Suore tra trucchi e whiskey


“Animazione vocazionale per suore” così si chiama il corso organizzato a Roma dall’Istituto Superiore di Scienze Religiose del Regina Apostolorum. L’incontro internazionale prevede sette giorni di preghiera, ascolto, dialogo, e condivisione di esperienze ma anche l’approccio, per le religiose, a cosmetici e alcolici. Gli organizzatori spiegano che è necessario per la nuova evangelizzazione, “dare speranza ai giovani” avvicinandosi al loro mondo.

Suore tra trucchi e whiskey

Le religiose di certo non si daranno alla bella vita, solo cercheranno di comprendere meglio l’universo dei più giovani. Le suore di tutto il mondo si riuniranno a Roma per una settimana per diventare “animatrici dei giorni nostri”. Il Concilio Vaticano II ha sottolineato la necessità di un “impegno universale di tutti gli uomini e le donne di buona volontà, laici e consacrati, per una nuova evangelizzazione”.

Gli organizzatori del corso spiegano che tra ombretti e cocktail, le religiose “consacrate dallo Spirito, faranno arrivare all’intera società il messaggio sempre attuale della salvezza di Cristo, attraverso il carisma proprio di ogni congregazione”. Tra i temi trattati nel corso: da Internet al convento; promotori vocazionali tra i cosmetici e i pub; le qualità essenziali dell’animatrice vocazionale; capire la ragazza dei nostri giorni; ridare la speranza; natura, finalità e ostacoli nella pastorale vocazionale; la direzione spirituale; i sacramenti e la preghiera.

fonte Tgcom

La situazione: dodici suicidi dall’inizio dell’anno. Storie di ordinaria emergenza. Una quotidiana strage di legalità, diritto, vite umane


 di Valter Vecellio 

La strage di legalità e di diritto, e dunque di vite umane è particolarmente pesante in carcere. C’è chi prende un lenzuolo, ne fa una corda e si impicca, succede nel penitenziario di Padova, dove un detenuto di 27 anni, tunisino, è evaso così, dal carcere. Oppure, come ha fatto un altro detenuto a Siracusa, dopo il colloquio si butta dalla tromba delle scale del carcere, e ora è in coma. Nelle stesse ore, nel carcere romano di Rebibbia un detenuto in italiano si impiccava. Come ha fatto l’altro giorno un detenuto a Brescia. Sempre nelle stesse ore, nel carcere perugino di Capanne, dove a causa del sovraffollamento alcuni detenuti non hanno neppure una branda e devono dormire su dei materassi a terra, nelle ultime ore ci sono stati due tentativi di suicidio; un terzo detenuto ha minacciato di ferirsi con dei vetri. Protagonisti di tentativi di suicidio sono stati un nordafricano, che ha ingoiato delle lamette, ed un tossicodipendente italiano, che ha infilato la testa in un sacchetto di nylon per inalare il gas contenuto all’interno di alcune bombolette. Del terzo episodio è stato protagonista un detenuto per questioni di droga italiano, che dopo aver rotto lo specchio del bagno, ha minacciato di tagliarsi la gola perché i giudici – ha spiegato – non l’hanno scarcerato.

 Per quello che è dato sapere, dall’inizio dell’anno sono dodici i detenuti che si sono tolti la vita. Erano in prevalenza persone giovani (6 con meno di 30 anni) e in carcere per reati non gravi, alcuni appena arrestati ed altri prossimi alla scarcerazione. Solo in 3 casi si prospettavano detenzioni lunghe.

 Vincenzo Balsamo, suicida a Fermo martedì scorso, prima di morire aveva presentato un ricorso alla Corte Europea dei diritti dell’Uomo di Strasburgo contro il sovraffollamento del carcere dove era ristretto.

 Confrontando il tasso di sovraffollamento delle carceri dove sono avvenuti i suicidi di quest’anno con il numero totale dei suicidi registrativi negli ultimi cinque anni emerge che la frequenza dei suicidi arriva a triplicare nelle condizioni di maggiore affollamento, ma anche di particolare fatiscenza delle celle.

 Il “primato negativo” spetta al Carcere di Cagliari, con 506 detenuti (affollamento al 146%) e 11 suicidi in 5 anni, con la frequenza di 1 suicidio ogni 46 detenuti. A San Vittore, con 1.127 detenuti (affollamento al 242%) e 13 suicidi in 5 anni, la frequenza è di 1 suicidio ogni 86 detenuti; quindi l’affollamento è quasi doppio, ma ci si suicida la metà!

 Sulmona, che ha la triste nomea di “carcere dei suicidi”, si colloca al secondo posto: con 481 detenuti, affollamento al 159% e 6 suicidi negli ultimi 5 anni registra una frequenza di un suicidio ogni 80 detenuti.

 Il carcere meno affollato è Spoleto: 565 detenuti e affollamento al 124%; in 5 anni vi sono avvenuti 5 suicidi, 1 suicidio ogni 113 detenuti (la metà di San Vittore e 1/3 del Buoncammino di Cagliari).

