Suicida il detenuto numero 39 A quaranta facciamo una festa?


Un detenuto del carcere di Siracusa si è tolto la vita la notte scorsa, impiccandosi. L’ennesimo suicidio in cella è stato reso noto dal segretario generale della Uil Pa penitenziari Eugenio Sarno. La vittima, L.C., accusato di estorsione e rinchiuso nel reparto “isolati” della struttura, già la settimana scorsa aveva commesso atti di autolesionismo ingoiando lamette da barba. “Con grande disagio e rammarico – afferma Sarno – dobbiamo annunciare il 39/mo suicidio in cella di questo 2010. Ogni ulteriore commento a questa strage senza fine appare sinanche riduttivo di fronte alla portata della tragedia che si consuma ogni giorno dietro le sbarre delle nostre degradate e sudice galere”. Per il sindacalista della Uil “suicidi ed evasioni certificano il fallimento del sistema penitenziario sempre più abbandonato al proprio, ineluttabile, destino nell’indifferenza della politica, della società e della stampa. A questo punto il personale, allo stremo e prosciugato di tutte le residue energie psico-fisiche , nulla può opporre alle fughe. Siano esse dalle mura piuttosto che dalle vite”.

Ps. L’indifferenza è assordante davanti a trentanove vite spezzate. A quaranta festeggiamo?

da http://www.livesicilia.it

“Non mi riguarda” da “Il colore dei giorni di un ergastolano” di Sebastiano Milazzo dal carcere di Spoleto


Ricevuta, copiata e pubblicata

Non dite “Non mi riguarda”

Qualcuno deve pur sapere

La mia pazza storia.

Sapere del dolore subito

Ignorato, del dolore

Che non fa più rumore

Del crescere dell’erba.

Deve saperlo qualcuno.

O dovrò continuare

A urlarlo alla luna

Ai portoni chiusi

Agli alberi spogli?

Ci deve essere

Una sciatta baldracca

Uno stanco ubriaco

Un pio straccione

Che voglia ascoltare

A denti stretti

A pugni serrati.

Qualcuno

Che voglia urlare

E poi piangere da solo

Dentro il cerchio

Della sua ombra

Con gli occhi chini sul selciato

E rossi di vergogna.

Roma: gay picchiato sul bus tra l’indifferenza di tutti, scoppia la polemica


E’ stato preso per il collo, schiaffeggiato e poi insultato a bordo di un autobus notturno nella zona di Trastevere a Roma perchè gay. Il tutto tra l’indifferenza generale della gente. A fare le spese dell’ennesima aggressione omofoba nella capitale è stato Mattia, 22 anni, studente e volontario di Arcigay, che si trovava su un bus notturno tra sabato e domenica scorsi.

Sono stati in quattro ad aggredirlo, come racconta lui stesso, ricordando anche che prima di lui i quattro avevano aggredito un uomo di colore. Poi hanno preso di mira lui. “Ho provato a reagire ma sono stato costretto a scendere dal bus – dice Mattia – la cosa che mi ha colpito maggiormente è stata l’indifferenza degli altri passeggeri: nessuno di loro, pur assistendo alla scena, ha detto qualcosa o è intervenuto per fermarli. Io ero seduto e leggevo un libro, poi queste persone, dopo aver preso di mira l’uomo di colore, hanno iniziato a dirmi che facevo schifo perchè gay”.

Dura condanna dell’episodio è stata espressa dalle diverse associazioni omosessuali di Roma e dal sindaco Gianni Alemanno: “Quanto accaduto è un atto vile e da condannare con la massima fermezza. A nome mio e di tutta l’amministrazione voglio esprimere la mia vicinanza al ragazzo aggredito. Mi auguro che gli autori dell’aggressione vengano individuati al più presto e puniti come meritano”.

Ribadendo l’impegno della Provincia di Roma contro ogni discriminazione, il presidente Zingaretti ha sottolineato che “questo è l’ennesimo episodio che insulta tutta la nostra comunità”.

da www.blitzquotidiano.it

Carcere: avanti il prossimo…e siamo a 18


Nota di IxR: Il blog Metilparaben, in segno di protesta per le condizioni dei detenuti, pubblica, aggiornandola di volta in volta, la lista dei suicidi in carcere dal primo dell’anno. IxR si associa alla protesta.

