di Loretta Dalola
http://lorettadalola.wordpress.com/2010/06/02/matrix-punta-il-dito-sul-blitz-israeliano/
di Loretta Dalola
Il conflitto che contrappone Israele e la Palestina è entrato a far parte della quotidianità della persone, permeando ogni aspetto della vita sociale: occupazioni militari, minacce alla salute, mancanza di prospettive reali di pace e di sviluppo economico, hanno cancellato ogni parvenza di vita normale per la popolazione di Gaza, in particolare per i bambini, per i quali la scuola, il gioco, la cura, sono attività da conquistare ogni giorno.
è un’associazione onlus, opera nella cooperazione d’aiuto in ambito educativo e sociale per promuovere il rispetto dei diritti umani con particolare riferimento ai diritti dei bambini e delle bambine, dei disabili e delle minoranze; e promuovere altresì la conoscenza e l’applicazione delle convenzioni internazionali in materia. Educaid opera a Gaza dal 2002 in diversi settori e, a partire dal 2008, gestisce un progetto socio-educativo a favore della tutela dell’infanzia, dell’educazione e del benessere dei bambini della Striscia di Gaza.
Sono stati anche realizzati interventi educativi all’interno delle scuole elementari governative, degli asili e delle associazioni di Gaza attraverso l’equipe di educatori che opera da anni per mezzo del Ludobus (unità educativa mobile in grado di adeguarsi e di mettere in campo un’ampia varietà di attività).
La Cooperativa sociale onlus Tanaliberatutti di Riccione da anni si caratterizza per la capacità di collaborare alla progettualità di diversa natura , fornendo l’esperienza maturata negli anni nel settore ludico educativo, attraverso attività rivolte all’infanzia e all’adolescenza, utilizzando una metodologia che pone in primo piano il gioco. Il Ludobus in Palestina adotta un approccio e
ducativo che si fonda sul gioco come strumento della comunicazione, dell’incontro e dell’immaginazione per i bambini.
Uno strumento che possa far loro superare le vessazioni quotidiane verso orizzonti almeno mentali di libertà dal conflitto, di libertà dalle violenze fisiche e culturali che vengono loro inflitte.
Attualmente sul territorio è presente un educatore che conosco da anni e che ha dedicato la sua professionalità nel settore educativo proprio nei territori del conflitto.
Adriano si è anche sempre impegnato nella diffusione dell’informazione non filtrata, inviandoci per mail una sorta di diario personale fatto di impressioni e riflessioni. Ora sta utilizzando anche il Blog: IL GRANDE GIOCO . Così venne chiamato a metà ottocento il conflitto strisciante tra le grandi potenze per il controllo del Medio Oriente e dell’Asia centrale. gli equilibri geopolitici sono cambiati, le materie prime sono altre, ma l’Afghanistan continua ad essere fondamentale. Il Grande Gioco continua.
Il “mio” progetto socio educativo, finanziato lautamente dal nostro ministero degli esteri, ha passato la fase burocratica spettante alle istituzioni italiane ma è ancora bloccato. In questo momento, opera direttamente su Kabu.
ciao a tutti,
stamani c’è stato un attacco ad una colonna delle forze NATO a kabul, 19 morti. ieri i 2 caduti italiani a Baghdis (non Herat). Cordoglio alle famiglie delle vittime, italiane, americane e di tutte le altre nazionalità. Purtroppo quest’anno ha visto anche il maggiore numero di vittime civili tra la popolazione afgana. Così mi ritrovo a stare chiuso in casa, non che ci siano particolari rischi, però l’ufficio della cooperazione ci ha “consigliato” di evitare movimenti. Era prevedibile che succedesse qualcosa, l’estate è cominciata e le forze insurrezionali hanno lanciato la campagna estiva. Speriamo che la peace Jirga (la riunione di tutti i rappresentanti della popolazione afgana) presieduta da Karzai che si terrà il 29 maggio, possa portare ad una pacificazione con conseguente reintegro nella società dei combattenti insurrezionali. Che spesso si arruolano solo per avere uno stipendio.
Mi chiedo perchè dopo 9 anni ci sia ancora bisogno di un così gran numero di forze straniere per la sicurezza…
Passando alle cose belle: ieri il Ministero dell’economia afgano ha approvato il progetto. finalmente! Dopo 2 mesi passati a contrattare con loro ed il ministero degli affari sociali, scrivere e riscrivere progetto e budget, era ora!
Così ora si comincia sul serio! Alla fine il progetto riguarderà 250 minori e 50 donne capofamiglia. Ai bambini si offrirà un corso di reinserimento scolastico, ai ragazzi ed alle mamme un corso di formazione professionale e avviamento al lavoro. E dovrebbe partire anche un ludobus che raggiungerà i villaggi della zona per promuovere attività ludico-educative e raggiungere così tanti altri bambini.
Farò tante foto così vedrete anche voi come sono belli i villaggi e chi ci vive.
