Viaggiatori di sguardo


di Maria Vacante

 Dal 1 dicembre 2009 è aperta al pubblico la sala permanente “Viaggiatori di sguardo” all’interno di Palazzo Ducale a Genova. Un percorso multimediale e interattivo all’interno dei Palazzi dei Rolli dichiarati patrimonio dell’Umanità dall’UNESCO il 13 luglio 2006. “Palazzo Ducale, luogo di riferimento per la città e non solo, nel quale vengono realizzate importanti rassegne espositive ed eventi unici per la loro qualità culturale, con questa nuova iniziativa regala a tutti i cittadini, ai turisti e ai semplici passanti che ne attraversano i suoi Cortili, la possibilità di approfondire la conoscenza del patrimonio artistico di Genova e della sua storia” (dal depliant dell’iniziativa). Un progetto unico, in Italia e all’estero, nella originalità delle tecnologie e delle nuove modalità di interazione e di “fruizione attiva” di beni culturali, creato da InfoMus – Casa Paganini, centro di ricerca dell’Università di Genova collegato alla Facoltà di Ingegneria, e realizzato con il sostegno della Compagnia di San Paolo e il contributo di Regione Liguria – Progetto UNESCO e i Rolli promosso dal Sistema Turistico Locale del Genovesato. Il visitatore può fare una passeggiata virtuale attraverso luoghi e palazzi che appaiono, ad altissima definizione, su una grande parete-schermo. Grazie a gesti semplici e naturali come allargare le braccia per fingere di osservare attraverso un binocolo, o muovendo il corpo davanti alla parete-schermo per svelarne i tesori che racchiude, può “entrare” negli storici Rolli e scrutarne i particolari, dalle sale interne ai vestiboli, ai giardini, agli affreschi, diminuendo o aumentando lo zoom a seconda dell’ampiezza dei gomiti. Le fotografie utilizzate per gli esterni dei Palazzi sono state realizzate con uno straordinario lavoro di tecnica fotografica e di graphic design. I Palazzi dei Rolli rappresentano un insieme architettonico unico nel suo genere in Europa, ed una delle maggiori attrattive del centro storico genovese. Selezionati sulla base dei loro caratteri architettonici di maggior pregio, dal 1576 essi erano inseriti, per decreto emanato dal Senato della Repubblica di Genova, nel cosiddetto “Rollo degli alloggiamenti pubblici”, cioè un elenco di dimore patrizie rinomate per la loro eleganza e per i comfort offerti, destinate a risolvere il problema dell’accoglienza degli ospiti in visita di Stato a Genova. Il Rollo era suddiviso in tre contenitori cilindrici, nei quali venivano introdotti i nominativi dei diversi palazzi, suddivisi in base alla loro bellezza, e venivano quindi assegnate all’ospite di turno in base alla sua dignità. Questo sistema contribuì a far conoscere a livello internazionale le tipologie architettoniche e la cultura residenziale della città: molti artisti e viaggiatori ne rimasero incantati. Si tratta di un insieme di palazzi del Rinascimento e del Barocco lungo le cosiddette “Strade Nuove”, via Garibaldi e via Balbi. I grandi palazzi residenziali eretti sulla Strada Nuova verso la fine del sedicesimo secolo formavano il quartiere della nobiltà che aveva assunto il governo della Repubblica. I palazzi sono generalmente alti tre o quattro piani e sono caratterizzati da scaloni aperti, cortili, e loggiati che dominano dall’alto i giardini costruiti su differenti livelli in spazi relativamente stretti. “Viaggiatori di Sguardo” con l’impiego di supporti multimediali, consente di godere lo stupore per un passato prezioso evocandone l’incanto, ritrovando vicine le meraviglie della lontananza. Entrando nella sala, si vede proiettata sulla parete di destra la nostra silhouette (tramite telecamere a infrarossi) che, come un’ombra luminosa segue i nostri spostamenti e ci consente di ritagliare sullo schermo oscuro, delle zone ben visibili in base ai nostri movimenti. Fermandoci si attiva il sistema e si inizia a esplorare le immagini che appaiono sullo schermo di fronte a noi: a questo punto si simula di impugnare un binocolo. I Palazzi si aprono quindi al nostro sguardo. Questo gesto semplice e antico nello stesso tempo, è lo strumento che ci ha consentito di entrare nei palazzi e scoprirne i tesori nascosti, perché fermandosi qualche secondo in quei punti della fotografia in cui appare un cerchio viola, si ha la possibilità di esplorare l’interno del palazzo, poi altrettanto semplicemente lasciando andare le mani lungo i fianchi, il programma ci riporta all’esterno del palazzo.