La lista, nell’indifferenza generale, continua ad allungarsi. I detenuti italiani, sotto la responsabilità di uno stato ipocrita e irresponsabile che di fatto ha ripristinato la pena di morte, sono costretti a vivere in condizioni che definire indecenti sarebbe un eufemismo.
Senza troppi giri di parole, questo è  un paese incivile.
Pierpaolo Ciullo, 39 anni – 2 gennaio – carcere di Altamura, asfissia con gas;

  1. Celeste Frau, 62 anni – 4 gennaio – carcere Buoncammino di Cagliari, impiccagione;
  2. Antonio Tammaro, 28 anni – 7 gennaio – carcere di Sulmona, impiccagione;
  3. Giacomo Attolini, 49 anni – 8 gennaio – carcere di Verona, impiccagione;
  4. Abellativ Sirage Eddine, 27 anni – 14 gennaio – carcere di Massa, impiccagione;
  5. Mohamed El Aboubj, 25 anni – 16 gennaio – carcere S. Vittore di Milano, asfissia con gas;
  6. Ivano Volpi, 29 anni – 20 gennaio – carcere di Spoleto, impiccagione;
  7. Cittadino tunisino, 27 anni – 22 febbraio – carcere di Brescia, impiccagione;
  8. Vincenzo Balsamo, 40 anni – 23 febbraio – carcere di Fermo, impiccagione;
  9. Walid Aloui, 27 anni – 23 febbraio – carcere di Padova, impiccagione;
  10. Rocco Nania, 42 anni – 24 febbraio – carcere di Vibo Valentia, impiccagione;
  11. Roberto Giuliani, 47 anni – 25 febbraio – carcere di Rebibbia (Roma), impiccagione;
  12. Giuseppe Sorrentino, 35 anni – 7 marzo – carcere di Padova, impiccagione;
  13. Angelo Russo, 31 anni – 10 marzo – carcere di Poggioreale a Napoli, impiccagione;
  14. Detenuto italiano, 47 anni – 27 marzo – carcere di Reggio Emilia, asfissia on gas;
  15. Romano Iaria, 54 anni – 3 aprile – carcere di Sulmona, impiccagione;
  16. Carmine B., 39 anni – 7 aprile – casa circondariale di Benevento, impiccagione;
  17. Detenuto italiano, 40anni – 11 aprile – casa circondariale si Santa Maria Capua Vetere, asfissia con gas.

    da www.metilparaben.it

“Misere mani”


di Angela Ragusa

Misere mani
tese sotto la pioggia
battono contro muri
cementati di indifferenza …

Segnate
come ogni ruga del volto
misere mani
offerte al bisogno
a cercare tesori
tra rifiuti e inutili scarti
sporche ,
lasciate a tremare
sotto una notte di gelo
mentre il resto del mondo
nasconde le proprie
in tasche vuote
tra spiccioli e viltà.

Carcere: avanti il prossimo (12)


Nota di IxR: Il blog Metilparaben ha deciso, come forma di protesta per la condizione delle carceri italiane, di tenere il conto dei suicidi dall’inizio dell’anno. IxR si associa.
Stavolta ci ha rimesso le penne una persona affetta da gravi problemi psichici, che probabilmente avrebbe dovuto essere in un posto diverso dal carcere: nell’indifferenza (quasi) generale, la strage silenziosa continua.
  1. Pierpaolo Ciullo, 39 anni – 2 gennaio – carcere di Altamura (BA), asfissia con gas;
  2. Celeste Frau, 62 anni – 4 gennaio – carcere Buoncammino di Cagliari, impiccagione;
  3. Antonio Tammaro, 28 anni – 7 gennaio – carcere di Sulmona (AQ), impiccagione;
  4. Giacomo Attolini, 49 anni – 8 gennaio – carcere di Verona, impiccagione;
  5. Abellativ Sirage Eddine, 27 anni – 14 gennaio – carcere di Massa, impiccagione;
  6. Mohamed El Aboubj, 25 anni – 16 gennaio – carcere S. Vittore di Milano, asfissia con gas;
  7. Ivano Volpi, 29 anni – 20 gennaio – carcere di Spoleto, impiccagione;
  8. Cittadino tunisino, 27 anni – 22 febbraio – carcere di Brescia, impiccagione;
  9. Vincenzo Balsamo, 40 anni – 23 febbraio – carcere di Fermo, impiccagione;
  10. Walid Aloui, 27 anni – 23 febbraio – carcere di Padova, impiccagione;
  11. Rocco Nania, 42 anni – 24 febbraio – carcere di Vibo Valentia, impiccagione;
  12. Roberto Giuliani, 47 anni – 25 febbraio – carcere di Rebibbia (Roma), impiccagione.Grazie a Valentina per la segnalazione.

    http://metilparaben.blogspot.com/2010/03/avanti-il-prossimo-12.html

Morire nell’indifferenza


di Il Giomba

Un’altra triste storia di indifferenza ci giunge da Ferrara: Sahid ha pregato decine di persone di aiutarlo, all’uscita dalla discoteca, inginocchiandosi e implorando un aiuto. Ma è morto nell’indifferenza totale.

