Ancora un grave episodio di omofobia


di Daniela Domenici

Questa lettera mi è arrivata da una coppia gay siciliana, ve la sottopongo così come me l’hanno scritta Claudio e Daniele, i due protagonisti vittime in vari modi di violenza omofoba sia da privati che dalle istituzioni. Vi prego di dedicare 5 minuti della vostra cortese attenzione alle parole di questi due ragazzi siciliani.

Gentilissima sig.ra Domenici,

siamo una coppia gay e vorremmo raccontarti i fatti avvenuti a partire dal 22 febbraio 2009:

in tale data siamo stati aggrediti in primo luogo in un bar di Montevago in provincia di Agrigento (località vicina a Santa Margherita) e successivamente siamo stati attaccati nel cuore della notte a casa mia, in campagna.

L’aggressione è successa perché io, Giuseppe Claudio Indelicato, cercavo di difendere mia nipote in vacanza da me dagli attacchi di un ragazzo in evidente stato confusionale dovuto probabilmente ad alcool o a droga che mi aggredì colpendomi al capo con un bastone di plastica (era la sera di carnevale) e successivamente si riavvicinò a noi e sferrò un pugno al mio compagno, Daniele Mattioli, rompendogli  un labbro.

Una pattuglia di Carabinieri intervenne, ci chiese cosa era successo, ci suggerì di presentarci  la mattina successiva in caserma per una querela,  calmò il ragazzo e credevamo che la faccenda fosse chiusa e tornammo a casa accompagnati da due amici.

A casa eravamo io,  il mio compagno, mia nipote e un suo amico che cercava di consolarla per l’accaduto  dopo di che ci siamo messi a letto.

Verso le 3 del mattino un caos furioso ci svegliò: ci alzammo nel panico sentendo le grida di mia nipote, ci sembrava un terremoto, erano tre ragazzi di Montevago, tra cui il molestatore di mia nipote, che avendo strappato dei grossi rami da un albero picchiavano contro la porta metallica del garage e, salendo al piano superiore tramite la scala che si trova all’esterno, continuarono a picchiare contro la porta di casa sfondando i vetri e danneggiando la serratura, contro le finestre, i muri e urlando come degli ossessi.

Ci precipitammo in cucina e vidi mia nipote e il suo amico fuori nel terrazzo oltre la grata che gridavano ai tre dicendo di andarsene; io spaventato per lei le chiedevo di rientrare, intanto i tre gridavano che volevano parlarmi ma con fare minaccioso e spingendo mia nipote scomparirono dalla mia vista al che io, aprendo totalmente la grata, mi precipitai fuori  trascinandomi una sedia di legno e, affacciandomi alle scale, vidi mia nipote che continuava a cacciare via gli aggressori; scendendo le scale due continuavano a inveire verso di me e un altro parlava con l’amico di mia nipote che credo cercasse di persuadere. Intanto io suggerivo al mio compagno di chiamare i carabinieri ma avevo messo i telefoni sottocarica e lui non riusciva a trovarli, intanto mia nipote risaliva in casa a prendere il suo telefono e chiamare.

I TRE CONTINUAVANO A MINACCIARMI ED IO, RISALENDO LE SCALE, A UN TRATTO HO SENTITO UN FORTE DOLORE ALLA TESTA E SONO CADUTO PER TERRA: UNO DEI TRE MI AVEVA COLPITO CON LA SEDIA CHE IO STESSO AVEVO PORTATO FUORI. MI RITROVAI CON UNA GROSSA FERITA VICINO ALLA TEMPIA, IL NASO E IL LABBRO INFERIORE SPACCATI.

Intanto il mio compagno e mia nipote telefonavano ai carabinieri, saranno state fatte circa 14 chiamate al 112 ma dall’altro capo dicevano che non avevano personale libero in zona e di stare tranquilli che non ci sarebbe successo nulla.

I tre, ancora fuori, continuavano ad inveire nei miei confronti gridandomi anche GAY DI MERDA TI TAGLIEREMO LA GOLA, TI ROVINO, SEI MORTO FROCIO.  Scappando via lasciarono i rami nei pressi di casa e nel  vialetto.

Fortunatamente arrivò un’ambulanza, inviata dai carabinieri stessi, che ci portò al pronto soccorso me e e il mio compagno, ci medicarono e suturarono le ferite subite e ci diedero 7 giorni di prognosi. Tornando a casa, gli aggressori, non contenti, si ripresentarono e fermandosi con le auto infondo al viale ci gridavano contro, io continuavo a chiamare i carabinieri ma le risposte erano sempre le stesse.

La mattina successiva ci presentammo in caserma a Montevago per depositare la denuncia ma il maresciallo ci disse di passare il mattino dopo perché era domenica e non poteva fare niente.

