Ad Augusta un angelo di nome Melania


di Daniela Domenici

Conoscevo Melania che è volata in cielo ieri sera a 16 anni: per qualche mese abbiamo condiviso la stessa scuola di ballo, io tentavo di essere un po’ meno “tronco d’albero” tutta d’un pezzo ma ho abbandonato poco dopo, lei invece il ballo ce l’aveva nel sangue, era una delle allieve più giovani della maestra Antonella e una delle più brave. Ma soprattutto aveva un carattere solare, educato, dolce: ogni volta che m’incontrava ricambiava il mio sorriso.

Anche ieri sera, probabilmente, per un eccesso di allegria, per scambiare due parole col ragazzo seduto dietro di lei nel suo motorino, ha incontrato la morte che, almeno questo, non ha fatto scempio del suo corpicino così atletico, l’ha lasciata quasi intatta, sembrava dormisse. Sono sicura che è volata in cielo ballando uno dei suoi balli preferiti con la grazia che le era congeniale.

Ciao Melania, abbraccio i tuoi genitori che conosco e che ti hanno seguito sempre in questa tua passione, il loro strazio è anche il mio, e penso con affetto anche al tuo fidanzato che dopo aver perso sua sorella in quel modo tragico ha perso anche te altrettanto tragicamente.

Come morirò? – How will I die?


di Daniela Domenici

E’ una domanda che molti di voi, almeno una volta nella vita, si saranno sicuramente posti.

Bene, io me lo sono chiesto spesso e “sento”, con assoluta certezza, che me ne andrò con un tumore, non per un infarto o un incidente in auto o un ictus… la cosa non mi stravolge più di tanto, solo vorrei che il medico che me lo annuncerà mi dicesse con sincerità quanti mesi o anni mi restano da vivere su questa terra in modo da potermi organizzare e vivere al meglio il tempo residuo, soprattutto per non lasciare rapporti in sospeso, spiegazioni non date, perdoni non concessi, chiarimenti non detti, insomma…lasciare tutto in ordine così da non portarmi nell’altra vita, quella vera ed eterna, nella Casa, situazioni in sospeso.

E proprio per sdrammatizzare questo argomento che per me è uno come tanti dato che siamo tutti mortali e che, presto o tardi, ce ne dobbiamo andare, non importa come, nella mia follia ho inventato una delle mie solite filastrocche sul…tumore!!!

Il cancro o tumore

è un signore

che arriva senza far rumore

con un gonfiore

e dopo poche o tante ore

ti conduce dal vero Signore!!!

