“Da tanto tempo” di Giovanni Farina


Da tanto tempo

volevo dire addio

alla solitudine,

volevo dimenticarla

nel passato,

ma lei sorridente

e paziente

mi ha detto

che mi ama

che non sa vivere

senza di me.

Io

avrei voluto abbandonarla,

dirle di non accarezzare

il mio cuore

la mia anima

di non essermi fedele

come lo è

ogni giorno

ogni notte.

Non posso abbandonarla

perché

ormai

ha conquistato

ogni fibra

del mio essere.

Altre due brevi ma intense liriche di Giovanni Farina


Ricevute, copiate e pubblicate

Questa cella

è troppo piccola

per contenere

il mio pensiero libero.

Risorgerò

anche se vivo

da troppo tempo

lontano dal mondo

e lo immagino

troppo grande.

………………………………

Costa meno

aiutarci a vivere

che lasciarci morire

lentamente nella nullità.

Altre tre poesie di Giovanni Farina sempre dal carcere di Siano Catanzaro


Ricevute, copiate e pubblicate…

La notte

ha disegnato

il cielo nell’oscurità…

penso che

sono

un frammento di universo,

una pianta d’immortalità

che è nata

dal rovo di una rosa,

la stessa rosa

ch molte volte

mi ha dato ferite al cuore

ma quando mi sono saziato

alla fonte del suo amore

mi ha ridato

la vita, la felicità

…………………………………………

Quando si vive giudicando gli altri

non si sa cosa vuol dire

soffrire la fame

del proprio pensiero,

la sete della propria libertà.

…………………………………………………..

La mia poesia nascosta

nasce

gettando pugni di semi

tra le vie di una strada qualunque

dove, trasportati dal vento,

si trasformeranno

in sensazioni,

in sassi d’assalto

tra lo snocciolare scomposto

della mia età.

Chi getta semi al vento

farà fiorire il cielo.

“Il capo” di Giovanni Farina dal carcere di Siano Catanzaro


Il corpo umano chiede a chi lo abita e lo fa vivere perché fa lo sciopero.

Il cervello chiede la parola e dice:

–      Io sono l’organo che pensa, il più intelligente  e chiedo che mi sia riconosciuto di essere il capo.

Gli occhi a loro volta dicono:

–      Il riconoscimento di capo tocca a noi perché siamo la luce che guida il corpo dove andare.

Le mani replicano

–      Noi dobbiamo essere il capo, se non fosse per noi che imbocchiamo la bocca il corpo morirebbe di fame.

Anche le gambe dicono la loro

–      E noi non rappresentiamo nulla? Se non fosse per noi che trasportiamo l’intero corpo on ogni angolo del mondo nessuno saprebbe che esistete. Il ruolo del capo tocca a noi.

Per ultimo parla il buco del culo e dice a tutti i subordinati del corpo:

–      Il ruolo del capo tocca a me, se non fosse per me che elimino dal corpo i vostri avanzi il cervello dopo qualche giorno non riuscirebbe a pensare, le mani e le gambe si appesantirebbero nei movimenti, non sarebbero più efficienti, gli occhi non riuscirebbero più a vedere perché le tossine dello stomaco gonfio gli annebbierebbero la vista.

Il buco del culo conclude:

–      Se io non avessi un funzionamento corretto eliminando tutta la vostra merda nessuno organo del corpo funzionerebbe alla perfezione.

Dopo un vivace dibattito a porte chiuse gli abitanti del corpo umano decidono che, per fare il capo, bisogna fare lo stronzo e anno il ruolo del capo al buco del culo e smettono così di fare lo sciopero vivendo tutti felici e contenti.

“La storia di Pinocchio” di Giovanni Farina dal carcere di Siano Catanzaro


Ricevuta, copiata e pubblicata

Un giorno un personaggio del governo italiano va in un paese del sud chiamato LEGO a fare una visita elettorale per le votazioni amministrative.

