Carceri. L’annus horribilis di un’ordinaria emergenza


  di Valentina Ascione

Cinquantaquattro decessi. Diciotto suicidi. Sembra un bollettino di guerra e in un certo senso lo è. La triste conta dei morti tra i detenuti, dal 1° gennaio di quest’anno, dimostra infatti che nelle galere della civilissima Italia del XXI secolo ogni giorno si combatte una battaglia. E’ la guerra per la sopravvivenza, contro il sovraffollamento, le pessime condizioni sanitarie e igieniche; contro l’inedia, l’imbarbarimento del corpo e della mente. Uno scontro quotidiano con tutto ciò che colloca le nostre carceri fuori dalla Costituzione. Guerra che vede direttori dei penitenziari, agenti, medici, educatori impegnati sullo stesso fronte dei detenuti, alle prese con organici quasi ovunque insufficienti. Questo 2010 già mostra di avere le carte in regola per competere con l’annus horribilis che l’ha preceduto, se non addirittura per puntare al sorpasso. Il 2009, con i suoi 175 morti – dei quali 72 suicidi – ha fatto segnare un record. Il drammatico elenco si allunga tuttavia a ritmi vertiginosi. Impossibile, dunque, escludere che quando questo numero de “Gli Altri” andrà in edicola, il bollettino si sarà ulteriormente aggravato. Eppure quella detenuta è una popolazione giovane: come fa notare l’Osservatorio permanente sulle morti in carcere, i due terzi degli oltre 67 mila reclusi hanno meno di 40 anni e gli ultrasessantenni sono appena 2.500.

 La realtà è che le galere sono ormai diventate delle “discariche sociali”, dove accantonare – e dimenticare – migliaia e migliaia di tossicodipendenti, immigrati, sieropositivi, malati di mente e piccoli delinquenti assimilabili alla proverbiale categoria dei ladri di polli. Sono per lo più i poveracci a finire e restare dietro le sbarre, non i criminali di alto bordo in grado di assoldare i più blasonati principi del Foro. Ma in carcere ci sono anche decine di bambini, a scontare la pena con e delle loro madri, perché nel nostro Paese non si è ancora riusciti a mettere a punto una soluzione semplice come quella delle case famiglia protette. E poi ci sono gli internati, ovvero quelli che hanno già scontato la propria pena, ma poiché ritenuti potenzialmente pericolosi (in base a criteri forse da rivedere) vengono trattenuti nelle cosiddette Case lavoro, dove di lavoro ce n’è ben poco: strutture come quella di Sulmona, teatro di diversi suicidi tentati e riusciti. Nei giorni scorsi il Parlamento ha scelto di perdere una buona occasione per alleviare almeno un po’ l’asfissia nelle carceri.

 Un’inedita ricollocazione sullo scacchiere politico ha visto Lega, Italia dei Valori e Pd uniti nel respingere la proposta della radicale Rita Bernardini – eletta nel gruppo dei democratici  – di concedere la sede legislativa alla discussione del disegno di legge Alfano in Commissione Giustizia. Ciò avrebbe accorciato l’iter per l’approvazione di misure contenute nel ddl di legge governativo, quali gli arresti domiciliari per i detenuti con meno di un anno da scontare e la messa in prova degli imputati per reati che prevedono una pena non superiore a tre anni. Provvedimenti preziosi nell’immediato, costretti invece a imboccare il normale percorso parlamentare, lungo e tortuoso. Senza uno slancio comune di legalità, umanità e ragionevolezza, senza una ferma volontà politica e istituzionale, con ogni probabilità la prossima estate saranno in 70 mila a far fronte all’afa dietro le sbarre. Tutt’altro che al fresco.

da www.radicali.it

L’ultima beffa agli immigrati: spunta la sanatoria trappola!


di Paolo Rumiz
Come criminali comuni, magnaccia o spacciatori di droga. Gli immigrati che hanno fatto domanda di sanatoria ma in passato non hanno rispettato un decreto di espulsione vanno rispediti a casa.Non ovunque, ma così, come gira agli uffici stranieri delle questure. Qua e là, alla chetichella, partendo dalla provincia, che nessuno mangi la foglia in anticipo. Uno sì e l’altro no, in modo che tutti restino col fiato sospeso. Funziona così la sanatoria Maroni: inflessibile in alcune province, a maglie larghe altrove. Una dicotomia interpretativa che colora la carta d’Italia come le chiazze del morbillo.