Il ragazzo senza un nome


di Roberto Puglisi

Si chiamava Ajbib. No, forse si chiamava Kabib. O forse no, chissà. Ma come si fa a ricordare qualcuno, se nemmeno conosci il suo nome? La memoria presuppone l’aggancio personale. Pensate a un prete durante le esequie. Potrebbe benedire una bara generica, senza un cognome scolpito? Si può inventare qualcosa, non conoscendo neanche l’inizio dell’invenzione, il nome di battesimo? Magari per i giornalisti è diverso. La notizia, prima di tutto. E la notizia di qualche giorno fa era: ragazzo africano investito in via Oreto. Stop. Incidente mortale. Stop. Arrestato il pirata della strada. Stop. Poche concessioni al ricordo. Pochissimi riferimenti a una traccia che portasse alla storia. Quella vittima è stata subito trasfigurata in cifra. Come tale è andata ad arricchire gli almanacchi locali degli incidenti. Il fatto conta più della persona. La sociologia vale di più. Eppure, di solito, quando i fanti di questa guerra palermitana degli schianti stradali cadono come mosche sul selciato, si mette in moto la macchina mnemonica. Si dà spazio al rito del dolore. Si intervistano i parenti. Si raccontano i funerali. Si conteggiano le lacrime e i sospiri. Accade, se il morto è uno di noi. I giornali c’entrano fino a un certo punto. Stavolta è mancato l’interesse del pubblico per la biografia. Sono mancati su Livesicilia i consueti commenti di cordoglio. Era ghanese, non conoscevamo nemmeno il suo nome, non era uno di noi.
Solo colpa dei giornali, insisterà qualcuno.  Per esempio, Claudia Brunetto di “Repubblica” ci ha narrato con apprezzabile esattezza la vicenda di Ajbib, o come si chiamava. Lui, il ragazzo morto in via Oreto, era bravo a giocare a pallone. Alla Missione di Biagio Conte aveva una squadretta. Biagio, il missionario che vede crescere in lucentezza i suoi occhi azzurri, man mano che invecchia, l’uomo che accoglie i poveri della città, organizza mini-Coppe d’Africa nella sua Cittadella del povero e della speranza in via Decollati. E il ragazzo senza nome se la cavava. Pare che corresse a piedi nudi, tra i cocci di vetro e il vento, col consueto coraggio dei miserabili. E non si faceva male. E poi sapeva riparare radioline e televisori. E poi mandava i soldi a casa. E poi basta, inquadratura finale in via Oreto. Ma come si chiamava Kabib, Abib? Quando muore un ragazzo di colore nero, nella Palermo della munnizza e degli incidenti stradali, perfino il severo caposervizio del giornale più scrupoloso che c’è, può chiudere un occhio. Nessuno verrà a reclamare che il nome sia scritto come era, con tutte le consonanti a posto. Sono vite straniere e incomprensibili. Che importa se il nome è scritto diverso sui giornali. Sbagliato. Tranquilli, perciò. Tutti noi possiamo chiudere un occhio, mentre il ragazzo senza nome chiude gli occhi. Gli unici occhi aperti restano quelli di Biagio Conte. Lui lo sa che queste vite hanno la speranza martoriata come pane quotidiano, la meraviglia del normale, e la doppia disperazione di essere arrivate, quando si credevano appena cominciate. Biagio lo sa, le conosce davvero. Forse è per questo che i suoi occhi diventano via via più azzurri e somigliano al mare che tutto ricorda.

da www.livesicilia.it

Il teatro Brancati a Catania apre la stagione…in mutande


di Antonella Sturiale

Il 28 ottobre alle 21:00 ci troviamo al Teatro Brancati per assistere alla prima della commedia in due atti di Luigi Lunari “L’incidente”, con la regia di Giuseppe Romani e le scene ed i costumi di Giuseppe Andolfo.

Un pubblico entusiasta ma non tanto numeroso da riempire tutte le poltrone dell’accogliente teatro, molto probabilmente riconducibile al fatto che contestualmente allo stadio si svolgeva la partita interna di calcio, attende l’inizio di una commedia che sembra la parodia esasperata del momento politico e sociale che vive l’Italia negli ultimi tempi.

L’incidente” è una commedia tratta da “Die hose”, “le mutande” di Carl Sternheim, commedia dai tratti e dalle connotazioni boccaccesche, dai ritmi veloci, movimentati, a tratti esageratamente. Narra la storia dell’avvenente moglie di un umile bancario che, durante l’inaugurazione della nuova sede bancaria, perde le mutande a causa della rottura imprevista dell’elastico. Qualcuno dei presenti nota l’inconveniente e ne trae le logiche, personali conclusioni. Tutto gira nella fantasia creata negli uomini che, perversamente, tracciano ed intessono tele atte a conquistare la “de- mutandata”: dal direttore di banca al figlio – marionetta appena tornato dal militare.

Il povero marito, il ragionier Martelli, si sente travolgere dallo scandalo e lotta disperatamente per salvare il buon andamento della sua carriera. Pensa dunque ad organizzare un’orgia per il direttore risvegliato in certi “appetiti” dall’incidente accorso alla propria moglie.

I personaggi della commedia si muovono sul palcoscenico con molta disinvoltura, nel pieno possesso artistico del personaggio interpretato. Il bravissimo attore Tuccio Musumeci, alias il ragionier Martelli, appare molto calmo e fa da “cucitura” all’intera tela intessuta dalla tragicomica trama della commedia.