Una storia che lascia sgomenti, che pone forti interrogativi e dubbi sulla xenofobia di molti, impauriti dagli stranieri, forse anche per tutte le notizie che spesso i media raccontano, dipingendo gli stranieri come persone di cui non ci si può fidare.

Sahid è morto di freddo: all’uscita della discoteca ha accusato un malore, ha pregato tanti di aiutarlo ma nessuno si è fermato per dargli una mano. Ha camminato per qualche kilometro, è caduto in un canale e, esanime, ha chiesto aiuto ai passanti, senza che nessuno si fermasse. Il triste epilogo lo immaginate da voi…

Un’altra storia di morte tra l’indifferenza: tutti dobbiamo interrogarci su quanto accade. Non basta la scusa del “sì, ma la TV dice che…” per giustificare la morte di un’essere umano. Non importa se straniero o italiano: è un figlio di Dio e l’indifferenza è una grave e preoccupante piaga che lascia senza parole.

Di certo, la morte di questo ragazzo nella più totale indifferenza non sarà né la prima né l’ultima: la coscienza di tanti, a  sera, dovrebbe dar loro tormento nel pensare di aver fatto morire un ragazzo che chiedeva, semplicemente, aiuto”.

da www.blogsicilia.it

 

L’orgoglio di un papà


di Franco Bomprezzi

Sta suscitando un certo scalpore la lettera inviata alla Tribuna di Treviso dal papà di una ragazzina con disabilità. “Quando si hanno dei figli mongoli è meglio restarsene a casa” è la frase elegante pronunciata dall’avventore di una pizzeria della città veneta, infastidito dai giochi di un gruppo di bambine all’interno del locale, fra queste, appunto, una ragazzina disabile. «Non importa se quelle parole le ha dette “ sapendo” oppure no – dice il papà della ragazzina, Luca, che ha scritto una lettera al giornale -. A quel punto, ce ne siamo andati dopo aver detto a voce alta che purtroppo ci sono persone infastidite dai bambini – Spero che, con l’acculturarsi progressivo della gente, di questi individui ne rimangano ancora pochi in circolazione. Spero possano riflettere sulle loro miserie e su come migliorarsi, in tempo per dare ai figli dei valori che non li costringano alla paura, alla diffidenza, al deserto. Siamo usciti e, come sempre, ho abbracciato forte la mia figlia più grande. A me – conclude – il suo handicap riempie il cuore».
Ecco, riporto volentieri questa parte della lettera, perché la trovo di una dignità e di una modernità eccezionale. Quasi tutti i commenti si soffermano sulla parte negativa, ossia il becero commento del cliente infastidito, e l’indignazione, come sempre, si esprime con i prevedibili aggettivi: “un essere bestiale”, “ignorante”, “vergogna”, e così via. Pochi si accorgono della parte bellissima di questa storia, ossia il fatto che un papà (e non, come quasi sempre accade, una mamma) evita di imbarcarsi in una discussione sgradevole che potrebbe mortificare sua figlia, esce con dignità dal locale, si rivolge civilmente al giornale della sua città che ospita in modo adeguato la sua storia.

E’ questa forma di orgoglio, che non è generico amore per la figlia, ma è consapevolezza della ricchezza di valori contenuta in quella esistenza, unica, irripetibile, gioiosa. Un orgoglio che va raccontato, diffuso, trasportato ovunque, perché questo è l’unico modo per combattere l’ignoranza e il pregiudizio.

Portare la figlia con disabilità in pizzeria, lasciarla giocare tranquillamente con le amichette, è un segno importante, una testimonianza concreta di come oggi sia possibile allontanarsi definitivamente dalle definizioni offensive e discriminatorie del passato. Il termine “mongoli”, inutile negarlo, sopravvive nelle zone buie della nostra società. L’handicap come stigma, come minorazione da dileggiare, o comunque da allontanare, è duro a morire, e noi “benpensanti” abbiamo bisogno di rassicurarci, di affermare che il mondo è cambiato, che la bontà trionfa.

Non è sempre così. L’indifferenza, il cinismo, l’idea che i disabili e le loro famiglie “pretendono troppo”, sono fattori sempre presenti. Ma proprio per questo va apprezzata la forza di un genitore, e di quegli altri genitori che in ogni angolo d’Italia, ogni giorno, affrontano la vita a testa alta, con orgoglio. Tanto più che ormai da tempo ai genitori si affiancano i figli, e anche nella disabilità intellettiva sono sempre più numerosi coloro che riescono a rappresentare se stessi in modo chiaro e positivo.

