Mondiali: apoteosi Mandela, un sorriso per salutare il mondo


n quel sorriso c’e’ l’orgoglio di tutto il Sudafrica, c’è l’orgoglio di un continente intero che adesso è un po’ più  convinto di potercela fare anche con le proprie forze. Nelson Mandela ha rivolto un sorriso felice agli 80mila del Soccer City stadium di Johannesburg e, attraverso loro, a tutto il mondo.

Il calcio stavolta c’entra fino a un certo punto: il sorriso e il saluto di un uomo di 92 anni, vissuti in maniera talmente intensa che di vite non ne basterebbero tre o quattro per contenere tutto quello che è successo nella sua, rimarranno forse l’immagine più rappresentativa di un mondiale che il Sudafrica ha voluto e ottenuto contro le perplessità  del resto del mondo e che con qualche inevitabile sbavatura ha dimostrato di saper organizzare, di poter stare al pari con i paesi più sviluppati (senza pretendere di nascondere problemi e contraddizioni) e di svolgere un ruolo da leader per un continente.

La presenza di Mandela alla finale è stato l’argomento più dibattuto delle ore di attesa, per tutto il giorno si sono rincorse voci, finché i suoi nipoti non hanno lasciato filtrare una speranza. Le sue condizioni di salute lo hanno infatti tenuto spesso ai margini delle iniziative del mondiale e la serata fredda non poteva certo consentire ad un uomo della sua eta’ di stare per un paio d’ore seduto in tribuna ad assistere alla finale. Ma al termine della colorata e spettacolare cerimonia di chiusura segnata dalla musica di Shakira, dai fuochi artificiali e da divertenti giochi di luci e proiezioni, la presenza di Mandela si è cominciata come ad avvertire. Finché  non è  comparso, su un’auto elettrica, avvolto da un cappotto e un colbacco, accanto alla moglie Graca Machel, per un breve giro di campo, durante il quale tutto lo stadio e’ saltato in piedi.

Cinque minuti intensi, semplici e toccanti. Non gli sono servite parole per manifestare al suo popolo, che lo ha acclamato con le vuvuzela e con il coro ‘Madiba Madiba’, e al mondo che lo stava guardando in tv la sua gratitudine per la fiducia concessa al suo paese. E per ottenere in cambio altrettanta gratitudine e affetto.

Gli è bastato salutare, gli è bastato sorridere. Per raccontare solo con gli occhi una vita senza nessun rimpianto. Una vita vissuta per un sogno, un lungo cammino per realizzarlo che lo ha fatto essere un latitante, lo ha fatto stare per 27 anni rinchiuso in una minuscola cella, prima di diventare presidente del suo paese. Gli è bastato rivolgere uno sguardo semplice e grato a quel pubblico sconfinato per salutare un popolo che lo ama alla follia e un pianeta intero che lo riconosce come un simbolo mondiale per l’affermazione dei diritti e di speranza per un mondo migliore. Quel breve giro di campo al Soccer City, con gli occhi lucidi per l’emozione, gli è servito per dire che il lungo cammino per la libertà  non è ancora finito e probabilmente non finira’ mai. Ma varrà sempre la pena percorrerlo.

da http://www.blitzquotidiano.it

world cup. Un’italiana in finale


di Lorenzo Alvaro

L’associazione “Altro Pallone” approderà a Johannesburg in occasione della finale, dopo aver toccato le principali capitali africane Prima gli azzurri eliminati, poi Capello stracciato dall’armata tedesca per finire con l’arbitro Rosetti che, con i suoi collaboratori, convalida un goal argentino palesemente in fuori gioco. Sembra proprio un mondiale stregato per i colori italiani quello Sudafricano. Ma un po’ di azzurro ci sarà il giorno della finale a Johannesburg. La onlus “Altro Pallone” infatti, che da sempre si batte per uno sport equo, solidale e popolare, si sta dirigendo alla volta della coppa della mondo. Il viaggio è reso possibile grazie al sostegno di GUNA Spa, Azienda leader in Italia nella distribuzione e produzione di farmaci omeopatici. A bordo di un “Matatu”, il tipico pullmino africano, uno staff di volontari italiani e keniani è partito da Nairobi per raggiungere Johannesburg giusto in tempo per la finale dei Campionati del Mondo di Calcio 2010. Lungo il percorso il matatu toccherà le principali capitali dell’Africa orientale dove lo staff, attrezzato con tutto il necessario (porte da calcetto montabili, reti da calcio, palloni, tira righe, divise), si cimenterà nell’organizzazione di partite di calcio di strada nelle più disagiate e pericolose periferie africane, promuovendo il gioco del pallone come vettore di coesione sociale.

da www.vita.it