“Terra caliente”


di Tiziana Mignosa

Scorre nelle vene

il desiderio

si mescola al sangue

in questa  terra arsa

di passione e tormento.

Negli assolati intrecci

d’afa e di cicale

dorati granelli

trasporta il vento

sulle tempestose spiagge

delle segrete del cuore.

Cocenti i ruderi

di miti e d’utopie

sulla sensuale terra

degli infuocati tramonti

in riva al mare.

Zagara e salsedine

tra i capelli

leggende sussurrate

sulla pelle

che d’azzurro e di sole

invadono gli occhi.

Svogliati i meriggi

di variopinti frutti

linfa succosa

gocciola lenta

tra le dita.

Cala il silenzio

sul grano bruciato

quando la cicala intona

la solitaria nenia

alla malinconia del cuore.

“Cunta ca ti cuntu”, ultimo appuntamento con le fiabe siciliane a Catania


Terzo e conclusivo appuntamento con “”Cunta ca ti cuntu”, la trilogia di fiabe popolari siciliane promossa dalla Biblioteca regionale con la collaborazione del Teatro Stabile di Catania e il contributo della Facoltà di Lettere e Filosofia. La rassegna s’inserisce nell’ambito dei “Lunedì in biblioteca” e vuole approfondire leggende e racconti della tradizione isolana, racconti e favole che stigmatizzano, e al contempo esorcizzano, le conseguenze di atti e pulsioni che spesso attengono alla zona oscura e inconfessabile dell’animo umano.

Dopo il cunto di “”Bettapilusa”, incentrato sul tema dell’incesto, e “”La pinna di hu”, che narra di un fratello assassinio per gelosia e avidità, è ora la volta di un antichissimo e celeberrimo mito isolano, Colapesce, l’eroe anfibio che dagli abissi regge la Trinacria e che andrà in scema lunedì 22 febbraio alle ore 18 nel salone di lettura della Biblioteca regionale che ha sede in Piazza Università a Catania.

Come nei precedenti appuntamenti Ezio Donato mette a frutto la sua ricerca dedicata alla letteratura favolistica e spesso sfociata in efficaci riduzioni teatrali. Suoi il testo e la regia mentre le musiche sono di Carlo Insolia, all’organetto Valerio Cairone. In scena un’attrice di chiara fama come Mariella Lo Giudice; a farle corona gli allievi della Scuola d’arte drammatica del Teatro Stabile di Catania intitolata al grande Umberto Spadaro.

         “Colapisci era uno mezzu omu e mezzu pisci”. Con queste semplici e scarne parole, che descrivono la straordinaria qualità anfibia di un essere sorprendente, hanno inizio quasi tutte le versioni popolari. Agli inizi del ‘9OO, Giuseppe Pitrè, negli “Studi di leggende popolari in Sicilia”, ricostruisce la natura, l’origine e l’evoluzione della leggenda collocandola fra le ultime forme di mitologia in Sicilia. Non v’è dubbio, infatti, che il mitico eroe discenda, attraverso la tradizione popolare (più di 40 versioni) e letteraria (50 autori dal Medioevo a oggi; fra i classici non italiani della letteratura, Cervantes e Schiller), dalla mitologia di Poseidone, dei Tritoni e di tutti gli altri semidei abitanti del mare fra lo Jonio e lo stretto di Messina. Ma, soprattutto, Glauco, innamorato non corrisposto di Scilla, è il suo antenato più diretto, e come Colapesce condannato per disgrazia, da bambino, alla metamorfosi che lo manterrà per sempre mezzo uomo e mezzo pesce.

         In una città imprecisata sul mare della costa orientale della Sicilia, Catania o Messina, un bambino di nome Cola, mentre gioca sulla riva, subisce la “mutazione” a causa dell’imprecazione della madre, stanca di richiamarlo fuori dall’acqua come ogni giorno. “Chi putissi addivintari un pisci!”: giusto in quel momento passa l’angelo e le parole della madre si traducono in realtà. Il bambino, con la parte inferiore del corpo trasformata in pesce, si tuffa in acqua e scompare.        Rinato come Colapesce, diviene il re del mare, padrone di tutti i tesori sottomarini, amico e protettore dei naviganti fino a quando un giorno viene sfidato a calarsi negli abissi dello stretto di Messina dal re Federico II, o più probabilmente Ruggero d’Altavilla, geloso del potere e della fama che Cola si era conquistati fra la gente del mare.