Durezza a Trieste, Rimini, Perugia. Clemenza a Milano, Venezia, Bologna e in altre province. Incertezza ovunque, di conseguenza. La voce si è sparsa e gli immigrati si scoprono a bagnomaria, con un contratto regolare in mano ma senza sapere ancora se saranno espulsi o no. In gran parte africani, gli stessi che la mafia ha preso a fucilate a Rosarno. I più visibili, quelli espulsi più di frequente, dunque più ricattabili e di conseguenza a costo più basso sul mercato del lavoro. L’incertezza del diritto in Italia la vedi sulla pelle degli stranieri.

La storia si gioca negli ultimi sette mesi, da quando parte la sanatoria Maroni. A monte, la contraddizione insita nella precedente legge Bossi-Fini, che all’articolo 14 individua nella mancata ottemperanza all’espulsione l’unico reato veniale del codice per il quale è previsto l’arresto obbligatorio. Come dire: non hai fatto niente, ma ti ficco dentro lo stesso. Di fronte a questa incertezza del diritto, molte organizzazioni vogliono vederci chiaro. I condannati per mancata obbedienza al decreto di espulsione possono fare domanda, sì o no? La Confartigianato di Rimini per esempio, città che in seguito vedrà espulsioni, pone il quesito al Viminale. Ottiene circostanziata risposta ufficiale via mail in 48 ore: la richiesta si può fare. Data: 23 settembre 2009. Anche il buon senso dice che non può essere altrimenti. Che cosa si deve sanare se non una precedente illegalità? Che senso avrebbe impedire la legalizzazione di coloro che sono stati illegali? Insomma: lasciate che le pecorelle vengano a noi con fiducia.

Tutto sembra mettersi bene. Il ministero raccomanda alle prefetture, che devono istruire le domande, di lavorare con larghezza. Ovunque si instaura un clima di efficienza ecumenica. Traduttori, mediatori culturali, rispetto. L’Italia sembra improvvisamente un altro Paese. Ma attenzione: la raccomandazione del Viminale non avviene per iscritto ma con telefonate dirette a ogni prefetto d’Italia. L’elettore medio non deve sapere che questo governo tratta gli immigrati come persone.

Ma i prefetti non si formalizzano e la macchina s’avvia. Scatta l’emersione. Decine di migliaia di stranieri escono dalle catacombe, trovano datori di lavoro per un contratto, spesso minimale ma sufficiente. Pagano l’Inps e le varie tasse di regolarizzazione. Firmano montagne di carte. Fanno lo stesso i cittadini italiani che li hanno assunti. Ma l’ultima parola spetta alla questura, che deve controllare la fedina degli stranieri.

E qui il clima cambia di colpo. Alcune questure convocano gli immigrati, comunicano il respingimento della domanda e, contestualmente, il decreto di espulsione. Il pollo è lì, si è autoconsegnato con i documenti in mano, e viene caricato su un aereo. La sua colpa è appunto quella individuata dalla Bossi-Fini: avere ignorato la condanna all’espulsione. Il tutto gli viene spiegato senza preavviso prefettizio e senza dar tempo al malcapitato di consultare un legale. Via subito. Il caso di Trieste.

La voce gira, e gli immigrati si organizzano, cercano patrocinio legale. Alcuni consegnano i passaporti ai loro datori di lavoro, non si sa mai. Tutti fiutano il trappolone, temono che la larghezza iniziale sia stata propedeutica alla chiusura successiva. E intanto partono nuove domande al Viminale. Il giornale di Trieste, per esempio, segnala la cosa al ministro, il quale risponde, ma con un appunto anonimo, cioè senza firma, compilato dalla stessa questura.

C’è scritto: la condanna per mancata obbedienza all’espulsione è da considerarsi reato grave, tant’è vero che comporta arresto obbligatorio. La cacciata dall’Italia è dunque legittima. L’esatto contrario di quanto sostenuto ufficialmente il 23 settembre. Ora nemmeno al ministero ci capiscono più niente. Gli uffici cui fanno capo le prefettura ignorano quanto pensano e fanno al piano di sopra gli uffici delle questure. Il marasma è tale che le stesse questure chiedono istruzioni, vedi Pavia e Alessandria. E il ministro risponde con appunti senza firma perché non può sostenere un nonsenso e contraddirsi.

