Buddhi Devi è una donna di 70 che vive in una sperduta valle nell’Hymalaya e è una delle ultime abitanti della zona con uno strano privilegio, quello di avere tre mariti.
Aveva 14 anni quando fu promessa in sposa a un ragazzino di due anni più giovane. Nulla di strano, nemmeno nell’India di oggi, se non fosse che, insieme col “fidanzato”, fu costretta a sposare anche i suoi due fratelli.
La poliandria è un fenomeno che era estremamente diffuso all’epoca, ma è ormai quasi completamente scomparso, nel giro degli ultimi cinquant’anni grazie al travolgente sviluppo del Paese.
Buddhi Devi, scrive Lydia Polgreen sul New York Times, è il fantasma di un passato meno remoto di quanto sembri. Fino a poche decine di anni fa, infatti, nelle valli dell’Himalaya la poliandria rappresentava l’unica soluzione pratica a un insieme di problemi economici, geografici e sociali.
C’è chi dice che in modo informale l’istiuzione fosse praticata anche in alcune valli alpine del profondo ovest, nella provincia di Cuneo, ma queste sono storie che appartengono alla tradizione orale sempre affidata a pudichi sussurri nelle serate accanto al camino dei piemontesi di pianura. Certo le valli italiane e quelle indiane avevano in comune l’estrema povertà.
In India, gli abitanti di questa impervia regione sopravvivevano a stento in piccole fattorie arroccate a oltre 3 mila metri d’altezza, sulle pendici, gelate per gran parte dell’anno, dell’Himalaya.
A favorire la poliandria c’erano considerazioni di tipo ereditario. Dividere una proprietà tra più fratelli, alla morte di loro padre, avrebbe progressivamente spezzettato le terre fino a ridurre ciascun lotto a quasi nulla, cefrto non più in grado di mantenere eredi e famiglie a carico.,Così nei secoli si diffuse il costume di far sposare a tutti i figli la stessa donna, mantenendo così un unico nucleo familiare e limitando il numero di bocche da sfamare, dal momento che una sola moglie, anche se unita a più uomini, difficilmente avrebbe partorito più di 5 o 6 volte.
«Non facevamo altro che mangiare e lavorare, ha spiegato spiega Buddhi Devi alla giornalista del New York Times, Quando tre fratelli condividono la stessa donna, si trovano naturalmente a condividere tutto, dal cibo alla casa, e al tempo era molto più pratico così».
La rapida crescita economica unita allo sviluppo tecnologico e agli effetti positivi della globalizzazione hanno cancellato in mezzo secolo una tradizione sopravvissuta per millenni, in un Paese dove, di solito, i cambiamenti sociali sono estremamente lenti, se mai avvengono veramente.
Nessuno dei cinque figli di Buddhi ha seguito le orme dei genitori. «I tempi sono cambiati. Quel tipo di matrimonio ormai non esiste più».
Anche Sukh Dayal Bhagsen è dello stesso avviso. Oggi ha 60 anni e condivide la moglie, Prem Dasi, con due fratelli: «Un tempo era logico: se si sposavano donne diverse il rischio di contese familiari era molto più elevato».
«Ogni bambino sapeva chi era il suo padre biologico – precisa il figlio di Sukh Dayal, Neelchand Bhagsen, che oggi ha 40 anni – ma, ugualmente, tutti chiamavamo “papà” il più vecchio dei fratelli e “zii” gli altri».
A stabilire la paternità era, insindacabilmente, la moglie, sulla base di un non meglio definibile “sesto senso”. «Una madre semplicemente lo sa» spiega Buddhi, rifiutandosi di entrare più nel dettaglio.
D’altronde il peso delle donne, in una tale società, è sempre stato considerevole.
Ammette Neelchand Bhagsen: «L’opinione della moglie era la più importante in casa. Qualunque cosa dicesse mia madre diventava legge». Come tutti suoi fratelli, oggi ha una moglie e una famiglia “normale”, ha potuto studiare e uscire dalla valle.
Dice: «Quel sistema è stato utile per molto tempo. Ma nel contesto contemporaneo la sua ragion d’essere è venuta meno, perché il mondo ormai è cambiato. Anche qui.