Apre a Genova la discoteca cristiana


Gesù si è fatto deejay per avvicinare i giovani a Dio nella prima “discoteca cristiana” della diocesi di Genova, inaugurata la notte scorsa sulla spiaggia di Arenzano per far ballare d’estate i turisti e i parrocchiani in allegria, pregando e divertendosi. L’idea è di don Roberto Fiscer, genovese, 33 anni, vice parroco di Arenzano ordinato dal segretario di Stato Vaticano Tarcisio Bertone. Ex deejay sulla navi da crociera, diventato sacerdote nel Giubileo del 2000, si è inventato la “discoteca cristiana” per diffondere tra i giovani la parola di Gesù. Ieri, alla ‘prima’, hanno ballato disco hit religiose come ‘Shake the devil off’ (Scaccia via il diavoletto) un centinaio di giovani, mamme, papà, nonni, tra i quali si sono mischiati giornalisti, fotografi, cameraman, curiosi, persino una donna musulmana con il velo sul capo, sorridente al ritmo della musica “Gesù ti ama”. Cuffie, mixer, indosso la maglietta della Madonna di Lourdes e tanta energia, don Roberto Fiscer dalla consolle improvvisata dei Bagni San Pietro di Arenzano, una struttura privata di una sua amica, ha suonato musica dance cristiana fino a notte fonda. Ingresso libero, pacifici buttafuori i frati del Santuario Gesù Bambino di Praga, cocktail alcolici disponibili solo per gli adulti, la prima discoteca cristiana di Genova diventerà un appuntamento fisso ad Arenzano per tutta l’estate 2010 (ogni mercoledì dalle ore 21 alle 23.30 circa). “Don Roberto – ha commentato la giovane parrocchiana Anna, tra le più scatenate sulla pista da ballo – è innamorato della Madonna, ci sa fare con i bambini, gli piace essere un animatore, punta molto alla preghiera, ci fa conoscere Gesù divertendoci, è ovvio che chi ha Gesù nel cuore si diverte”. “Mi piace andare anche nelle normali discoteche – ha continuato Anna – non bisogna essere troppo rigidi, ogni cristiano ha due casse da suonare, la prima della preghiera, la seconda del divertimento. Non si deve essere cristiani e musoni, é importante divertirsi ed essere felici con Gesù”. “La Madonna ha detto che ci vuole felici sulla Terra – ha spiegato don Roberto – quando balliamo, cantiamo e ci divertiamo in modo sano come qui, lei è felice, l’importante è divertirsi nel modo giusto avvicinando i ragazzi al messaggio di Gesù”. “Non ci siamo ancora sentiti – ha risposto don Roberto a una domanda sull’eventuale commento del presidente della Cei e arcivescovo di Genova, cardinale Angelo Bagnasco -: guardate che il nostro cardinale è una persona apertissima. Mi tratta come un padre, i suoi sacerdoti li tratta come padre”. Tra le hit più ballate nella prima ‘discoteca cristiana’ ci sono state le musiche ‘Ama Gesu’ con tutto il Cuoré, ‘Osanna’, ‘Lodiamo il Signore Gesu’ perché viventé, ‘Gesu’ ti amà, ‘Fiesta Fiesta Alleluja’, ‘Siamo la gente che loda il Signor’ o ‘I cinque sassi della Madonna per buttare giu’ il diavolo”. D’estate, oltre alla discoteca, Don Roberto ogni mercoledì sulle spiagge degli stabilimenti balneari di Arenzano organizza la messa sulla spiaggia, infradito e costumi da bagno consentiti, dove vengono donati ai fedeli Vangeli, preghiere e perfino i similari dei ticket restaurant, i “buoni per la confessione”.