La malcapitata moglie, Concita Vasques, ci appare in alcune scene, un po’ sottotono, come se l’incidente avesse creato in lei una sorta di timido imbarazzo.

Agostino Zumbo interpreta egregiamente, con ironia e grande padronanza scenica il direttore della banca, Dottor Scotti, che deve nascondere sapientemente la voglia sessuale risvegliatasi in lui dopo tanto tempo.

La moglie bigotta, caricaturale, parecchio somigliante alla Olivia compagna del famosissimo Braccio di Ferro, è interpretata in modo unico da una sempre adeguata, sempre eccelsa, camaleontica Carmela Buffa Calleo. E’ la sua personale rivisitazione che ci regala le più spontanee risate, è lei che, comandando a bacchetta marito e figlio, ci fa comprendere il vero ruolo di molte mogli all’interno della famiglia. La rivalsa femminile che sfocia normalmente, in molte menti perverse e deviate di mariti infedeli, nel ricercare all’esterno del proprio nucleo familiare, sensazioni fisiche “forti” ma effimere, senza futuro dove la rivalsa sull’altra diventa necessità psicologica (è vietato innamorarsi).

Giovanni Santangelo è Guido, figlio dei coniugi Scotti. Il giovanissimo attore è frizzante, energico e coinvolgente. Con l’euforia tipica della sua età, si prefigge la sfida di conquistare la donna più matura e considerata “esperta” nelle arti amatorie.

Salvo Scuderi ed Elisabetta Alma sono i coniugi Crisafulli. Lui ragioniere presso la banca, uomo goffo e caricaturale, lei donna dalla risata ad intermittenza e insopportabilmente stridula, complice reverenziale e per nulla disinteressata della signora Scotti.

Le due “escort” sono interpretate da Egle Doria, alias Natasha, e Maria Rita Sgarlato, alias Mimosa. Entrambe esageratamente e volgarmente abbigliate, sono due povere diavole che da bombe del sesso si trasformano in crocerossine per alleviare gli acciacchi senili del partner. Egle Doria, sempre all’altezza dei diversi ruoli affrontati, parla un dialetto esasperatamente romano, mentre, Maria Rita Sgarlato una miscela tra dialetto veneto alternato con espressioni e termini tipicamente siculi. Da sottolineare il grande affiatamento scenico delle due colleghe che, alla fine, si rivelano due “brave” ragazze.


Una commedia dal tessuto molto semplice, poco consistente ma di grande attualità: dimostrazione chiara e tangibile di come l’uomo abbia sempre la testa nelle “mutande”.

“L’incidente” apre la stagione al teatro Brancati di Catania


di Daniela Domenici

Ieri sera il primo degli spettacoli che ha inaugurato  il cartellone della nuova stagione del teatro Brancati a Catania: è andato in scena, e lo sarà fino al 15 novembre, “L’incidente” che l’autore, Luigi Lunari, ha tratto da un testo tedesco intitolato “Die Hose”. La regia dè di Giuseppe Romani e le scene e i costumi di Giuseppe Andolfo.

La storia trae spunto da un banale incidente di sapore boccaccesco e da questo episodio nascono una serie di situazioni tra equivoci, boutades e gags in cui sono coinvolte tra coppie a cui si aggiungono un onorevole, un giovanotto e due prostitute.

Prima di parlarvi dettagliatamente degli interpreti vorremmo condividere con voi qualche nostra riflessione; innanzitutto la scelta del testo che non brilla per significati profondi né ha una trama molto coinvolgente, è una commedia degli equivoci alla Feydau che sicuramente “acchiappa” ma, se ci permettete ci sembra sia troppo “in tema” con gli argomenti pruriginosi che invadono i media nell’ultimo periodo, dalle escort del premier agli incontri segreti con trans, e questo ci dispiace. Un altro appunto vorremmo farlo all’abbigliamento di Egle Doria e Maria Rita Sgarlato, le due prostitute un po’ sui generis: la caratterizzazione del loro look, immaginata ad hoc dal costumista per strappare risate al loro apparire, ci è sembrata troppo esagerata, macchiettistica, siamo convinti che sarebbe bastata la loro recitazione a definirle.