         A questo punto la tradizione popolare, come quella letteraria, forniscono diverse versioni. In Sicilia, come si sa, Colapesce, per rispettare l’autorità del re, soccombe negli abissi marini bruciato dal fuoco sotterraneo dell’Etna oppure non muore ma si sacrifica per reggere periodicamente, ma in eterno, una delle tre colonne, quella più malferma, sulle quali poggia la Trinacria. Colapesce diventa così l’eroe popolare della Sicilia e il suo racconto corre in tutta l’isola.

Parte la trilogia promossa dalla Biblioteca regionale in sinergia con Teatro Stabile e Università di Catania


I lunedì in biblioteca: “Cunta ca ti cuntu. Fiabe, miti e leggende del popolo siciliano in scena” – Primo appuntamento: “Bettapilusa”, lunedì 8 febbraio, ore 18, Biblioteca regionale di Piazza Università a Catania.

 Racconti dalle radici antichissime, ancestrali, profonde; favole da riscoprire, comprendere, metabolizzare. Muove da qui il ciclo “I lunedì in biblioteca: Cunta ca ti cuntu. Fiabe, miti e leggende del popolo siciliano in scena, innovativa rassegna promossa dalla Biblioteca regionale con il fondamentale apporto del Teatro Stabile e la consulenza scientifica della Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università.

Nel salone di lettura della Biblioteca regionale di Piazza Università, la trilogia proposta prenderà il via l’8 febbraio alle ore 18, con “Bettapilusa”” (“Pelle d’asino”), inquietante storia di un incesto.

Nei successivi appuntamenti, con cadenza settimanale, saranno rappresentati “La pinna di hu”” (L’osso che canta”, 15 febbraio), triste vicenda di un fratello che per gelosia uccide la sorellina, e ”Colapisci”” (Colapesce”, 22 febbraio), leggenda dell’uomo anfibio che si sacrifica per salvare la Trinacria.

La realizzazione scenica è affidata ad interpreti ed allestitori di spicco. Adattamenti e regia sono di Ezio Donato, uomo di teatro e docente di Pedagogia presso l’ateneo catanese. I movimenti coreografici sono di Donatella Capraro, le musiche di Carlo Insolia, i costumi di Giuseppe Andolfo. Si alterneranno nei ruoli Mariella Lo Giudice, Marco Longo, Ileana Rigano, affiancati dagli allievi della Scuola d’arte drammatica dello Stabile, intitolata a Umberto Spadaro.

Il progetto, condiviso con lo Stabile e la Facoltà di Lettere, conferma la moderna immagine della Biblioteca regionale, propositiva di iniziative fuori dalle righe, che si impongono nella vita dell’intera città. Azione condotta nell’ottica di biblioteca pubblica come territorio aperto a gruppi e associazioni, centro di riflessione e condivisione dei saperi, nodo centrale di una rete con altre istituzioni culturali. L’istituzione, presente nel territorio da oltre 250 anni, con la nuova rassegna promuove in particolare la cultura popolare siciliana, in sintonia con le finalità istituzionali dell’Assessorato regionale beni culturali e dell’identità siciliana, di cui è struttura periferica. E ancora una volta il salone di lettura, per l’occasione trasformato in confortevole auditorium, assumerà una connotazione oramai familiare a chi da tempo segue le proposte musicali, le letture di autori contemporanei e gli accattivanti eventi culturali proposti ad un pubblico quanto più vasto ed eterogeneo.

La fiaba, o “u cuntu”, “Bettapilusa” – adattamento per la scena firmato da Donato e Pina Merdorla, con i citati Marco Longo e Ileana Rigano – riprende il racconto popolare siciliano trascritto da Giuseppe Pitrè nel 1874, ma ancora oggi vivo nella tradizione orale della nostra isola. Una storia raccontata fin dal medioevo e si era diffusa in tutta Europa a partire probabilmente dalla Sicilia per i suoi collegamenti fiabistici con il Medio Oriente. La ritroviamo poi, adattata in forma letteraria, ne “Le piacevoli notti” (1550) di Straparola, nel “Pentamerone” (1634) di Basile, nei “Racconti” (1695) di Perrault, e nelle “Fiabe del focolare” (1812) dei Grimm.

Le versioni siciliane e mediterranee sono comunque le più antiche. Tutte mettono in gioco una trama angosciante: una ragazzina, che nasconde la sua bellezza luminosa sotto una sudicia pelle d’asino, scappa da casa per sfuggire all’attaccamento incestuoso del padre. Pur rimanendo gli elementi perturbanti del racconto, la fiaba lo elabora con l’intenzione di produrre nell’ascoltatore una catarsi, una specie di antiveleno in grado di mettere in guardia dalle tremende violenze che si possono perpetrare fra le mura domestiche, anche all’interno della stessa famiglia.