Il sindaco del paese voleva far vedere che il suo era un paese dove tutto funzionava a perfezione, che i suoi cittadini erano laboriosi e rispettosi delle leggi e della loro città che tenevano pulita, facevano la raccolta differenziata, tutto era in ordine: un paese da prendere come esempio per l’Italia

Per fare la sua bella figura il sindaco ordina alla polizia di stato di rastrellare la città da capo a fondo e arrestare tutti i barboni, i lavavetri, chi nel passato si era reso responsabile di qualche furtarello.

In questa retata viene portato in prigione anche Pinocchio.

In carcere tutti gli arrestati si raccontavano per quale motivo erano stati arrestati. Pinocchio trova un suo conoscente che gli domanda “E tu, Pinocchio, che cosa hai fatto? Perché ti hanno arrestato?” Pinocchio risponde che lui non aveva fatto nulla.

Quando arriva il personaggio atteso al paese LEGO le strade erano piene di cittadini festanti che applaudivano: tutto era perfetto.

Il personaggio governativo, conclusa la sua visita, visto che nel paese LEGO tutto funzionava alla perfezione, si domanda che cosa poteva fare di utile per quel paese. Si domanda: “ci deve essere qualcosa che non funziona in questo paese.”

Decide di dare un’amnistia ai carcerati.

La guardia carceraria si presenta in carcere con la circolare e la lista dei carcerati che beneficiavano dell’amnistia. Inizia a chiamare tutti i carcerati condannati per i reati connessi all’amnistia, nome dopo nome chiama tutti, si svuota il carcere.

Resta solo Pinocchio che a quel punto domanda alla guardia quando l’avrebbero scarcerato. La guardia gli domanda :”perché, che crimine hai commesso?” e Pinocchio risponde :”Nulla.” La guardia legge la circolare e dice :”Nulla non rientra nell’amnistia, non ti posso scarcerare.” La guardia, non ancora convinta, chiede a Pinocchio come poteva essere in galera senza aver fatto nulla, insiste, gli suggerisce :”Prova a ricordare…nemmeno un piccolo fallimento bancario? Una piccola corruzione? Un’appropriazione di risparmi di pensionati? Non hai fatto dei piaceri a qualche imprenditore che ti ha regalato qualche villetta a tua insaputa?”

E davanti al silenzio di Pinocchio conclude :”Mi dispiace, nella circolare emanata dal governo chi non ha fatto nulla deve restare in carcere”.

“La giusta via dell’amore è quella dell’esperienza” di Giovanni Farina dal carcere di Siano Catanzaro


Ricevuta, copiata e pubblicata

Il vero capire non avviene il più delle volte con la testa ma col cuore.

Anche un piccolo sussulto quando è sincero può diventare un uragano e in mezzo alla tempesta ti fa vedere un cielo pieno di stelle che ti parrà di vedere per la prima volta.

Qualche volta è utile anche perdersi nell’immensità di un universo che ti senti di farne parte ancche con i soli pensieri…anche se non so dove passi le tue notti ti raggiungo ogni notte con i miei sogni, è un viaggio notturno dell’anima.

Dove ci sei tu ci sono i silenzi che io ero abituato a sentire. Il silenzio che esce dalla terra, un simbolo della vita, il respiro dell’amore e della nascita. Dal giorno che sono nato ho aspettato l’alba che liberasse il mio cuore prigioniero.

Da questo omento dentro al mio silenzio cerco la fonte dove scorre l’acqua sorgiva che un giorno accarezzerà la mia pelle e mi darà la chiave del paradiso.

La visione che più mi piace è quella che mi fa capire che la vita non si ferma, si può distruggere, oscurare il mondo ma all’improvviso si può vedr spuntare una piccola piantina che ti dice che un germoglio sta nascendo.

L’inferno è per chi ha dimenticato l’amore.