fonte ANSA

Premio speciale “PENSIERO CHE RIDE” a Franca Rame per “Una vita all’improvvisa”


Più che un Festival, è un ripasso. Sì, perché di comicità è impregnata tutta la nostra civiltà latina, fin da Plauto, che ha insegnato ai romani a ridere di sé. E allora via a una vera Olimpiade dell’umorismo, perché “quando un popolo non sa più ridere, diventa pericoloso” come sostiene Dario Fo. Lo hanno battezzato “Forme del pensiero che ride”, questo primo Festival del Comico” che sarà a Genova dal 20 al 25 maggio, ideato da Margherita Rubino e promosso dalla Fondazione Cultura di Palazzo Ducale: una settimana di spettacoli, premi ed eventi con una moltitudine di artisti. Per sfatare l’idea che la comicità sia un’arte di serie B. Una volta per tutte. “Oggi si espellono i comici dalla tv perché se ne ha paura – commenta Moni Ovadia – ma ridere dei politici in modo spietato è la prova della democrazia. Il vero spartiacque del ‘900 è stato Chaplin, che ha smontato il meccanismo della seriosità con la serietà poetica del ridere. Ecco, oggi ci vogliono politici capaci di cogliere i loro lati ridicoli”. E Genova era davvero il luogo ideale, per fare da teatro a sguardi dissacranti: la tradizione è lunga, infatti: dalla goliardia della Baistrocchi all’umorismo corrosivo della maschera di Gilberto Govi, dai personaggi creati da Paolo Villaggio a quelli di Maurizio Crozza.

Che risata sia. Si parte giovedì 20 maggio: un convegno inaugurato da Edoardo Sanguineti con interventi di Siro Ferrone, Moni Ovadia, Gioele Dix. Durante la prima serata, il sindaco Marta Vincenzi consegnerà il premio speciale “Pensiero che ride” a Franca Rame per l’autobiografia “Una vita all’improvvisa”. I comici saliranno alla ribalta con delle “serate d’onore”: Dario Fo, Pupi Avati, Paolo Villaggio, Daniele Luttazzi e Alessandro Bergonzoni. Venerdì 21 maggio Gino Paoli e Sergio Staino inaugureranno quattro stanze espositive: quella che ricostruirà lo studio di Gilberto Govi, una dedicata al Signor Bonaventura di Sergio Tofano, un’altra per la mostra dei collage di Tonino Conte “Che cosa c’è da ridere” e un’ultima per i fumetti di Gualtiero Schiaffino. Le firme più graffianti, poi, si sfideranno a colpi di matita con le “Lavagne comiche”: Sergio Staino si confronterà con Leonardo Brizzi, Vincino dialogherà con Federico Sanguineti, Massimo Bucchi con Simone Regazzoni. E sabato 22, dalle 20.30, maratona non stop di spettacoli fino a notte fonda tra i Palazzi di Strada Nuova. E siccome non c’è niente di più straniante – e comico – di vedersi attraverso gli occhi degli altri, quest’anno partirà il concorso “Risate dal mondo”, per le migliori pagine comiche in italiano scritte da stranieri: le opere dovranno essere inviate, anche via web entro il 10 maggio.

La Mostra su De André sbarca a Roma. All’Ara Pacis viaggio nella vita e la musica di Faber


Una settimana dopo il 70° anniversario della nascita di Fabrizio De André, arriva a Roma l’esposizione multimediale e interattiva ideata da Studio Azzurro che racconta la vita, la musica, le esperienze e le passioni che hanno reso “Faber” unico e universale. Anche Roma, dopo Genova e Nuoro, rende omaggio a De André ospitando negli spazi espositivi del Museo dell’Ara Pacis, dal 24 febbraio al 30 maggio, “Fabrizio De Andre’. La mostra”. Attraverso la narrazione virtuale, multimediale e interattiva viene proposta al pubblico un’esperienza emozionale, attraverso cui ognuno potrà mettersi in relazione con l’universo di “Faber”. 

Il racconto e la rappresentazione visiva, testuale e musicale si offrono dense di suggestioni ed emozioni e il pubblico, potrà di volta in volta scegliere quale immagine di “Faber” sviluppare per sé, in relazione con il proprio vissuto.