EducAid – via Vezia, 2 [47921] Rimini Tel. 0541-28022 mail: info@educaid.it http://www.educaid.it/dove.html
Cooperativa Tanaliberatutti – via Bergamo nr. 2 – 47838 Riccione – www.tanaliberatutti.it
di Loretta Dalola
Le vere vittime di qualsiasi conflitto sono proprio loro: i bambini che si svegliano urlando, con le lenzuola avvolte intorno alle gambe, o, terrorizzati, tremano sotto le coperte. Le notti dei bimbi palestinesi sono sconvolte dalla repressione israeliana, i loro sonni non sono disturbati da streghe e mostri, ma da elicotteri israeliani, mitragliatrici, soldati in assetto da guerra e carri armati.
La miseria causata dall’assedio israeliano ( e non entro nel merito di colpe o ragioni) e la morte spaventano i bambini dei Territori occupati, le cui notti sono terrorizzate dalle scene di violenza vissute durante il giorno, nel quotidiano confronto con le forze d’occupazione.
Sono bambini traumatizzati che devono controllare le loro paure, adottando tecniche di sopravvivenza, assistendo quotidianamente a scene di violenza, non sono psicologicamente rovinati, ma turbati e fortemente spaventati.
Ritengo che se non si corre prontamente ai ripari, questa situazione influenzera’ la societa’ palestinese di domani. La societa’ palestinese e’ come una pentola a pressione per i bambini, (futuri uomini del domani) che crescono con una intensa coscienza politica, dove la violenza è l’unica legge conosciuta che inevitabilmente influenza la loro crescita e il loro modo di affrontare la vita.
L’unico vero sogno che vorrei augurare loro è quello di essere come tutti gli altri bambini.
Le foto a lato sono del grande fotoreporter Steve McCurry
”L’uomo è un animale terribile. Ma forse, se così non fosse, non sarebbe sopravvissuto tanti anni”. Sono amare le considerazioni che Giorgio Albertazzi, uno dei massimi maestri della scena teatrale italiana, decide di condividere con AKI-ADNKRONOS INTERNATIONAL. Questa sera, al Teatro India di Roma, andrà in scena la prima dell’attualissimo e inquietante ‘La casa di Ramallah’. Una scrittura teatrale di Antonio Tarantino con la regia di Antonio Calenda che Albertazzi definisce un ”testo sconvolgente”, un ”testo che fa male”
Lui (che ammette: ”Non avevo intenzione di fare questo spettacolo, ma quando l’ho letto mi sono convinto”) ha un tono di voce affranto mentre tiene tra le mani il copione che lo vede nei panni del padre di una giovane kamikaze palestinese. ”Una bambina che i genitori vestono da sposa” e che ”accompagnano in treno fino al luogo in cui si farà esplodere”, lo stesso luogo ”dove hanno già perso altri quattro figli”. E dove ”parlando del passato, dei pomodori che coltivavano, della casa che non hanno più” non vedono che stanno portando a morire inutilmente la loro ultima figlia, ”ispezionata dal padre in ognuna delle parti più intime” per garantire la sua verginità con ”una descrizione degna di de Sade”, lo scrittore francese noto per la sua morbosità letteraria. Una figlia alla quale ”è stato tolto tutto, l’infanzia, l’amore, l’adolescenza”, così privata e violentata da arrivare a ”chiamare ‘amore’ il suo stupratore” abituale.
Persi in una guerra dove nessuno ha ragione, come recita il testo teatrale, ”perché israeliani e palestinesi dicono le stesse cose”, ritiene Albertazzi, e ”le religioni rappresentano la fonte maggiore di violenza”. Perché ”affermare che il nostro Dio è più grande del loro, il mio Dio è il più vero del tuo”, secondo il maestro ”provoca una catastrofe morale” che appare senza fine. Una visione rassegnata che sconcerta e che necessita una domanda su una possibile speranza. ”La speranza è che nel 2012 venga la fine del mondo – risponde provocatorio Albertazzi – Perché se la speranza è un barlume che assomiglia alla vita, con la fine del mondo si può bonificare quello che siamo”.
Un mondo violento, insiste Albertazzi, proiettato con la massima normalità dalle emittenti televisive. Il risultato è un ”fenomeno di aberrazione”, quando rientra nella normalità ”sentire che qualcuno si è fatto saltare in aria in un supermercato o che voleva farlo a Times Square”. Un ”meccanismo perverso” che non risparmia nessuno. Nemmeno chi è direttamente coinvolto nel conflitto israelo-palestinese. ”Tutti ne sono condizionati – dice Albertazzi -. I palestinesi sanno tutto di carri armati, checkpoints, elicotteri. E le persone vengono ridotte a macchine”, strumentalizzate da ”personalità corrotte”.
E’ il caso della giovane kamikaze de ‘La Casa di Ramallah’, ”una bambina che dovrebbe essere vergine, ma che viene violentata dai suoi”, ovvero dai palestinesi e non dal nemico israeliano. Una bambina ”ridotta a macchina”, imbottita di esplosivo per una causa non sua. ”Alla fine lei si pente – anticipa il maestro – prova a tornare indietro, ma ormai è troppo tardi ed esplode. Ma nel posto sbagliato”.
