, se non impossibile, prendere il controllo dell’intera rete». E questo, si deve ai suoi costruttori.
Se internet ha tanti papà, ha una sola mamma: l’Arpa, l’agenzia del Pentagono incaricata della ricerca avanzata, nata in risposta al lancio dello Sputnik russo. «Certo, la rete era di proprietà dell’esercito. Ma quella storia che la decentrazione della rete è nata per proteggere il sistema da un attacco nucleare è una fandonia», se la ride Kleinrock. «Noi eravamo assolutamente liberi nel condurre la nostra ricerca – racconta – che non aveva neppure finalità militari. Era ricerca pura».
I pionieri, avevano solo chiaro in mente che la rete doveva essere «distribuita e pronta ad allargarsi indefinitamente». «Il mio idolo era (il premio Nobel) Claude Shannon e ammiravo i suoi lavori basati sulla legge dei grandi numeri», che accesero la curiosità giovanile per il packet switching. «L’idea originale è che un sistema aperto deve essere la base di tutto: dopodiché meravigliose proprietà, emergeranno». È esattamente quel che è successo in questi quarant’anni.

da www.ilsole24ore.com