La mostra affronta i grandi temi della poetica di De André: la società del benessere e il boom economico degli anni ’60, gli emarginati e i vinti, la libertà, l’anarchia e l’etica, gli scrittori e gli chansonniers, le donne e l’amore, la ricerca musicale e linguistica, l’attualita’ nella cronaca, i luoghi rappresentativi della sua vita.

“Questo omaggio a Fabrizio De André – afferma in una nota Umberto Croppi, assessore alle Politiche Culturali e della Comunicazione del Comune di Roma – rappresenta un vero e proprio atto di riconoscenza che Roma dedica a un poeta sinceramente amato. Il pubblico della nostra città lo adorava, i suoi pochi concerti erano sempre gremiti di spettatori di ogni età, come se la memoria e l’utopia, che magicamente coabitavano nelle sue canzoni, riuscissero a restituire a nostri luoghi la loro simbolica perennità”.

“Come tutti gli artisti che, per loro stessa natura, erano incapaci di aderire pienamente a un’idea e men che meno di riconoscere forme di potere e di autorità – prosegue Croppi – il postumo destino di Fabrizio De André è stato quello di appartenere, senza distinzioni, alla gente comune. Ma se proprio volessimo discernere da essa un ristretto gruppo di privilegiati, ebbene senz’altro penseremmo a quel mondo degli esclusi, dei diversi e dei diseredati che egli, quant’altri mai, seppe raccontare con la potenza dei suoi versi”.

“Anarchico senza cedimenti – aggiunge Croppi – solidale e mai ipocrita (‘I veri sequestrati sono loro!’ disse dei suoi stessi rapitori sardi il giorno dopo la liberazione), eterogeneo e irriducibile, mai omologato ad alcun sistema di pensiero, De André ha saputo illustrare la nostra letteratura novecentesca perche’ la sua voce seppe cantare la liberta’ intesa come eterno desiderio, come rivolta interiore, come voglia di credere in altre idee, ancora da concepire”.

“In un periodo in cui la famiglia e la comunità conoscevano una crisi senza precedenti, Fabrizio – sottolinea Croppi – riuscì non soltanto a conciliare la sua generosa umanità con la filosofia dell’oro di un padre importante ma anche a formare con Dori Ghezzi un sodalizio sentimentale e artistico di solida dolcezza, al quale noi estimatori siamo riconoscenti, visto che ci permette tuttora di godere della creatività di questo protagonista della poesie e della canzone italiane. Anche grazie a questo lascito, così amorevolmente custodito, nell’animo di ciascuno di noi almeno una strofa di una sua canzone resta impressa come il segno incancellabile di un’affezione, di una vicinanza reale, di uno scatto emotivo che gli dobbiamo. Ed è conseguenza – conclude – che ci manchi e che non lo dimenticheremo mai”.

L’esposizione, a cura di Vittorio Bo, Guido Harari, Vincenzo Mollica e Pepi Morgia, è promossa da Comune di Roma, Assessorato alle Politiche Culturali e della Comunicazione, Sovraintendenza ai Beni Culturali, Fondazione Fabrizio De André onlus, Genova Palazzo Ducale Fondazione per la Cultura, Zétema Progetto Cultura.

fonte Adnkronos

Buon compleanno, Faber


Ecco come Greggio e Iachetti hanno reso omaggio a Faber nel giorno della sua morte

http://www.youtube.com/watch?v=TZ77llDBcTc&feature=related

Per me una delle più belle canzoni del grande Faber, Boccadirosa

http://www.youtube.com/watch?v=SBGZ1EdzCqo

Genova. Bagnasco incontra i trans, con loro una foto ricordo


Il presidente della Conferenza Episcopale Italiana Angelo Bagnasco  torna a Genova, la città in cui è arcivescovo, per incontrare le suore e finisce a colloquio con i trans. Un appartamento nel centro storico di Genova, nei vicoli che un tempo delimitavano il vecchio Ghetto e dopo sono diventati i caruggi dei travestiti; nella casa abitano le suore contemplative missionarie dell’ordine di padre de Foucauld.