“Noi applichiamo la legge” dichiara il questore di Trieste, il quale peraltro aggiunge subito dopo che il reato in questione “può rientrare” tra quelli ostativi alla concessione della sanatoria. “Può rientrare”, si badi bene: non “rientra”. Dunque quell’interpretazione è, per sua stessa ammissione, facoltativa. Ed è quanto avviene, per l’appunto, in giro per l’Italia. Chi vuol mostrare i muscoli col ministro espelle; gli altri no. E le prefetture, laddove subalterne alle questure, si adeguano all’anarchia interpretativa. Sulla quale sarebbe ora che il ministro si pronunciasse in prima persona, in nome dello stato di diritto.

Cosa succederebbe se i quattro milioni e mezzo di immigrati che vivono in Italia decidessero di incrociare le braccia per un giorno?


Questa è la sfida della giornata di mobilitazione nazionale lanciata per il 1° marzo da un’ampia galassia di associazioni: organizzare il primo sciopero degli immigrati in Italia.

La Webtv radicale (http://tv.boninopannella.it) ha scelto di dedicare a questo evento l’intera giornata di programmazione del 1° marzo, grazie al contributo di videomaker, giornalisti, esponenti delle associazioni degli immigrati, dirigenti e militanti radicali.

La diretta sarà intervallata dai video che ci potrà inviare chiunque voglia partecipare alla documentazione di questa giornata. I video potranno essere caricati su YouTube o Fainotizia.it e inviati all’email webtvradicale@gmail.com.

Seguici in diretta:

12h senza di noi

http://boninopannella.it/24hsenzadinoi

IL PALINSESTO:

12.00- 12.30- Finalmente il Primo Marzo, con Gassou Ouattarà (Direzione Nazionale Radicali Italiani e Presidente del Movimento degli

Africani)- in studio con Virginia Fiume

12.30- 13.00 – Le origini di 24h sans nous, con la giornalista francese Coumba Kane– in studio con Valeria Brigida

13.00- 14.00 – Immigrazione e istituzioni, con Gianluca Peciola, consigliere provinciale di Roma, in collegamento Domenico Lucano, sindaco di Riace (Reggio Calabria) e Donata Gottardi, già eurodeputata del Partito Socialista Europeo (Verona) –in studio con Valeria Brigida

14.00- 14.30- diretta dallo studio, con proiezione di video

14.30- 15.30 – Speciale Sanità e Diritti, con Maurizio Gressi, Fondatore del Comitato diritti umani e Suzanne Diku, Ginecologa al Fatenebenefratelli- in studio Ilaria Donatio

15.30-16.00 – diretta dallo studio, con proiezione di video

16.00- 17.00 – I have a dream: immigrazione e seconde generazioni, con Roan Johnson, autore del romanzo Prove di felicità a Roma Est e Mourad Mourai, testimonianza (radicale) di una cittadinanza concessa. Primo collegamento da Torino alle 16.20- in studio con Marta Brachini

17.00- 17.30- diretta dallo studio, con proiezione di video

17.30- 18.00 – diretta da Torino, con Domenico Massano (associazione radicale Adelaide Aglietta)- interviste con il Comitato antirazzista

18.00-18.30 – diretta da Milano

18.30-19.00 – diretta da Piazza Vittorio a Roma– Valeria Brigida, Ilaria Donatio e Diego De Gioiellis

19.00- 20.00 – Certi immigrati per certi diritti, omosessualità e immigrazione, con Sergio Rovasio (Segretario Ass.Radicale Certi Diritti) e Roberto Mancuso

20.00-20.30- diretta da Ravenna, con Cesare Sama e alcuni esponenti del Comitato Primo Marzo

20.30-21.00 – Rosarno: il tempo delle arance, documentario di Nicola Angrisano

21.00- 23.00 – Seminario organizzato dall’Associazione Radicale Adelaide Aglietta “Torino e i rifugiati politici” Intervengono, moderati da Domenico Massano (giunta di segreteria Ass.Aglietta): Igor Boni (segretario Ass. Aglietta), Marco Melano, (avv. ASGI), Gianluca Saiu (circolo Arci Dravelli), Diego Castagno (Vice-presidente circ. VIII). Durante la serata verrà proiettato, alla presenza del regista Marco Iozzo, il video “Look Back”, girato fra i rifugiati dell’ex clinica San Paolo.

http://boninopannella.it/24hsenzadinoi

Stranieri manifestano a Caserta. Rita Bernardini: “Lo Stato si comporta da criminale”


All’indomani della Giornata mondiale del migrante centinaia di lavoratori stranieri, in maggioranza africani, si sono radunati in manifestazione a Caserta, davanti al Palazzo Acquaviva  che ospita la Prefettura e la Questura. Rita Bernardini a CNR: “Sono gli unici, qui, a muoversi”.