Di nuovo rientrati in casa circa un’ora e mezza dopo lo stesso maresciallo ci richiama chiedendoci di ripresentarci in caserma dove noi andammo immediatamente, fu qui che la situazione, già tragica di partenza e che ci aveva creato panico e angoscia, ci procurò dello sconcerto: il maresciallo ci disse che non eravamo in diritto di fare niente perché i tre ragazzi erano di buona famiglia e noi eravamo figli di nessuno (giusto perché i miei genitori sono deceduti da tempo), ci chiese svariate volte se avevamo mai avuto a che fare con la polizia giudiziaria perché lui lo avrebbe scoperto. Insomma ci fece capire che lui non avrebbe fatto niente (e intanto i tre erano nella stanza accanto). Allora noi il mattino successivo andammo dai carabinieri di Santa Margherita di Belìce dove riuscimmo a presentare la querela/denuncia.

Poco tempo dopo, il 3 aprile, ricevemmo 2 telefonate anonime che mi dicevano: “DISGRAZIATO HAI ROVINATO MIO FIGLIO, SO DOVE ABITI, CONOSCO I TUOI MOVIMENTI, TI AMMAZZO” e anche per queste sporgemmo una denuncia.

I fatti che si produssero in seguito, nei mesi successivi,  hanno l’aria di una follia totale: appostamenti con le auto nei pressi di casa mia (ricordo che vivo in campagna e che non ho un mezzo proprio), misero in giro la voce che io avevo molestato il fratello minore (gay represso) di uno dei tre, che ero pedofilo, etc. etc.

Intanto il paesino bigotto inizia ad odiarmi perché crede a queste voci, abbiamo smesso di uscire per circa un anno per paura di essere nuovamente picchiati. I miei parenti si vergognano di me: quelli che hanno bambini, quando mi vedono si girano e si tengono stretti il loro pargoli.

Nel mese di luglio 13 carabinieri con 2 unità cinofile si sono presentati a casa per una perquisizione; il mio compagno Daniele Mattioli  ha un cancro al cervello e si è trasferito in campagna per ragioni terapeutiche, lo stress gli è vietato, un medico francese dal quale era curato gli consigliò, per calmare i forti dolori alla testa, di coltivare un po’ di marijuana, cosa che aveva cominciato a fare, infatti aveva due vasettini tra i nostri fiori sul balcone piantati due mesi prima.

Ovviamente i carabinieri sequestrarono le piante, gli sequestrarono la sciabola da ufficiale del servizio militare e avremo un processo domani 24 settembre di quest’anno con l’accusa di spaccio e tossicodipendenza e possesso di armi bianche.

Immediatamente dopo questa visita vengo licenziato dal mio lavoro e ci ritroviamo in una situazione di merda anche perché il mio compagno non può lavorare (ha ottenuto la pensione di invalidità l’aprile scorso: 267euro al mese con il quale dobbiamo vivere in due).

Alla fine il nostro avvocato ci ha detto che,  a parte il fatto che le indagini sono state chiuse senza che noi abbiamo mai visto alcun indagatore che venisse ad accertare i danni o vedere i rami con cui picchiavano, il PM aveva messo la causa in archiviazione e noi abbiamo fatto, tramite lei, opposizione.

Cordialmente

G. Claudio Indelicato e Daniele Mattioli

Santa Margherita di Belìce, 23 settembre 2010

Dal carcere di Spoleto: la carta straccia della Costituzione in carcere


di Carmelo Musumeci

La carta straccia della Costituzione in carcere

 “La California svuota le carceri. Costano troppo, meglio liberi. Progetto rivoluzionario.|

(Fonte: Liberazione giovedì 25 marzo 2010)

 Nel Corriere della sera di giovedì 25 marzo 2010 leggo che il Presidente delle Repubblica Napolitano, riguardo alla nostra Carta Costituzionale, dichiara:

“La Carta si onora rispettando le Istituzioni.”

Signor Presidente,  non sono d’accordo.

Non credo che la nostra Costituzione si rispetti solo onorando le Istituzioni quando le stesse Istituzioni non la rispettano.

La Costituzione Italiana si onora solo quando si applica ai cittadini, a tutti, anche a quelli cattivi che sono in carcere a scontare una pena.

Signor Presidente,  mi permetta di ricordare che il dettato costituzionale assegna alla pena una funzione rieducativa e non vendicativa.

Invece in Italia il carcere trasforma i suoi abitanti in mostri perché fra queste mura non esiste la Costituzione.

Signor Presidente,  a parte le responsabilità istituzionali esistono quelle morali e intellettuali.

La esorto, guardi cosa sta accadendo dentro le carceri italiane .

Esiste ormai una rassegnazione d’illegalità diffusa, spesso incolpevole, sia per chi ci lavora,  sia per chi ci vive.

La legalità prima di pretenderla va offerta.

Invece in carcere ci sono uomini accatastati uno accanto all’altro, uno sopra l’altro.

Detenuti che si tolgono la vita per non impazzire.

Ci sono uomini murati vivi sottoposti al regime del 41 bis che non possono vedere neppure la luna e le stelle dalle loro finestre.

Ci sono uomini condannati all’ergastolo ostativo, una pena interminabile che può finire solo quando muori o quando trovi un altro da mettere in cella al posto tuo.

Signor Presidente,  come fa il carcere e rieducare se sei sbattuto come uno straccio da un carcere all’altro?