In queste stanze ieri pomeriggio, 8 febbraio, il cardinale Angelo Bagnasco ha incontrato una decina di transessuali. Le suore avevano chiesto al cardinale se era disponibile a un incontro «con le nostre ospiti». Le ospiti si chiamano Regina, Lucrezia, Patrizia, sono tutti trans. Il cardinale ha detto sì. Ha incontrato anche altri ospiti, alcune famiglie di senza tetto, una delegazione di immigrati, ragazze fuggite dal racket della prostituzione. I trans hanno preparato canzoni di benvenuto e hanno raccontato la loro vita prima e in che modo è cambiata.

Il cardinale ha ascoltato, seduto nel salottino, ha accettato lo scatto della foto ricordo con suore e trans, ha stretto le mani a tutti, ha ascoltato l’inno dedicato alla Madre di Dio cantato da voci inconsuete. Infine ha risposto con parole evangeliche. «Siamo figli del peccato originale — ha detto — tutti possiamo cadere nell’errore, possiamo peccare anche se siamo comunque responsabili delle nostre azioni. Ma Cristo è morto in croce per la salvezza di tutti. Non spetta a me giudicare. Le porte di Dio sono aperte a tutti».

I trans hanno chiesto un altro incontro per poter parlare ancora della loro vita, delle loro esigenze spirituali. «Il cardinale non ha condiviso la mia naturalezza nell’essere omosessuale ma abbiamo parlato — ha concluso Regina — è più di quanto sia riuscita a fare con il cardinale Siri che pure ho conosciuto tanti anni fa».

da www.blitzquotidiano.it

Genova: morto Vincenzo Curia, cronista da Guinness dei primati


Se esistesse il Guinness del , un primato che consacrasse il cronista che ha lavorato di più e che è arrivato al record di anni  di servizio, lui lo avrebbe vinto di sicuro. E per distacco. E’ morto a , dopo una breve malattia, , cronista giudiziario nella redazione genovese di .

I prossimi sarebbero stati 89 anni, ma “Unghia” non ci è arrivato per un soffio. E’ morto sicuramente perché si è accorto che  non avrebbe più potuto andare a caccia di notizie come aveva fatto ininterrottamente per 66 anni, tutti i giorni, dalla mattina alla sera, pochissime ferie escluse. “Unghia”, al secolo , era un giornalista calabro-genovese, premiato dal presidente Napolitano nel 2008 per la sua eccezionale carriera di cronista.

E’ morto senza sapere del suo straordinario primato di longevità,  forse, solo nascondendosi il fatto che nessuno in un giornale aveva mai lavorato quanto lui. Alla redazione genovese di   aveva un computer un po’ particolare, più semplice di quello dei colleghi, l’unica differenza preferenziale, concessa alla sua veneranda età.

Ma le altre differenze erano tutte a suo vantaggio. Il primo a andare a lavorare, a caccia di notizie appunto, il primo a chiudere l’ultimo pezzo, il cronista che in qualsiasi statistica mondiale ne ha portate al giornale più di ogni altro. Sessantasei anni senza tregua, con la stessa forza e la stessa passione e la vita intera dentro a un lavoro rispetto al quale non aveva nessun cedimento iconografico, ma solo un’austerità quasi rigida. Avrebbe potuto essere uno dei protagonisti del celebre film “Front page” (“” nella versione italiana), con Jack Lemmon primo attore, ma non aveva alcun vezzo messo in vetrina dagli interpreti di quella stupenda pellicola, ambientata nella sala stampa di un palazzo di Giustizia.

Curia macinava notizie e la parte del giornalista non l’ha mai recitata. Semplicemente lo era e non aveva bisogno di mostrarlo.

Era un figlio del Sud, Calabria profonda, diventato un genovese perfetto dopo avere combattuto la guerra d’Africa, essere sbarcato nel 1943 a ed avere incominciato a fare, prima il fattorino, poi il cronista nello storico “” di . Il giornale che Pertini avrebbe diretto per venti anni tra il 1948 e il 1968 e che Granzotto aveva normalizzato nella sua breve parentesi fascista: l’ultimo quotidiano ad arrendersi al Duce e al suo Minculpop.