“Madri di anime di uomini vivi” di Giovanni Farina dal carcere di Siano Catanzaro


Ricevuta, copiata e pubblicata

Da anni vivo sotto il peso di un’esistenza che non è più la stessa.

Incontri di spiriti e di fantasmi nelle lunghe passeggiate sotto le larghe

Braccai dei castagni illuminati dalla luna, dalle fronde ombrose, bagnate dalla brina della nebbia. Momenti di immaginazione e di pensiero libero nel corpo e nella mente.

Ora invece il mio corpo è stretto da mura di cemento nere di umidità prigioniero di un’esistenza lenta, senza idee, senza limite.

Sono geloso dei sogni che non ci sono pi, che si sono allontanati, svaniti, sciolti nel nulla…

Il mio spirito, anche da sveglio, è sotto assedio scrutato da occhi invisibili che, in continuazione, mormorano dentro le mie orecchie i minuti, gli attimi della mia condanna senza esistenza.

Sono costretto, giorno dopo giorno, a camminare dentro un vestito nuovo, logoro dal tempo che passa.

Non sono reale stretto in un’esistenza che non c’è.

Circondato da corvi che si cibano del tuo respiro, di ogni tuo attimo.

Resto assente per giorni, non vedo, non sento la loro presenza, sono piombato in un profondo oblio da anni, insensibile, non sento la mia presenza.

Il sonno profondo che, giorno dopo giorno, mi ha fatto suo non mi fa sentire i rumori, le voci che sento non mi appartengono.

Prigioniero di un soffitto che non vuole farmi riconoscere il cielo, il sole che mi ha nutrito a ogni risveglio del mattino.

Sono giorni che dalla stretta finestra entra un insetto nero con macchie gialle, si fa un giro in questo angolo buio penso stia cercando dove fare il suo nido. Lo lascio fare, non mi dà fastidio, è troppo concentrato a creare la rinascita.

“Il cinghiale fico”, fiaba di Giovanni Farina dal carcere di Siano Catanzaro


Un’estate mio padre mi disse: “Giovanni, stai attento che nessun animale entri nell’orto a mangiare le verdure e le patate.”

Una mattina all’alba vidi un grosso cinghiale che stava entrando nell’orto. Gli sparai subito una fucilata perché volevo eliminare, una volta per tutte, l’animale che distruggeva da tempo il mio orto.

Non lo uccisi come avevo sperato ma lo ferii.

Il cinghiale ferito iniziò una carica verso di me, voleva a sua volta ferirmi.

Preso dalla paura gli sparai una seconda fucilata con la bacchetta ancora nella canna , non avevo fatto in tempo a completare il caricamento del fucile.

Il cinghiale, sentendosi colpito per la seconda volta anche dalla bacchetta che si era piantata nel suo corpo, si buttò tra i cespugli e si diede alla fuga.

Passò un anno.

Un giorno mentre stavo girando per la mia campagna vidi tra gli alberi un albero di fico che non avevo mai visto prima in quel luogo, mi arrampicai sull’albero e iniziai a mangiare i fichi maturi.

Mentre stavo mangiando i fichi maturi sentii l’albero muoversi, guardai verso il basso domandandomi perché l’albero di fichi si stesse muovendo.

Con mia grande sorpresa vidi che l’albero di fichi era radicato sul corpo di un grosso cinghiale.

Dopo un momento di sorpresa e di domande mi ricordai che, qualche tempo prima, avevo sparato a un cinghiale mentre stava entrando a mangiarsi gli ortaggi del mio orto. Gli avevo sparato insieme alla palla di piombo anche la bacchetta che era di legno di fico. La bacchetta di legno di fico non era andata persa, aveva messo radici sul corpo del cinghiale, era diventata albero e aveva fatto il frutto.

Ancora oggi in Maremma i contadini e tutti i pastori vedono il cinghiale fico attraversare i campi di grano maturo quando c’è la luna piena alta nel cielo.