Due ore ‘prigioniero’ a Palazzo Venezia


di Valeria Forgnone

Una gita con la scuola alla mostra di Leonardo a Palazzo Venezia che si è trasformata in un’odissea per un ragazzo disabile di 16 anni. Prima l’impresa per prendere un autobus poi il guasto all’a scensore del museo che ha bloccato Luca (il nome è di fantasia) e le professoresse che lo hanno accompagnato per oltre 2 ore in attesa che venisse riparato il danno.

Il viaggio del terzo superiore dell’istituto professionale Sisto V, alla Bufalotta, è iniziato a via Ettore Romagnoli. Precisamente alla fermata del bus 60. Sono passati cinque mezzi pubblici, tutti con la pedalina rotta. È stato impossibile per Luca con la sua carrozzina elettrica da 140 chilogrammi riuscire a salire sull’a utobus destinato a piazza Venezia. Così un suo docente ha contattato il numero verde dell’Atac. Dopo qualche minuto di attesa, è arrivata una navetta speciale che ha portato il ragazzo e la sua classe a Palazzo Venezia. Qui un nuovo intoppo. Un ascensore è guasto, mentre l’altro si rompe dopo averlo portato al primo piano per vedere l’esposizione delle opere di Leonardo. Subito le professoresse chiedono l’intervento dei tecnici: Luca non può scendere e la carrozzina è troppo pesante per essere portata a mano. E inizia l’attesa che dura più di due ore tra l’arrivo dei tecnici e la riparazione del guasto.

“Sempre lo stesso problema, ogni uscita con la classe diventa un’odissea. È assurdo e vergognoso portare un ragazzo disabile in gita al centro di Roma e assistere ancora a scene del genere. Una persona già con dei problemi, in questo modo, la fanno sentire ancora più in difficoltà”, denuncia Patrizia Pianesi, professoressa di Lettere al Sisto V. “Dovremmo prendere un pulmino speciale ma ha un costo troppo elevato, la scuola non ha più fondi e non può permetterselo”, aggiunge Antonella D’Alessandri, docente di Storia dell’Arte. Rassegnato anche Luca che spiega: “Non è la prima volte che succede. Non riesco mai a prendere l’autobus, quasi tutte le pedaline sono rotte, i marciapiedi sono senza scivoli, i musei non sono attrezzati”.

Vito Franco, il patologo palermitano che scopre le malattie dei protagonisti dell’arte


di Il Giomba

Vito Franco: vi dice niente questo nome? Probabilmente no: ebbene, sappiate che quest’uomo, docente di Anatomia patologica all’Università di Palermo, è uno dei pionieri dell’Iconodiagnostica, ovvero la ricerca di patologie analizzando le opere d’arte.

Il Professor Franco, analizzando diverse opere d’arte, circa cento, ha potuto scoprire che, ad esempio, la Gioconda aveva, molto probabilmente, uno xantelasma sotto l’occhio sinistro, ovvero un accumulo di grasso, e un lipoma sulla mano, evidenti segni di iperolesterolemia, mentre Michelangelo aveva forti segni di accumulo da acido urico.

La cosa ha destato non poca curiosità, anche nei media stranieri e, inevitabilmente, diverse polemiche: giusto qualche giorno fa, sul sito del Corriere, leggevo:

L’inutile ricerca sulle malattie negli occhi della Gioconda

(…) Se è un divertimento personale, passi. Ma se è stato sprecato anche solo un euro dei fondi destinati alla ricerca per darci questi giochi di prestigio, allora intervenga per favore il ministro Gelmini.”

La verità è che, molto probabilmente, siamo degli incontentabili: c’è chi critica questo tipo di disciplina, “tacciata” di avere un approccio troppo generalista al problema, quindi di essere pressoché inutile, dal momento che si basa su un analisi pressoché “visiva”, non supportata da nessun dato, quindi quasi totalmente “empirica”, mentre altri la ritengono interessante ed innovativa, visto che, “incrociando” i dati dell’analisi “visiva” delle opere con la storia dell’arte, si può realmente risalire a malattie dettate dalle epoche, ricostruendo interi pezzi di storia attraverso un approccio completamente diverso e moderno.