Curia di direttori ne ha visti decine, tutti dopo la Liberazione. Lui era già là. Paolo Vittorelli, Giuliano Zincone, , Ugo Intini,  Ferruccio Borio, Franco Recanatesi, Umberto Bassi. Passavano, lo conoscevano, lui regalava torrenti di notizie, loro se ne andavano, lui restava sempre lì.

Era piccolo e elegantissimo sempre, mai una cravatta allentata, mai senza il vestito appropriato, d’estate e d’inverno con il caldo asfissiante e in certe giornate di gelo, con il suo blocco degli appunti in mano e occhi piccoli e attenti che ti perforavano. Era lo stile Curia. Si era specializzato nella cronaca nera, ma poi era diventato il re di Palazzo di Giustizia (“Il Palazzaccio”, diceva lui, con un mix di amore e di aggressività cronistica). Per cinquanta anni con il suo passo breve ma deciso entrava a un’ora impensabile per qualsiasi giornalista, largamente  primo, nel palazzo dei processi, delle inchieste degli scandali e si metteva a scavare, appunto, con la sua Unghia.

Nel frattempo il , i giornali sono cambiati mille volte, dal piombo, all’offset, ai primi computer. Sono cambiati tanto anche i giornalisti, che ai tempi dell’esordio di Curia erano come lupi affamati fuori dai giornali a caccia di notizie e poi piano piano sono diventati prevalentemente impiegati attaccati alla sedia, poi al computer, fatte le doverose eccezioni.

Curia è rimasto sempre lo stesso. La professione per lui era consumare veramente le sue scarpe e la sua unghia. Continuava a salire le scale del Palazzaccio a bussare ogni giorno a centinaia di porte, a fare domande a sedersi nelle aule dei processi, mentre intorno tutto cambiava, non solo la società, ma anche i processi, il diritto penale. Rovesciava sul tavolo dei suoi capi un fiume di notizie. «E’ cambiata la procedura? – ironizzava se lo stuzzicavi chiedendogli come facesse a capire tutte quelle rivoluzioni – Storie! c’è sempre un’accusa e una difesa. O no?».

Il suo ritmo non è cambiato mai: a sessanta, a settanta, a ottanta anni, quando gli altri pensavano alla pensione, al resto della vita o a ruoli più comodi, “Unghia” era ancora lì a scavare. E guai se qualche direttore o caporedattore gli proponeva qualcosa di diverso. Sarebbe morto in un giorno a fare dell’altro.

E’ una storia senza precedenti la sua, che ha bruciato ogni regola umana, fisiologica e perfino sindacale. Ma che ci faceva quell’ottuagenario in redazione e tutto il giorno a caccia di news? Gli istituti previdenziali, le federazioni della Stampa, i capi azienda tremavano, ma poi alla fine anche il sindacato si era arreso già qualche decennio fa. Via libera. Curia aveva una tessera professionale per l’eternità.

Generazioni di avvocati, di giudici, di uscieri, di uomini della Polizia giudiziaria sono stati per decenni la sua altra famiglia, che quella vera se la dimenticava un po’. L’unico rimpianto confessato, ma poche volte e con quella faccia da duro che non può rinunciare. Aveva rapporti di confidenza estrema con di altissimo rango che non avrebbero salutato neppure con un cenno qualsiasi altro giornalista o che alla stampa non regalavano un briciolo di notizia.

A lui raccontavano tutto e di più, come se si confessassero in chiesa. Un magistrato come Nicola , primo presidente della Corte di Cassazione, che lui aveva conosciuto quando era il giovane Pm del caso , il famoso biondino della spider rossa, faceva fare anticamera a chiunque se don era con lui. E gli avvocati non cominciavano l’arringa se Curia non era appostato con il suo taccuino in aula. Sapevano che Unghia avrebbe lasciato il segno.

Confidenti? Fonti segrete? Informatori speciali? Curia usava un altro termine per far capire che aveva soffiate importanti, notizie esplosive che bollivano. «Ho una cosca che mi deve regalare qualcosa…», ti soffiava sottovoce, prendendo il cappotto e uscendo dalla redazione a caccia dell’ultimo colpo. Aveva nel sangue la nobiltà della notizia, anche la più piccola. Ogni notizia, doverosamente trattata, aveva il suo valore, il suo peso e non c’era affronto maggiore che non capirla. Aveva anche capito che non tutti avevano quella nobiltà di comprensione  e accettava anche il giudizio diverso, ma ti faceva capire il suo dissenso e insisteva. «Guarda che questo omicidio non è un banale regolamento di conti. Dietro c’è…» . Non si arrendeva avrebbe insistito a lungo, magari per giorni, fino a quando il pezzo non usciva.

