di Angela Argentino
Sono siciliana e insegnante. Ho grande rispetto della parola, sia scritta che orale.
Da sempre mi è parsa un miracolo.
Io ho cominciato come maestra elementare per poi continuare come insegnante di lingue staniere ma vivendo in Grecia è stato giocoforza insegnare la mia lingua nel posto in cui si trovano le sue radici e vi posso assicurare che non può esistere esperienza più esaltante (almeno per la mia anima e la mia coscienza) che insegnare l’italiano in Grecia, perché ritrovo o scopro l’impronta della parola che qui è nata e qui ha già tracciato il suo destino di significato, di messaggio, di percorso e di speranza.
Con i miei studenti facciamo dei viaggi di incredibile stupore davanti alla saggezza e alla lungimiranza di coloro che crearono la parola, per poi diffonderla, innescare una catena infinita di derivati e di commistioni che a loro volta generano milioni di sfumature che il cuore e la fantasia, soltanto, possono percepire.
Solo per farvi un esempio l’altro giorno dovendo tradurre l’aggettivo “perplesso“, da buona attrice quale sono, ho presentato la mia faccia piena di dubbio, dicendo che perplesso è colui che per “status quo” è confuso, senza che l’aggettivo ci spieghi le cause della sua confusione.
Dobbiamo poi scegliere altri aggettivi più specifici che ci svelino l’origine della sua perplessità e quindi saremo “dubbiosi”, “incerti”, “insicuri”, ” indecisi ” e via dicendo.
Il secondo passo del nostro viaggio, attraverso la parola, è stato chiedersi l’etimologia e siamo giunti alla parola greca “plesio” che è una struttura definita dentro la quale possiamo addirittura costruire dei sistemi e dei sottosistemi.
Ne troviamo traccia nella parola “plesso” della terminologia medica e immediatamente andiamo a “complesso” che già ci conduce a una moltiplicazione della struttura iniziale.
“Perplesso” in quanto dubbioso…. che relazione ha con “plesio”= struttura?
La sera stessa ho incontrato un amico psichiatra e gli ho posto la domanda. Con estrema facilità mi ha sciolto il dubbio spiegandomi che la preposizione “per” che a noi sembra latina, proviene dall’antico greco e aveva un senso di negazione per cui “perplesso” è colui che non ha un “plesio-struttura“, entro cui trovare dimensione, riparo, punti di riferimento, analogie e rapporti, confronti e comparazioni.
Dunque è sperduto. Pensandoci, la notte e i giorni successivi, mi sono posta la domanda se “plesio” fosse anche casa, famiglia e Dio che tutti stiamo perdendo.
E ai miei studenti che in maggioranza hanno dai 15 ai 30 anni, ho chiesto cosa ne pensassero di questo mio interrogativo. Tutto per una parola.
Il nostro viaggio perà ci ha ha riunito a coloro che all’inizio della civiltà della parola, per primi la usarono e sicuramente volevano che pensassimo queste cose.
Sono siciliana di Noto anche se ho trascorso gran parte della mia vita fuori della Sicilia. Scrivo novelle e poesie, da sempre, da quando ho imparato l’italiano a scuola.
Provengo da una famiglia dove non c’erano libri e in casa si parlava solo il siciliano. La lingua italiana e la scrittura erano il mio orizzonte e la mia libertà. Erano i miei strumenti per affrancarmi dalla vita grama della mia famiglia che di strumenti ne aveva pochi!
Adoro le mie lingue (il siciliano e l’italiano) e adoro tutte le altre che conosco e non conosco.
Ogni lingua aggiunge fantasia e sensibilità al nostro cuore, allarga tutto, in ogni direzione.
Resto dell’opinione, però, che si può scrivere bene solo nella lingua della nostra infanzia o della adolescenza.Qquando siamo ancora in embrione, lungo la strada della conoscenza e tutto è un magico gioco di scoperte.
Un abbraccio a tutti.
da www.siracusa.blogsicilia.it