E voi, che ne pensate? Credete che questa disciplina sia realmente importante ed interessante, o siete concordi con chi la ritiene pressochè inutile e poco affidabile?

da www.palermo.blogsicilia.it

Via col vento


cecchi paone

Men with the italian taste: così gli anglosassoni chiamavano gli omosessuali ai tempi del Grand Tour. Quando gentiluomini, artisti e letterati del Nord calavano in quello che all’epoca era il “giardino d’Europa”, alla ricerca delle meraviglie della natura, dei lasciti della storia e dei bei ragazzi da amare. Quegli uomini “dal gusto italiano” (ma non mancavano anche audaci amazzoni che fondavano cenacoli saffici a Capri e altrove) resterebbero oggi di sasso scoprendo che l’Italia è rimasto l’unico Paese di civiltà occidentale e liberaldemocratica a non riconoscere ai gay e alle lesbiche alcuna tutela giuridica antidiscriminatoria, e alle coppie omo alcuna sistemazione legale in fatto di diritti e di doveri. Il libro di Annamaria Bernardini de Pace esce infatti al termine di una breve ma intensa stagione di mobilitazione per l’estensione dei diritti civili alle persone omosessuali e ai loro rapporti di convivenza, che si è conclusa con una clamorosa sconfitta su tutta la linea. E con il crollo della rappresentanza parlamentare del mondo GLBT, ridotta a una sola deputata lesbica dichiarata, fortunosamente emersa dalle liste del PD. Nonostante un diluvio di manifestazioni e contromanifestazioni, articoli e pubblicazioni, coming-out più o meno celebri, dibattiti politici e iniziative governative e parlamentari, l’Italia dei matrimoni civili in crescita, delle separazioni e dei divorzi dilaganti, della crescita demografica azzerata ha deciso di fingere di rappresentarsi cattolica integralista, familista, natalista e omofobica. E di non fare più nulla. A quale scopo? Con quali vantaggi? In che cosa ci guadagna il nostro Paese a rinunciare a essere una società aperta, pragmatica, realista, dinamica e soprattutto più giusta? Perché la patria di Leonardo e Michelangelo, e di una lista interminabile di omosessuali illustri, vuole ignorare l’esistenza di quella percentuale consistente di italiani anonimi e normali che per tutta o parte della vita si accompagnano a un partner dello stesso sesso?

Sarebbe lecito attendersi risposte dagli organizzatori del Family Day e dalle attuali gerarchie vaticane, che hanno vinto la battaglia. Ci dimostrino infine che era vero che umiliando la popolazione gay la società italiana sarebbe diventata più sana delle altre, che i matrimoni eterosessuali sarebbero aumentati e che si sarebbero fatti più figli. Invece il loro soddisfatto silenzio è assordante, perché non è successo nulla di simile e non succederà. Che fare allora, in un Paese dove una lunga schiera di stilisti quasi tutti gay manda in giro ragazzini e ragazzine inconsapevoli col sedere di fuori, tappezza le città di manifesti di maschi mozzafiato in mutande, ma non usa quasi per niente il suo enorme potere economico, mediatico ed editoriale per mobilitare l’opinione pubblica? Sul piano politico e istituzionale, non c’è dubbio, bisogna prepararsi a una lunga grigia stagione di ipocrisia e immobilismo che costringerà chi può a valicare le Alpi all’occorrenza. Più volte nel libro l’autrice auspica una soluzione legislativa bipartisan, spiegando come si tratti non di una battaglia di sinistra o di destra, ma di civiltà e di buon senso. E ha pienamente ragione. Peccato che a sinistra, dopo il pasticcio dei DICO, sia piombato un imbarazzato silenzio. Mentre a destra il coraggio e la libertà intellettuale dei ministri Brunetta e Rotondi, intenzionati a proporre una loro soluzione, ha già scatenato barricate e anatemi.