Perciò consiglierei a tutti i genitori di ragazzi con disabilità, di andare insieme in pizzeria, a brindare al papà di Treviso.

da www.vita.it

“Donna” di Carmine dal carcere di Augusta


Nulla chiedo di materiale

ma ho bisogno di lei che accarezza la mia solitudine,

nutre la mia anima

boccheggiante

in quest’arido deserto…

muto d’amore…

Donna

che m’indica la verità…

che tiene accesa la fiamma…

che m’incendia il cuore…

sciogliendo il gelo dell’indifferenza e del peccato

fiamma che purifica

e porta emozioni

che pensavo smarrite.

Donna

che ha accarezzato la mia solitudine

risvegliando il mio cuore.

Donna

ispiratrice di quel sentimento supremo

necessario per una vita “nuova”

per una vita “vera”.

Quel ragazzo senza braccia sul treno dell’indifferenza


Quel ragazzo senza braccia sul treno dell'indifferenza

CARO direttore, è domenica 27 dicembre. Eurostar Bari-Roma. Intorno a me famiglie soddisfatte e stanche dopo i festeggiamenti natalizi, studenti di ritorno alle proprie università, lavoratori un po’ tristi di dover abbandonare le proprie città per riprendere il lavoro al nord. Insieme a loro un ragazzo senza braccia.

Sì, senza braccia, con due moncherini fatti di tre dita che spuntano dalle spalle. È salito sul treno con le sue forze. Posa la borsa a tracolla per terra con enorme sforzo del collo e la spinge con i piedi sotto al sedile. Crolla sulla poltrona. Dietro agli spessi occhiali da miope tutta la sua sofferenza fisica e psichica per un gesto così semplice per gli altri: salire sul treno. Profondi respiri per calmare i battiti del cuore. Avrà massimo trent’anni.

Si parte. Poco prima della stazione di (…) passa il controllore. Una ragazza di venticinque anni truccata con molta cura e una divisa inappuntabile. Raggiunto il ragazzo senza braccia gli chiede il biglietto. Questi, articolando le parole con grande difficoltà, riesce a mormorare una frase sconnessa: “No biglietto, no fatto in tempo, handicap, handicap”. Con la bocca (il collo si piega innaturalmente, le vene si gonfiano, il volto gli diventa paonazzo) tira fuori dal taschino un mazzetto di soldi. Sono la cifra esatta per fare il biglietto. Il controllore li conta e con tono burocratico dice al ragazzo che non bastano perché fare il biglietto in treno costa, in questo caso, cinquanta euro di più. Il ragazzo farfugliando le dice di non avere altri soldi, di non poter pagare nessun sovrapprezzo, e con la voce incrinata dal pianto per l’umiliazione ripete “Handicap, handicap”.

I passeggeri del vagone, me compreso, seguono la scena trattenendo il respiro, molti con lo sguardo piantato a terra, senza nemmeno il coraggio di guardare. A questo punto, la ragazza diventa più dura e si rivolge al ragazzo con un tono sprezzante, come se si trattasse di un criminale; negli occhi ha uno sguardo accusatorio che sbatte in faccia a quel povero disgraziato. Per difendersi il giovane cerca di scrivere qualcosa per comunicare ciò che non riesce a dire; con la bocca prende la penna dal taschino e cerca di scrivere sul tavolino qualcosa. La ragazza gli prende la penna e lo rimprovera severamente dicendogli che non si scrive sui tavolini del treno. Nel vagone è calato un silenzio gelato. Vorrei intervenire, eppure sono bloccato.

La ragazza decide di risolvere la questione in altro modo e in ossequio alla procedura appresa al corso per controllori provetti si dirige a passi decisi in cerca del capotreno. Con la sua uscita di scena i viaggiatori riprendono a respirare, e tutti speriamo che la storia finisca lì: una riprovevole parentesi, una vergogna senza coda, che il controllore lasci perdere e si dedichi a controllare i biglietti al resto del treno. Invece no.
Tornano in due. Questa volta però, prima che raggiungano il giovane disabile, dal mio posto blocco controllore e capotreno e sottovoce faccio presente che data la situazione particolare forse è il caso di affrontare la cosa con un po’ più di compassione.