E ora finalmente i nostri complimenti e applausi ai protagonisti della serata e vorremmo iniziare da chi, secondo il nostro personalissimo parere, ha brillato più degli altri e iniziamo da Agostino Zumbo che interpreta un direttore di banca: assolutamente eccezionale sia nella gestualità che nella recitazione semplicemente perfette in ogni momento della vicenda, davvero bravissimo nella sua ossequiosità verso l’onorevole. Ed estendiamo i nostri complimenti a Carmela Buffa Calleo, sua moglie nella storia, che ha saputo caratterizzare questa donna isterica in modo assolutamente irresistibile aiutata, in questo caso, dal look scelto per lei che la faceva sembrare una specie di Olivia, la moglie di Braccio di Ferro, formidabile.

Un complimento a parte vogliamo tributarlo al giovane Giovanni Santangelo, che interpreta la parte del figlio della coppia Zumbo-Buffa Calleo, caratterizzando questo ragazzo, soffocato dalle attenzioni dei genitori che lo trattano da bambino, in modo assolutamente eccezionale sia per tempi recitativi che per gestualità perfetta, speriamo che questo ruolo sia il suo trampolino di lancio, se lo merita davvero.

I nostri complimenti alle due “escorts” molto sui generis, Egle Doria, alias Natasha, e Maria Rita Sgarlato, alias Mimosa; Egle-Natasha interpreta, con la sua consueta bravura, che ormai apprezziamo da tempo, una specie di tigre del sesso che alla fine si rivelerà una povera diavola che allevierà, addirittura, gli acciacchi del suo partner; Maria Rita-Mimosa, che avevamo apprezzato in altri ruoli non comici, si è rivelata davvero brava nel saper alternare il dialetto veneto con il catanese doc e anche lei, come Egle-Natasha, alla fine, si rivelerà una brava ragazza molto normale.

Bravi anche i due componenti dell’altra coppia, coinvolti loro malgrado in questa sit com dai colori boccacceschi, Salvo Scuderi ed Elisabetta Alma, il primo caratterizzato dai suo amore per la lingua latina di cui cita, in continuazione, frasi e ablativi assoluti, la seconda bravissima a suscitare risate con i suoi gridolini e la sua recitazione sopra le righe.

Il ruolo dell’onorevole che viene ossequiato perfettamente dal direttore della banca e che vuole tentare di sedurre la padrona di casa è interpretato da Marcello Perracchio che, permetteteci di dirlo, ci è sembrato un po’ affaticato ma sempre comunque perfetto nel suo ruolo.

E veniamo ora alla coppia protagonista, quella dei padroni di casa, i Martelli, composta dalla brava  Concita Vasquez, colei che dà il via a tutti gli equivoci perdendo le mutande durante una celebrazione importante nella banca in cui lavora il marito, e Tuccio Musumeci, il marito appunto, che si trova coinvolto e travolto dagli eventi e che cercherà di uscirne fuori con minor danno possibile ma che, invece, avrà la peggio nel finale, che è un’apoteosi di rumori, urla e movimenti disordinati di tutti gli attori del cast, con Tuccio al centro del palcoscenico, bravissimo a rimanere l’unico immobile, silenzioso e attonito, come se non c’entrasse nulla con tutta la vicenda che gli è apitata addosso.

Grazie Angelo Custode


angiolettoAngioletto del Signore che mi guardi a tutte l’ore

Angioletto del buon Dio fa che cresca buono e pio

questa filastrocca che i due cugini, splendidamente interpretati da Ficarra e Picone ne “La matassa” che fa loro ricordare i bei tempi passati della loro comune infanzia, mi risuona in mente da ieri, da quando il mio figlio minore ha avuto un brutto incidente ed è salvo per miracolo nonostante le varie ferite…il suo Angelo Custode, ancora una volta, lo ha protetto e me lo ha lasciato, pur se un po’ malconcio…questo povero Angioletto ha davvero molto da fare con lui ultimamente, spero che non si stanchi mai…