La verità è che, come destra e sinistra sono state colonizzate da forze clericali assolutamente sovrarappresentate rispetto al sentire comune di buona parte del Paese, così solo un’adeguata trasversalità laica potrà permetterci di sbloccare la situazione. Annamaria Bernardini de Pace lo dice così chiaramente e ripetutamente da costruire una sorta di spartiacque inedito fra chi vuole continuare a perdere le battaglie della modernità liberale e chi invece vuole avviare una vera nuova stagione di democrazia europea. Chi vuole restare o entrare nel solco della normalità internazionale deve escludere con nettezza confusioni fra morale religiosa, quale che sia, e autonomia dello stato nel regolare i fenomeni sociali e i cambiamenti del costume. È ovunque, nel mondo civile, patrimonio sia della destra che della sinistra l’applicazione integrale delle libertà fondamentali e dei diritti dell’individuo e del cittadino. Avete invece letto che in Italia non è così per chi ha un orientamento sessuale diverso dalla maggioranza. È ingiusto, è illegittimo, è umanamente feroce. Brutto segnale, anche per le altre minoranze e le altre questioni eticamente sensibili. L’uguaglianza o è per tutti o non è. Certo, col tempo si può sperare che ancora una volta ci salvi l’Europa, di cui per fortuna facciamo parte, e che dovrà prima o poi sanare anche giuridicamente l’anomalia italiana, sulla base dei tanti modi in cui si è risolto altrove il problema. Oppure, cinicamente, si può attendere che escano definitivamente di scena una classe dirigente e un elettorato ancora egemonizzati da chi è stato educato sotto il fascismo, negli oratori e nelle scuole cattoliche meno aperte. Ovunque, insomma, non sono stati letti e non vengono studiati libri di fisiologia, sessuologia, psicanalisi e antropologia culturale. E dunque gli omosessuali vengono condannati al pari delle persone sterili, di chi controlla le nascite, dei divorziati, dei risposati, delle donne costrette ad abortire, degli onanisti. Ma c’è chi ricorda che possono essere anche perdonati. Certo, solo però se si autoinfliggono la tragedia psicofisica della rinuncia alla ricerca del piacere e dell’amore!

Questo bel libro, però, non si limita alla denuncia di un’ingiustizia grave che fa soffrire milioni di persone. Ogni eterosessuale ha infatti amici o parenti o colleghi omosessuali, anche se non sempre lo sa. Non è solo una sferzata per impedirci di cadere in un lungo torpore fatto di rassegnazione e deresponsabilizzazione. Ci conferma che ottime ed equilibrate soluzioni sarebbero a portata di mano per tutti anche qui da noi. Lo si può pure considerare come un completissimo manuale di legittima difesa privata per chi, nonostante tutto, non rinuncia ad amarsi nel rispetto delle più elementari garanzie reciproche anche in Italia. Ci si può riuscire, come avete letto, con l’aiuto di un buon avvocato o di un buon notaio, spigolando fra codici e sentenze. Ma non senza limiti, controindicazioni ed effetti collaterali, di cui l’autrice, cui va tutto il mio affetto e il mio ringraziamento per quel che fa e come lo fa, è pienamente cosciente, tanto da essere la prima a indicarli. Si tratta infatti di rimedi che sistemano solo aspetti economici e patrimoniali. Dunque, aggiungo io, si tratta di rimedi classisti che ribadiscono un’antica ulteriore discriminazione a danno di chi non è ricco, famoso e potente. Ma soprattutto si tratta di un approccio che rischia, ma non vuole diventare un alibi a non legiferare per trovare, per tutti, soluzioni alla luce del sole. Le soluzioni privatistiche non devono mai essere, in democrazia, la scorciatoia per negare dignità sociale e riconoscimento pubblico a chi non ha nulla da togliere e molto da dare alla comunità. Omosessuali, donne, giovani sono le categorie sociali che hanno innervato di linfa vitale le nuove primavere di tanti paesi all’avanguardia, come la Spagna. Cioè proprio le stesse categorie tenute ai margini da un’Italia non a caso in declino. Non dimentichiamolo mai.

“Diritti diversi”, A.M. Bernardini de Pace, 2009 RCS Libri SpA / Bompiani

Leonardo forse fece una Gioconda nuda


gioconda nudaFIRENZE – Oltre alla Gioconda di Leonardo da Vinci esposta al Louvre, potrebbe essercene una seconda, una Gioconda nuda, che l’artista avrebbe dipinto per formare un dittico e rendere omaggio ai due volti di una stessa divinità, cioé Venere, secondo un vezzo in uso tra gli artisti del tempo.