All’indomani della Giornata mondiale del migrante centinaia di lavoratori stranieri, in maggioranza africani, si sono radunati in manifestazione a Caserta, davanti al Palazzo Acquaviva  che ospita la Prefettura e la Questura. A organizzare l’evento il movimento dei migranti e rifugiati, dal centro sociale ex Canapificio, dall’associazione dei senegalesi e dai padri Sacramentini. “E’ una giornata che stiamo vivendo insieme alle persone che sono immigrate in Italia e che vivono una condizione di difficoltà veramente incredibile in questo periodo. E’ una battaglia comune: qui davanti alla Prefettura di Caserta ci sono moltissimi di coloro che stavano a Rosarno e che hanno vissuto da schiavi e vivono da schiavi ormai da anni in occasione della raccolta delle arance e che sappiamo sono stati oggetto di un’azione camorristica, così solo possiamo chiamarla, alla quale hanno tentato di reagire, cosa che non fa più la popolazione locale che è vittima della camorra e della sua violenza” così a Rita Bernardini deputata radicale a CNRmedia.  Dure parole anche nei confronti delle istituzioni: “Lo Stato è incapace di dare risposte e spesso si comporta da criminale professionale e prendo spunto dalla vicenda dei permessi di soggiorno, che in base alla legge dovrebbero essere rilasciati o rinnovati entro 20 giorni, ma sappiamo tutti che invece questi tempi diventano mesi e mesi, in alcuni casi addirittura anni prima che un diritto sancito dalla Costituzione venga riconosciuto”.

 da www.cnrmedia.com

Giornata mondiale delle migrazioni 2010


Si celebra domenica 17 gennaio 2010 la 96° Giornata mondiale del migrante e del rifugiato dal tema: “Il minore migrante e rifugiato – Una speranza per il futuro”.

Questo esercito di piccoli stranieri è una ricchezza demografica per un’Italia il cui processo d’invecchiamento procede a ritmo accelerato. Il loro percorso però non sempre è lineare, anzi spesso è irto di ostacoli. Le difficoltà che affrontano sono collegate alla loro provenienza, alle condizioni di vita, a storie diversificate, familiari e personali.

Non sono da sottovalutare gli adolescenti non accompagnati arrivati in Italia e gli altri che hanno problemi con la giustizia (1.860 sono sbarcati a Lampedusa nel solo periodo che va da maggio 2008 a febbraio 2009; 11 in provincia le comunità alloggio che li hanno accolti: il 60 per cento, pari a 1.119 minori, si sono allontanati in seguito al collocamento in comunità, con un’incidenza di egiziani, eritrei e somali. 200 di loro sono stati trasferiti in strutture di accoglienza non per minori).

Tra i problemi che devono affrontare vi sono: la mancanza di opportunità d’inserimento scolastico e lavorativo, questo induce i minori a entrare nei circuiti di manodopera irregolare e li espone al rischio sfruttamento. Una particolare attenzione meritano, poi, i minori perché aventi diritto all’unità familiare, quelli adottati e in affido, quelli dediti all’accattonaggio e al lavoro nero. Ma anche per chi trova un inserimento, sono da non sottovalutare le difficoltà educative, sanitarie e relazionali, con riferimento al permesso di soggiorno e all’opzione della cittadinanza (compiuti i 18 anni).

La priorità del minore deve essere salvaguardata in tutti i suoi aspetti perché persona e perché in difficoltà. Il Testo Unico 286/98 sull’immigrazione, sul “Diritto all’Unità Familiare e tutela dei minori” recita che “in tutti i procedimenti amministrativi e giurisdizionali finalizzati a dare attuazione al diritto all’unità familiare e riguardanti i minori, deve essere preso in considerazione con carattere di priorità il superiore interesse del fanciullo” (art. 28/3).

L’adolescente di oggi è la speranza del futuro; tutte le forze, politiche e sociali devono spendersi per la ricerca del suo equilibrio e preparazione: in conformità a come sarà educato questo minore, anche il figlio di genitori stranieri, si costruirà la società del domani a essere più accogliente e interetnica, eliminando gli attriti sociali che sono, in tutte le epoche, causa di conflitti di qualsiasi natura.