 Il carcere con la minore frequenza di suicidi è Verona, nonostante un affollamento del 162% (956 detenuti e 3 suicidi in 5 anni, pari alla frequenza di 1 suicidio ogni 318 detenuti). Questo risultato positivo è probabilmente in relazione con le numerose attività lavorative, culturali e sportive che vi si svolgono e che consentono ai detenuti di trascorrere parte della giornata fuori dalla cella.

 Torniamo a Roma, Rebibbia, per una storia che lascia perlomeno perplessi. C’è un detenuto, Antonio: non riesce a parlare perché a tratti la parola gli si inceppa, non può articolarla, gli si blocca il respiro, i tratti del viso e del corpo appaiono deformati dagli spasmi della malattia. Antonio dice che dall’82-83 si sono manifestati i primi sintomi della malattia, una patologia che impedisce una postura normale, condiziona i movimenti del viso e del corpo, che appaiono tipici degli spastici, e dà dolori diffusi; era quasi scomparsa per ricomparire nel ‘97, in forma leggera. Ma di nuovo, dal 2007 è andata via via peggiorando.

 Dal ‘98 Antonio è detenuto, è stato in vari istituti del Lazio, gli hanno fatto alcune analisi e poi lo hanno mandato ad Opera, a Milano, dove un medico lo ha inviato al “Carlo Besta”, un centro di alta specializzazione, dove gli hanno definitivamente diagnosticato la malattia.

 Successivamente è stato trasferito a Rebibbia, nel 2007 nell’infermeria del carcere. Da circa un mese è però in un reparto “normale”, in una cella con la porta blindata, dove la carrozzina non passava dalla porta; gli è stato lasciato il catetere, che dava meno problemi perché le dimensioni della cella rendevano l’accesso al water troppo complicato per chi ce lo doveva portare, ma così non poteva mai uscire e restava chiuso, a letto, 24 ore su 24, salvo che per i colloqui, quando veniva preso in braccio per passare dalla porta. Da qualche giorno gli è stata assegnata una cella più larga, dove, almeno, la carrozzina può passare

da www.radicali.it

La morte a Capodanno


di Roberto Puglisi

Debora, diciassette anni, inghiottita da via Dell’Olimpo, strada tristemente famosa a Palermo (come racconta la foto). Bernardo, ucciso da un incidente sulla Statale 113. Un ragazzo annientato sulla Catania-Gela. E loro? Loro, gli uomini delle istituzioni, devono aspettare per forza che muoia qualcuno. E poi, forse,  parlano. Parlano. Parlano. A Palermo, tra via Dell’Olimpo e via Venere, nel noto triangolo degli incidenti, hanno messo qualche ridicolo dissuasore all’altezza dell’asfalto macchiato dal sangue di Salvuccio Gebbia. Per il resto, arrangiati. Questo per dire che non esiste una politica comunale sulla prevenzione degli incidenti. Veramente, a Palermo non esiste una politica comunale praticamente su niente. Ma qui parliamo delle vite dei ragazzi. E dello scempio che ne viene fatto nell’impastatrice della retorica dei politici.
Certo, i ragazzi non sanno guidare e sono spericolati. Una caratteristica di molti palermitani e siciliani attempati. Gente perseguita magari giustamente per la targa alterna sbagliata, in un giorno di smog. E con la licenza di sgommare, di sorpassare a destra, di fregarsene della doppia striscia continua. E mai che si trovi uno con mezza divisa a mormorare: scusi?
Il meccanismo vizioso produce morti. Domani leggeremo, come sempre, pezzi sulle vittime e sui carnefici. E le vittime sono sempre “bravi ragazzi, prudenti e attenti”. Figuriamoci se abbiamo voglia di irridere lo strazio dei parenti. Lo conosciamo bene. L’abbiamo praticato. Ci siamo stati nelle case del dolore, con le madri e con i padri, consci dell’irreparabile. Sappiamo come può ridursi un corpo giovane, smembrato da un impatto atroce. Livesicilia ha soltanto la sua voce, per gridare essenzialmente due cose. E le vuole gridare forte. L’amministrazione – quella più prossima a noi, quella di Palermo – deve darsi una mossa, in termini di prevenzione e rimedi. Perché muoiono tutti in via Dell’Olimpo? Sfortuna? E poi vorremmo dire per nulla sommessamente – senza il minimo riferimento alle morti di di cui parliamo oggi, la cui dinamica oltretutto è incerta – che chi non rispetta le regole della strada è un coglione. Non un cretino e nemmeno un fesso. Proprio un coglione, specialmente se muore a vent’anni, per colpa della sua leggerezza. Lo vorremmo scritto a caratteri cubitali su ogni muro, dietro ogni curva. E se questa parola vi turba, andateci voi a carezzare le lapidi che fioriscono sul nostro asfalto. Guardateci voi, dentro gli occhi di una madre che chiama, senza risposta, il nome di suo figlio.

da www.livesicilia.it