Adolescenti dello stesso viaggio


di Tiziana Mignosa

Se il bimbo
coi suoi passi incerti
la spinta trova al posto di carezza
quando il pavimento con le mani tasta
il cielo capovolto sotto ai piedi incrocia.
 
Le parole intinte nell’aceto
aiutano soltanto chi le rigurgita
alleggerendo così il sacco della rabbia
sospingono il bersaglio del momento
sugli spigoli della sofferenza a scrocco.
 
La gentilezza
è mano che accompagna sulla via
soffice poltrona
che il posto espugna
al duro banco della scuola.
 
Infatti chi per prima
davvero alla scialuppa arriva
tira a mare il salvagente
invece di piombarlo in testa
a chi nell’acqua di certo non sta bene.
 
A tutti noi
adolescenti dello stesso viaggio
ci viene chiesto d’essere migliori
ma non per  questo
di considerarci i primi.
 
Rallenta il passo
infatti
chi crede d’essere il più bravo
quando l’altruismo e l’umiltà
sono scarpe comode chiuse nel buio dell’armadio.
 

“Il brigante e le api”, breve fiaba di Carmine dal carcere di Augusta


Conosco Carmine personalmente essendo volontaria nel carcere di Augusta e posso assicurarvi che il cambiamento che lui ha voluto descrivere sotto forma di fiaba in lui è avvenuto, è stato davvero un “brigante cattivo”, ha fatto molto male e sta pagando e pagherà ancora molto a lungo per questo ma è una persona totalmente diversa dal “brigante” che era: se le api capiscono che anch’io posso essere buono, allora anche gli uomini possono capirlo

…”C’era una volta un brigante cattivissimo, faceva paura a tutti. Scorazzava per i monti e la campagne ed era solito aspettare i viandanti su un ponte che attraversava un fiume.

Derubava chiunque gi capitasse a tiro e se quei poveri sventurati si opponevano lui faceva loro del male.

Durante una delle sue scorrerie capitò in un campo dove una povera vedova aveva un’arnia da cui prendeva del miele per fare i dolcetti ai suoi bambini.

Il brigante da lontano vide che, quando la donna prelevava il miele dalle arnie, le api non le facevano nulla e pensò che anche lui potesse farlo.

Il brigante già si leccava i grandi baffi che aveva al pensiero del miele saporito che avrebbe rubato. Si fece avanti con aria minacciosa ed urlò tanto che la povera vedova ed i suoi bambini scapparono di corsa.

Allora il cattivone si avventò sull’arnia cercando di distruggerla per impadronirsi del miele saporito, ma le api inferocite lo attaccarono in gruppo e cominciarono a pungerlo dappertutto e mentre lui correva loro lo pungevano sempre di più finché raggiunse il fiume e vi si buttò dentro.

Solo l’acqua lo salvò dall’ira dello sciame d’api!

Passò del tempo ed il brigante ripensava spesso a quanto gli era accaduto, cercando di capire il perché le api lo avessero aggredito con tanta forza, mentre alla donna non facevano nulla.

Così si recò di nuovo verso il campo della vedova per chiederlo direttamente a lei. La poverina, quando lo vide, terrorizzata, cercò di scappare via, ma stavolta il brigante fu più lesto di lei, la raggiunse e la bloccò.

Con tono minaccioso le chiese: “Adesso devi dirmi perché tu prendi il miele e le api non ti fanno nulla, mentre a me, per aver cercato di prenderne un po’, mi hanno inseguito e punto dappertutto; mi sono salvato solo perché ho raggiunto il fiume”.

La povera donna era tremante di paura, temeva che dicendo la verità il brigante si arrabbiasse e le facesse del male ma, soprattutto, temeva che ne facesse ai suoi bambini.

Spaventata dalle minacce si decise a parlare e con tono calmo e gentile disse :”Dunque, brigante, devi sapere che le api mi permettono di prendere un po’ del loro miele perché io le curo, poi, quando vado a prelevarlo lo faccio con delicatezza e capiscono che non voglio far loro del male. Tu, invece, hai buttato l’arnia per terra e loro si sono arrabbiate”.