LA SCHEDA

I minori stranieri sono in rapido aumento. Il totale dei minori è salito a 862.453 (il 22,2 per cento della popolazione immigrata). In Sicilia sono 16.424 unità con un aumento di quasi 2.000 ragazzi rispetto all’anno precedente.
In provincia di Trapani sono circa 2.500: i registrati all’anagrafe all’1 gennaio 2008 erano 2.246 (1.141 maschi e 1.105 femmine), su una popolazione regolare di 8.724 (4.376 maschi e 4.48 femmine), di questi, 1.413 sono nati in Italia, 131 sono stati gli iscritti nel 2007 per nascita. Al primo posto vi sono i provenienti dalla Tunisia con 1.543 unità e rappresentano il 69 per cento della totalità presente in Sicilia.

Nell’ultimo anno scolastico gli alunni stranieri in Italia erano 629.000, ossia il 7 per cento della popolazione scolastica. In provincia nell’anno 2007/08 erano 1.009 (triplicati rispetto al 2000; a questi si aggiungono gli studenti della scuola etnica, presenti a Mazara, 120 circa) così distribuiti: 517 nei Circoli didattici, 365 negli Istituti comprensivi, 14 nelle medie di primo grado, 113 nelle medie di secondo grado. La maggiore presenza di minori si registrava a Mazara del Vallo con 904 unità, di cui 665 nati in Italia, segue Marsala con 279 unità, di cui 154 nati in Italia; il capoluogo registrava 186 minori, di cui 123 nati in Italia, mentre gli iscritti nelle diverse scuole erano 63.

da www.trapani.blogsicilia.it

Cin Cin: brindiamo insieme !!! – Let’s toast together


di Daniela Domenici

“Temptation” è il mio 1000esimo inserimento in meno di tre mesi da che il mio sito è nato, sono felice dei risultati raggiunti fino a oggi; quando l’ho creato e gli ho dato questo nome, NUTRIMENTE, volevo tentare, nel mio piccolo, di “nutrire” la mente dei gentili lettori che sarebbero passati a leggere le cose che avrei pubblicato sia mie (recensioni e filastrocche) che di altri colleghi.

Dalla qualità delle vostre scelte di lettura nel mio sito (di cui vedo i “passaggi”) posso dire che sono davvero orgogliosa dei risultati raggiunti e che spero di crescere con voi ogni giorno migliorandomi e fornendovi sempre inserimenti di qualità, di nicchia, se volete, ma che diano spazio, soprattutto, a chi ne ha poco o niente: detenuti, disabili, bambini, omosessuali, immigrati.

 “Temptation” is my 1,000th post published since when, less than three months ago, my site was born, I am happy for the results achieved till today; when I created it and gave it this name “NUTRIMENTE”, I wanted to try, in my possibilities, to “feed” the brains of the kind readers who would have read the posts I would have published either mine (limericks and theatrical, cinema and book surveys) or of other journalists.

From the quality of your choices of what to read in my site (as I can see your “passages” there) I can say that I am really very proud of the results achieved and that I hope to grow with you every day improving myself and always providing you quality posts, particular ones, but which give space, above all, to all those categories who have little of it in the media: people in jail, handicapped people, children, gay people and immigrants.

“Mare nero”


di Francesco Sabatino

Donna speranzosa.

Bella come una sposa.

Una vita in grembo,

tanti sogni nel cuore.

Da un mondo di povertà e violenza

decidesti di partire

per trovare pace, serenità, amore.

Invece, quella tragica notte,

mare nero ti ha inghiottita per sempre.

Mare nero ti ha inghiottita per sempre.

Giovane ragazzo.

Tu partisti per mare.

Libertà e benessere volevi trovare.

Invece, quella tragica notte,

Mare nero ti ha inghiottito per sempre.

Mare nero ti ha inghiottito per sempre.

Quella notte, era gelido il mare

come il nostro cuore

indifferente. Incapace d’amare.

Intanto, da quella notte,

una donna prega in ginocchio

per un figlio che non arriverà mai.

Ella piange e piangerà per sempre.

Piange e piangerà per sempre.