Al che la ragazza, apparentemente punta nel vivo, con aria acida mi spiega che sta compiendo il suo dovere, che ci sono delle regole da far rispettare, che la responsabilità è sua e io non c’entro niente. Il capotreno interviene e mi chiede qual è il mio problema. Gli riepilogo la situazione. Ascoltata la mia “deposizione”, il capotreno, anche lui sulla trentina, stabilisce che se il giovane non aveva fatto in tempo a fare il biglietto la colpa era sua e che comunque in stazione ci sono le macchinette self service. Sì, avete capito bene: a suo parere la soluzione giusta sarebbe stata la macchinetta self service. “Ma non ha braccia! Come faceva a usare la macchinetta self service?” chiedo al capotreno che con la sua logica burocratica mi risponde: “C’è l’assistenza”. “Certo, sempre pieno di assistenti delle Ferrovie dello Stato accanto alle macchinette self service” ribatto io, e aggiungo che le regole sono valide solo quando fa comodo perché durante l’andata l’Eurostar con prenotazione obbligatoria era pieno zeppo di gente in piedi senza biglietto e il controllore non è nemmeno passato a controllare il biglietti. “E lo sa perché?” ho concluso. “Perché quelle persone le braccia ce l’avevano…”.

Nel frattempo tutti i passeggeri che seguono l’evolversi della vicenda restano muti. Il capotreno procede oltre e raggiunto il ragazzo ripercorre tutta la procedura, con pari indifferenza, pari imperturbabilità. Con una differenza, probabilmente frutto del suo ruolo di capotreno: la sua decisione sarà esecutiva. Il ragazzo deve scendere dal treno, farsi un biglietto per il successivo treno diretto a Roma e salire su quello. Ma il giovane, saputa questa cosa, con lo sguardo disorientato, sudato per la paura, inizia a scuotere la testa e tutto il corpo nel tentativo disperato di spiegarsi; spiegazione espressa con la solita esplicita, evidente parola: handicap.

La risposta del capotreno è pronta: “Voi (voi chi?) pensate che siamo razzisti, ma noi qui non discriminiamo nessuno, noi facciamo soltanto il nostro lavoro, anzi, siamo il contrario del razzismo!”. E detto questo, su consiglio della ragazza controllore, si procede alla fase B: la polizia ferroviaria. Siamo arrivati alla stazione di (…). Sul treno salgono due agenti. Due signori tranquilli di mezza età. Nessuna aggressività nell’espressione del viso o nell’incedere. Devono essere abituati a casi di passeggeri senza biglietto che non vogliono pagare. Si dirigono verso il giovane disabile e come lo vedono uno di loro alza le mani al cielo e ad alta voce esclama: “Ah, questi, con questi non ci puoi fare nulla altrimenti succede un casino! Questi hanno sempre ragione, questi non li puoi toccare”. Dopodiché si consultano con il capotreno e la ragazza controllore e viene deciso che il ragazzo scenderà dal treno, un terzo controllore prenderà i soldi del disabile e gli farà il biglietto per il treno successivo, però senza posto assicurato: si dovrà sedere nel vagone ristorante.

Il giovane disabile, totalmente in balia degli eventi, ormai non tenta più di parlare, ma probabilmente capisce che gli sarà consentito proseguire il viaggio nel vagone ristorante e allora sollevato, con l’impeto di chi è scampato a un pericolo, di chi vede svanire la minaccia, si piega in avanti e bacia la mano del capotreno.

Epilogo della storia. Fatto scendere il disabile dal treno, prima che la polizia abbandoni il vagone, la ragazza controllore chiede ai poliziotti di annotarsi le mie generalità. Meravigliato, le chiedo per quale motivo. “Perché mi hai offesa”. “Ti ho forse detto parolacce? Ti ho impedito di fare il tuo lavoro?” le domando sempre più incredulo. Risposta: “Mi hai detto che sono maleducata”. Mi alzo e prendo la patente. Mentre un poliziotto si annota i miei dati su un foglio chiedo alla ragazza di dirmi il suo nome per sapere con chi ho avuto il piacere di interloquire. Lei, dopo un attimo di disorientamento, con tono soddisfatto, mi risponde che non è tenuta a dare i propri dati e mi dice che se voglio posso annotarmi il numero del treno.

Allora chiedo un riferimento ai poliziotti e anche loro si rifiutano e mi consigliano di segnarmi semplicemente: Polizia ferroviaria di (…). Avrei naturalmente voluto dire molte cose, ma la signora seduta accanto a me mi sussurra di non dire niente, e io decido di seguire il consiglio rimettendomi a sedere. Poliziotti e controllori abbandonano il vagone e il treno riparte. Le parole della mia vicina di posto sono state le uniche parole di solidarietà che ho sentito in tutta questa brutta storia. Per il resto, sono rimasti tutti fermi, in silenzio, a osservare.

di Shulim Vogelmann
L’autore è scrittore ed editore
 
da repubblica.it