Il brigante, non abituato a dare né a ricevere gentilezze, non riusciva a capire e no le credeva, così lei gli mostrò come fare.

Il rude brigante, con gentilezza, si avvicinò all’arnia e prelevò del miele, le api si allontanarono e poi ritornarono senza fargli alcun male.

Ripensò a tutta la sua vita scoprendo che non esisteva solo il suo modo cattivo di vivere.

Pensò che :”se le api capiscono che anch’io posso essere buono, allora anche gli uomini possono capirlo”. Queste considerazioni fecero sì che cambiasse, comportandosi in modo gentile.

Da quel giorno del cattivo brigante non si sentì più parlare.

Egli divenne buono e decise di rimanere con la vedova ed i suoi bambini per aiutarli nel loro duro lavoro nei campi.

Genio e gentilezza da testosterone


Riabilitato l’ormone dell’aggressività

La scienza spezza una lancia a favore del testosterone. Se, da un lato, la sua funzione fisiologica nel corpo dell’uomo non è mai stata messa in discussione, sotto una serie di punti di vista l’ormone maschile per eccellenza si è guadagnato una cattiva fama, finendo sotto accusa con una certa frequenza perché accusato di favorire l’aggressività e una certa propensione verso il rischio. Invece, proprio il testosterone sarebbe all’origine di comportamenti di tutt’altro tipo, tra cui gentilezza, fair play e persino genialità.

Sono queste le conclusioni di un gruppo di studiosi dell’Università di Zurigo (Svizzera), diretti da Christoph Eisenegger, autori di uno studio condotto su 121 giovani donne. Le ragazze sono state divise in due gruppi: le appartenenti al primo hanno ricevuto una dose dell’ormone (pari a 0,5 mg), mentre alle altre è stato dato un placebo. Inoltre ad alcune donne è stato comunicato di essere parte del primo o del secondo gruppo, ma non sempre questo corrispondeva a verità. Nel corso di un gioco basato sulla contrattazione, i ricercatori hanno osservato che le ragazze che avevano effettivamente ricevuto il testosterone si comportavano in modo più gentile, accumulavano meno conflitti e facevano registrare migliori interazioni sociali. Tutti questi atteggiamenti, alla fine, si sono rivelati vincenti nella strategia del risultato da ottenere. Insomma, grazie all’ormone maschile le ragazze-cavia non erano solo più gentili e corrette, ma anche più creative nell’inventare soluzioni ai problemi incontrati. Insomma, erano anche più “geniali”. 

Al contrario, quelle che pensavano a torto di avere preso l’ormone, erano influenzate dalla sua “cattiva fama” e finivano per comportarsi in modo meno corretto e cortese rispetto alle colleghe convinte di aver assunto un placebo; questo atteggiamento, alla fine, le portava spesso a “giocarsi” la ricompensa. I ricercatori, insomma, hanno osservato che la connotazione negativa che si ritiene legata ai maggiori livelli di testosterone sembra abbastanza forte da causare un comportamento sociale negativo: in pratica è sufficiente l’idea di avere in sé un testosterone “da maschi” per modificare in negativo il comportamento nei confronti dei propri simili. Tutto questo è vero anche se l’effetto biologico della sostanza, in realtà, sarebbe proprio l’esatto contrario.

Insomma, lo studio pubblicato su “Nature” boccia il preconcetto che vede da decenni questo ormone legato esclusivamente ad aggressività, egoismo e persino alla propensione alla violenza. Secondo Michael Naef del Royal Holloway di Londra, coautore della ricerca, questa cattiva fama sarebbe invece in parte dovuta al fatto che “gli studi sono stati condotti” finora “su roditori e primati”, non sull’uomo. Negli uomini, ricordano i ricercatori sul quotidiano britannico “Daily Mail”, il testosterone viene prodotto naturalmente e i livelli si riducono con l’aumentare dell’età, comportando un impatto anche forte su sessualità e livelli di energia maschile.

 onte tgcomf