“Vo’ cumprà”


di Angela Ragusa

Giungono…
Intrisi d’illusione,
occhi che salsedine di mare
ha reso appiccicosi.
Indietro la tristezza
di radici spezzate,
corrose da fame
e lacrime maleodoranti…

Vagano
in quel mare di speranza
tra onde arrabbiate
di cuori sottomessi alla sorte…
Approdano
su terre schive
che di schiavi
attendono le braccia
millantando
comprensione e solidarietà…

Gli Spartacus neri di Rosarno


Cosa ci fanno più di diecimila immigrati irregolari nelle campagne calabresi? E’ ovvio, portano benessere a chi li sfrutta. Per farlo vivono in condizioni igieniche da porcile, sono pagati poco e in nero, non hanno nessun tipo di assistenza. La risposta cieca pronta e assoluta del solito coglione terzomondista è sempre la stessa: “Sono qui da noi perché fanno i lavori che gli italiani non vogliono più fare!“. Tutto il contrario, pagate gli italiani il giusto e ci sarebbe la fila di calabresi disoccupati per prendere il loro posto.
Gli immigrati lavorano in condizioni disumane che gli italiani non possono più tollerare, per questo sono qui. E allora, ancora, chi ci guadagna? I nuovi latifondisti, la criminalità in cerca di mano d’opera a basso costo, chi affitta dei tuguri a peso d’oro? Questa è solo la prima fascia, quella più visibile. Gli immigrati sono un bacino elettorale, portano voti sia a destra che a sinistra. Sono uno strumento di distrazione di massa usato dai partiti. La Lega e il Pdl vivono dell’uomo nero, del babau. Il Pdmenoelle e dintorni del buonismo a spese delle fasce più deboli della popolazione che vivono a diretto contatto con gli emigrati e si disputano le risorse. Voti a destra, voti a sinistra. In uno Stato dove migliaia di irregolari sfilano esasperati in una cittadina, Rosarno, e la mettono a ferro e a fuoco è evidente che lo Stato non c’è più. Africani contro calabresi, in mezzo il nulla di chi non si è mai fatto carico dei flussi migratori, dell’accoglienza, dell’integrazione.
Voglio l’immigrato a chilometro zero o l’immigrato integrato. Non abbiamo bisogno di nuovi schiavi, ne abbiamo a sufficienza di autoctoni. E così, una rivolta di Spartacus neri, diventa SOLO un problema di ordine pubblico, di controllo del territorio. Maroni, dico a lei anche in rappresentanza dei ministri degli Interni precedenti: “Dove erano, dove sono, le Forze dell’Ordine in Calabria, le stesse che riescono a sequestrare con occhiuta precisione un cartello 30 x 50 cm contro Schifani a un cittadino, ieri a Reggio Emilia?“.
Gli africani irregolari sono sempre stati lì, splendenti nel sole dei campi del Sud e a marcire nelle topaie. E dov’erano, dove sono le varie istituzioni che fracassanno i coglioni all’ultima bancarella del mercato per l’igiene, lo scontrino, la licenza, la tassa di occupazione, dove sono? E soprattutto perché le paghiamo se vedono sempre e solo il fuscello e non la trave? L’Italia è un piccolo Paese, con poche risorse e un tasso di disoccupazione da far paura. Dobbiamo avere il coraggio di dirci che gli immigrati sono in prevalenza forza lavoro sfruttata, merce per imprenditori senza scrupoli e per politici e giornalisti con la erre moscia che cianciano di pozzi avvelenati. Una risorsa preziosa per i politici che li lasciano al loro destino. E’ in corso una guerra, che qualche volta esplode, tra poveri: immigrati e cittadini italiani, entrambi presi per i fondelli. Lo Stato si è fermato a Rosarno

da www.beppegrillo.it

Troppi detenuti meridionali? Federalismo carcerario


di Gilberto Oneto

Secondo il ministero della Giustizia al 30 giugno 2009 c’erano nelle patrie galere a vario titolo 63.630 detenuti. Le informazioni sulla distribuzione dei reclusi per luogo di nascita permettono di fare qualche considerazione poco politicamente corretta ma piuttosto significativa. Gli “indigeni” (in totale 39.389) sono in prigione nella misura di 0,68 persone ogni mille abitanti, o – se si preferisce – c’è un recluso ogni 1.463 cittadini italiani. I nati all’estero sono 24.241: basandosi su quanto diffuso dalla Caritas risulta che ci sono 6,21 reclusi ogni mille stranieri regolari, e uno ogni 161 persone. In realtà la loro incidenza è falsata dal numero di irregolari e clandestini che può essere solo stimato con ampia approssimazione: in ogni caso si tratta di percentuali inquietanti.