Lontano da casa, chiuso in una gabbia come in un canile,  privato degli affetti, da una carezza e di perdono?

Signor Presidente,  ci dia una mano a educare le Istituzioni e a portare la legalità e la Costituzione in carcere.

Non siamo solo carne viva immagazzinata in una cella, siamo anche qualche cos’altro.

Dietro i nostri reati e le nostre colpe ci sono ancora delle persone.

Le ricordo che il rimpianto Presidente della Repubblica Italiana, Sandro Pertini, che in galera passò lunghi anni, diceva spesso:

-Ricordatevi, quando avete a che fare con un detenuto, che molte volte avete davanti una persona migliore di quanto non lo siete voi.

 

Finalmente i media si sono accorti che esiste la violenza istituzionale


di Patrizio Gonella, presidente di Antigone

violenza di statoFinalmente i media si sono accorti che esiste la violenza istituzionale, che si può morire di botte in prigione, che la tortura non riguarda il terzo mondo. Le forze politiche ancora balbettano. Un modo elegante per uscire dal silenzio sarebbe l’approvazione di una piccola legge, quella che introduce il crimine di tortura nel codice penale. L’Italia nel lontano 1987 ha ratificato la Convenzione delle Nazioni Unite contro la tortura ma oggi rispetto a essa è ancora inadempiente. Nei seguenti paesi europei la tortura è un delitto specifico: Austria, Belgio, Danimarca, Estonia, Francia, Germania, Islanda, Lettonia, Lussemburgo, Macedonia, Paesi Bassi, Polonia, Portogallo, Regno Unito, Slovenia, Slovacchia, Spagna, Svezia, Svizzera, Turchia, Ungheria. In Italia la tortura invece non è reato. Vi sono vari disegni di legge pendenti. I senatori radicali Poretti e Perduca tentarono un coraggioso colpo di mano mentre si discuteva il pacchetto sicurezza. L’emendamento che avrebbe introdotto il crimine di tortura fu bocciato per soli cinque voti. Non sappiamo chi allora votò contro perché il voto era segreto. La proposta di legge sulla tortura va approvata senza farsi condizionare dai sindacati di polizia e dalle forze dell’ordine. Di fronte agli episodi gravissimi di questi ultimi giorni appaiono non comprensibili tanto meno condivisibili le giustificazioni, le difese di corpo, le rimostranze sindacali sul numero scarso di poliziotti al lavoro nelle carceri. Non regge l’assioma secondo cui poiché i poliziotti sono pochi, di conseguenza sono stressati e quindi…. Riteniamo che la questione non sia quella di aumentare l’organico di polizia bensì di razionalizzarne la dislocazione. Nell’Europa dei 27 l’Italia ha raggiunto il ragguardevole risultato di essere tra i paesi con il numero più alto di poliziotti penitenziari in termini assoluti e relativi. Se si considera l’attuale numero di detenuti – 65 mila circa – in Italia abbiamo un poliziotto penitenziario ogni 1,54 detenuti. La media europea è di 2,94. Sono 42.268 i poliziotti penitenziari in organico. 39.482 sono i poliziotti che lavorano effettivamente per l’amministrazione penitenziaria al netto di distacchi e assenze di vario tipo. Tra le situazioni regionali di maggiore disagio vanno segnalate quelle del Piemonte, Veneto, Emilia Romagna e Sardegna. Posto che circa 1500/1800 agenti svolgono compiti anche di natura contabile, che circa 700 agenti lavorano negli spacci, che circa 4/5000 uomini sono giornalmente impegnati nei servizi di traduzione e piantonamento dei detenuti fuori dalle strutture penitenziarie, che circa 500 agenti lavorano al Ministero della Giustizia, che circa 1600 agenti lavorano al Dap, che varie migliaia sono impegnate nei Provveditorati regionali, nelle Scuole di formazione, agli U.E.P.E., al GOM – Gruppo Operativo Mobile-, al N.I.C. – Nucleo Centrale Investigazioni, all’U.S.P.E.V. Ufficio per la Sicurezza del Personale e della Vigilanza, al Servizio Centrale delle Traduzioni e Piantonamenti, con annessa la sezione relativa al Servizio Polizia Stradale, fuori dall’Amministrazione penitenziaria (Corte dei Conti, Presidenza Consiglio dei Ministri, C.S.M., ministeri diversi) ne restano a spanne 16 mila che si sobbarcano il lavoro atto a garantire la sicurezza complessiva nelle carceri. Per un sud che non ha carenze di organico – anzi –  vi è un nord dove la situazione è drammatica (a Padova nuovo complesso mancano 78 unità, a Tolmezzo 38, a Torino 187, a Brescia 155). Si tratta di eredità del passato difficili da gestire ma che non giustificano lamentele. Soprattutto non giustificano comportamenti illegali. Vorremmo che fossero gli stessi sindacati di polizia a chiedere che la legge penale italiana persegua la tortura e i torturatori. Solo così le loro rimostranze saranno credibili. 
  da www.innocentievasioni.net