A questo punto, l’autore ha voluto che i ”miliardi di particelle” del corpo della giovane continuino a vivere e ”vagando, vedo tutto e di tutto posso dar conto – recita il testo – e cioè che Dio non esiste, che pace e guerra sono destinate a inseguirsi nel cerchio rovente del tempo, come s’inseguono amore e odio, salute e malattia, giorno e notte, sole e pioggia, padri e figli, noi e loro, la loro storia e la nostra: e nessuno ha ragione, completamente ragione, né completamente torto”
fonte Adnkronos
di Matteo Schianchi
A Tel Aviv sono in corso le riprese di un breve film totalmente ideato, girato e interpretato da persone cieche. È la storia di una ragazza nata cieca che si sente poco accettata dalla famiglia. Allora scappa. Incontra un ragazzo con il quale intraprende alcune gite in moto e sul mare. Un giorno, anche il ragazzo perde la vista a causa di una malattia.
L’idea del film è venuta alla direttrice di un centro di servizi per ciechi, dopo aver scoperto la passione di alcuni utenti per le videocamere e la loro competenza nel maneggiarle. La lavorazione è adattata alla disabilità del cast e probabilmente in alcune fasi interverranno persone vedenti.
Non conosciamo gli esiti finali del film, né se potremo vederlo, la trama è troppo scarna (e facilmente banalizzabile) per poter fare previsioni. Forse sarà un cattivo e inutile esperimento, forse un colpo di genio ben riuscito, forse un fenomeno commerciale, forse sarà completamente ignorato.
Di certo sarebbe interessante vederlo. Non perché fatto da disabili o per cedere a buoni sentimenti, ma con la speranza e il piacere di poter vedere un film diverso, nel suo modo di essere concepito, girato, realizzato, narrato.
La diversità, il guardare il mondo da un altro punto di vista, è interessante quando trova (cioè è messo nelle condizioni e riesce ad esprimersi) per creare e produrre altro, nell’arte e nella vita di tutti i giorni. Non quando cerca maldestramente e a fatica di rincorrere la normalità, per farsi accettare o per conformarcisida www.superabile.it
Quando varca i cancelli del campo Ferramonti di Tarsia è come se i suoi occhi iniziassero a guardare un vecchio film in bianco e nero. Le tragedie della shoah, i campi di sterminio nazisti e gli orrori della Seconda guerra mondiale. All’interno di questo grande film c’è un pezzo della vita di Dina Friedman Semadar, nata 66 anni fa nel campo d’internamento calabrese, è tornata martedì 26 gennaio per la prima volta nella struttura.
Dina Friedman Semadar è figlia di Ditta Friedman, originaria di Berlino, e di Free Noeman. Il padre fu internato nel campo di Ferramonti dopo il naufragio al largo delle coste italiane della nave sulla quale era imbarcato. Era il 1942 Ditta Friedman e Free Noeman si conobbero nel campo d’internamento e dopo due anni diedero alla luce Dina. Alla fine della guerra la famiglia lasciò l’Italia per tornare in Israele.
Oggi Dina, commossa tanto da non riuscire a parlare, entrata nel campo di Ferramonti, gira tra le baracche cercando di trovare qualche foto dei suoi genitori. Quello di Ferramonti di Tarsia, a una ventina di chilometri da Cosenza, è stato il più grande campo di internamento fascista in Italia. «Entrare a Ferramonti – ha detto – è stato come ritornare indietro nel tempo. E’ così forte l’emozione che sento come un nodo alla gola. Ho vissuto in questo campo da neonata e quindi non ho ricordi di quanto avveniva in questa struttura ma i colori che vedo e gli odori che sento ora mi ricordano i miei genitori ed i loro racconti dei momenti vissuti durante la guerra».
Dina, che è una pittrice, vive in una città a venti chilometri da Tel Aviv. «I miei genitori sono morti – ha aggiunto – ma custodisco ancora gelosamente i ricordi di mia madre che mi raccontava del periodo vissuto qui nel campo di Ferramonti. Mi raccontava delle atrocità della guerra ma allo stesso tempo aveva anche parole positive per tanti italiani che avevano aiutato lei e mio padre. Qui nel campo sto cercando trovare qualche traccia che mi possa aiutare a ricordarli durante la loro permanenza a Ferramonti».
Nel campo di Ferramonti nel periodo tra il 1940 ed il 1943 vi passarono circa 3.000 ebrei di nazionalità straniera. Da due anni una parte del campo è diventato un luogo del ricordo. Nella struttura, infatti, è stato realizzato un Museo Internazionale della Memoria dove sono raccolte oltre 100 fotografie che ricordano la vita di tutti i giorni e le attività del campo, pagine di giornali, testi e romanzi scritti da internati e una pagella scolastica di una bambina ebrea espulsa da una scuola italiana dell’epoca.
Stamani nel campo di Ferramonti sono state inaugurate tre baracche recentemente ristrutturate dal Comune di Tarsia che entreranno a far parte del Museo Internazionale della Memoria. Alla manifestazione ha partecipato il presidente della Fondazione Museo della Memoria Ferramonti di Tarsia, Francesco Panebianco, accompagnato da una delegazione della comunità ebraica.
i Modena City Ramblers e Francesco Guccini cantano “Auschwitz”