Lo sostiene una teoria formulata dallo studioso fiorentino Renzo Manetti – esperto di iconologia e autore di studi controversi sull’opera di Leonardo – nel saggio ‘Il velo della Gioconda. Leonardo segreto’ pubblicato da Polistampa. Il dipinto, riporta una nota, sarebbe una donna nuda, a seno scoperto, seduta su un balcone e nella stessa posa della Gioconda del Louvre. L’opera risalirebbe al cosiddetto ‘periodo romano’ quando Leonardo era immerso nello studio della filosofia e delle dottrine esoteriche. “Anche se il dipinto è andato perduto – ha spiegato Manetti – esistono almeno una decina tra riproduzioni e opere di analogo soggetto, eseguite da allievi e discepoli, che ci permettono di ricostruire l’originale”. Manetti si riferisce a dipinti come la Monna Vanna del Salaino, allievo di Leonardo. Alla Gioconda nuda di Leonardo si sarebbe ispirato anche Raffaello che ritrasse due donne simili tra loro, una coperta da un velo, La Velata, l’altra seminuda, La fornarina. Fra queste, come tra le eventuali due Gioconde di Leonardo, esisterebbe un rapporto preciso: per Manetti sarebbero la rappresentazione delle Veneri della tradizione neoplatonica, quella ‘celeste’ e quella ‘volgare’, simboli di due diversi aspetti dell’indole umana.

fonte ANSA

Un professore italiano ha “crackato” il codice del capolavoro mancante di Leonardo? di Daniela Domenici


anghiari's battleUn esperto d’arte italiano sostiene di essere sul punto di scoprire un capolavoro a lungo perduto di Leonardo nascosto in una cavità segreta dietro la parete di un palazzo.

Il professor Maurizio Serancini ritiene che un indizio in un alto dipinto a Palazzo Vecchio a Firenze sembri suggerire che la “La Battaglia di Anghiari” di Leonardo sia nascosta là dietro.

Si crede che il dipinto incompiuto, del 1503, sia una scena di un’immensa battaglia tre volte più grande de “L’Ultima Cena” di Leonardo.

Il professor Serancini ha già usato il radar e i raggi X per scoprire una cavità, dietro la parete, di circa un “inch”.

L’attuale affresco rappresenta “La Battaglia di Marciano nella Valdichiana” di Giorgio Vasari, un altro artista rinascimentale.

Il professor Serancini che è anche apparso ne “Il Codice Da Vinci” di Dan Brown come “un diagnostico italiano d’arte”, ha sviluppato la sua teoria dopo aver notato una scritta sul dipinto di Vasari che porta le parole “Cerca trova”.

Ha dichiarato, al quotidiano britannico Telegraph, di aver cercato i documenti per moltissimi anni e di non aver trovato ancora niente che suggerisca che il dipinto sia mai stato distrutto, danneggiato o rimosso; non c’è alcuna prova che spinga a pensare che non sia più là.

Venne considerato dai contemporanei di Leonardo il suo massimo capolavoro perché rappresentava le più alte acquisizioni nell’arte del suo tempo, il Rinascimento.

Al professor Serancini hanno dato il permesso di usare un proiettore di raggi neutroni per vedere se la parete nasconda pitture a base di olio di semi di lino che è noto che Leonardo usasse.

Marco Agnoletti, portavoce del sindaco di Firenze Matteo Renzi, ha dichiarato che per ora si vuole solo scoprire se il dipinto di Leonardo c’è oppure no; si potrebbe non trovare niente ma se invece ci fosse un’opera di Leonardo sarebbe di enorme importanza per il mondo intero.

Leonardo dipinse “La Battaglia di Anghiari” per festeggiare la proclamazione di Firenze come repubblica in seguito alla caduta della famiglia dei Medici.

Non la completò e quando i Medici tornarono al potere, nel 1560 circa, si ritiene che venisse commissionata al Vasari la creazione di una nuova opera nello stesso luogo.

Thanks to Sara Nelson – Daily Mail