Ancora più interessante è analizzare la provenienza. I reclusi europei sono 8.741 (di cui 4.525 extracomunitari), gli africani 12.348, gli asiatici 1.177 e gli americani 1.323. Il primo dato che emerge è che i meno propensi a violare la legge sarebbero gli asiatici (1,88 reclusi ogni 1.000 regolari e un recluso ogni 532 immigrati), seguiti da europei e americani (4,2 per mille e un recluso ogni 236). Quelli che con più facilità incorrono nei rigori della giustizia sono invece gli africani: 14 ogni mille e uno ogni 69 immigrati regolari. Neppure i dati complessivi sui musulmani sono molto tranquillizzanti: 11,9 ogni mille e uno ogni 84 sono ospiti delle (nostre) patrie galere.

Le informazioni sulle singole nazionalità permettono di stilare una poco edificante classifica che vede presenti in gattabuia ben 30 tunisini, 25 nigeriani, 13 marocchini e “solo” 6 albanesi, sempre ogni mille immigrati regolari. I cinesi, che pure sono una delle comunità più numerose (170.265 regolari), sono pressoché assenti da questa hit parade a strisce perché se ne stanno per i fatti loro, cercando di farsi vedere il meno possibile: sorge però il sospetto che dispongano, oltre che di strutture sanitarie e commerciali, anche di un sistema giudiziario tutto loro. Gli zingari invece scompaiono fra le pieghe delle statistiche, infrattandosi sotto denominazioni nazionali diverse che non permettono un accorpamento di dati che sarebbe invece illuminante.

Il primo commento che viene da fare è che senza l’immigrazione straniera ci sarebbero il 38,1% di galeotti in meno e – visti i costi astronomici del loro mantenimento – un bel risparmio. Il dato sui reclusi non ha un rapporto diretto con quello dei reati perché lo stesso reo è spesso condannato per più di una azione criminosa, perché il 74% dei reati resta impunito e un numero imprecisato non viene neppure denunciato ma è del tutto legittimo pensare che, in assenza di immigrati stranieri, i reati diminuirebbero almeno della stessa percentuale, e di più considerando che gli stranieri facilmente sfuggono ai controlli (a maggior ragione se sono clandestini) e che si dedicano principalmente proprio a quelle tipologie di reato che vengono denunciate di meno.

Le statistiche ministeriali riguardano anche la provenienza regionale dei galeotti autoctoni e consentono altre interessanti considerazioni. Anche fra gli italiani ci sono notevoli diversità: le percentuali più alte di reclusi riguardano i nati in Campania (1,86 per mille e uno ogni 538 abitanti), poi quelli in Sicilia (1,53 e 653) e in Calabria (1,50 e 665), che si avvicinano ai dati degli immigrati asiatici e superano le percentuali di parecchie etnie prese singolarmente. Le regioni più virtuose sono la Valle d’Aosta (un recluso ogni 8.570 abitanti) e poi l’Umbria (7.855), le Marche (6.328) e l’Emilia (uno ogni 5.577 abitanti).

Solo l’11,23% di tutti i galeotti è nato nelle regioni padano-alpine, che – nel loro complesso – hanno 0,27 reclusi per mille abitanti e un galeotto ogni 3.588 cittadini: i dati del resto d’Italia sono rispettivamente 1,01 e 992, quelli del solo territorio del vecchio Regno delle Due Sicilie 1,4 e 701.

Considerando tutti i reclusi, nazionali e foresti, l’Italia si colloca nella classifica dei 20 Paesi del Consiglio d’Europa al 13° posto nel rapporto reclusi-abitanti; senza gli stranieri balzerebbe invece al quinto posto, dopo Slovenia, Finlandia, Danimarca e Malta. È un altro dato che dovrebbe fare riflettere molti salmodiatori del mantra che equipara gli immigrati a una risorsa.

Spingendo in avanti lo stesso semplice ma efficace ragionamento che si è fatto sullo stato della legalità in assenza di immigrati, scappa anche da considerare che in una condizione di reale autonomia e di controllo severo dell’importazione della criminalità, la Padania si troverebbe con facilità ad affrontare un bel 75% di reati in meno ed essere il Paese più sicuro d’Europa. Un buon motivo per cominciare a pensare a un serio progetto di “federalismo giudiziario”.

da www.ristretti.it