Curia aveva un fiuto inesauribile e tali e tante fonti che era diventato una specie di monumento dentro alle aule di giustizia. Chi non gli avrebbe dato una notizia? Lui sapeva tutto e non tradiva mai,  la fonte o la cosca segreta, perché sapeva quando era il momento giusto per pubblicare e riusciva a stare nell’equilibrio giusto tra la sua fonte e le impellenze del giornale. Tanto le notizie, quelle vere, vincono sempre.

da www.blitzquotidiano.it

Carceri: Marassi, detenuto tenta due volte il suicidio


Nel carcere ligure di Marassi un detenuto ha tentato due volte il suicidio, prima ingerendo del detersivo, poi cospargendosi col gas della bomboletta e d ha cercato di darsi fuoco, è stato salvato dagli agenti. Lo riferisce il segretario regionale della Uil Pa penitenziari della Liguria, Fabio Pagani. E’ accaduto ieri sera, intorno alle 20, nel carcere di Marassi. Un detenuto 32enne di origine marocchina A.W. ha per due volte, in pochi minuti, tentato il suicidio. Prim ha cercato di togliersi la vita ingerendo i detersivi che aveva nella cella. Soccorso dal personale e trasportato in infermeria, ha rifiutato la lavanda gastrica. Rientrato in cella si è cosparso col gas liquido della bomboletta e ha cercato di darsi fuoco. L’intervento degli agenti penitenziari ha impedito che riuscisse nel proposito. Due giorni fa nello stesso carcere un detenuto ha aggredito un agente. “E’ evidente che il personale è sottoposto a forti tensioni e lavora in un clima di forte preoccupazione”, sottolinea Pagani, commentando questi episodi, avvertendo: “La situazione potrebbe irrimediabilmente degenerare da un momento all’altro e l’esiguità delle risorse umane e tecnologiche impedirebbero di gestire la situazione e tenerla sotto controllo. Non possiamo affidarci alla sola fortuna, occorrono uomini e mezzi. Qui può succedere di tutto”. “Domani – informa il segretario regionale – ci sarà un incontro con la direzione per un confronto sull’organizzazione del lavoro. E’ necessario riflettere sull’impiego delle risorse umane: se il Dap non implementa l’organico bisognerà, rivedere le assegnazioni di poliziotti penitenziari negli uffici e nei servizi complementari. Benchè anch’essi siano essenziali alla vita dell’istituto in questo momento è preminente rinforzare le prime linee”. Pagani ricorda che a Marassi l’organico previsto dai decreti ministeriali prevede 401 unità di polizia penitenziaria, mentre ne sono assegnati 252 di cui circa 70 distaccati fuori sede. Un centinaio sono impiegati tra uffici, servizi complementari e nucleo traduzioni. Così per garantire i servizi operativi essenziali restano non più di ottanta unità. E nel carcere ci sono 721 detenuti, quando la struttura “potrebbe al massimo contenerne 426”. Le unità degli agenti “sono troppo poche. Assolutamente inadeguate a garantire i livelli minimi di sicurezza, ancor più in considerazione – conclude Pagani – che attualmente sono ristretti 721 detenuti in una struttura che potrebbe al massimo contenerne 426. Anche in questi numeri c’è la ragione delle violenze che registriamo quotidianamente a Marassi”.

da notizie.virgilio.it

Genova: via la prigione da Marassi, prende corpo ipotesi carcere galleggiante. Contrario il sindaco


A Genova il penitenziario potrebbe essere spostato dal quartiere Marassi all’acqua: infatti le nuove “carceri leggere”, su proposta del ministro della Giustizia Angelino Alfano, potranno diventare anche “carceri galleggianti”

A Genova il penitenziario potrebbe essere spostato dal quartiere Marassi all’acqua: infatti le nuove “”, su proposta del ministro della Giustizia , potranno diventare anche “carceri galleggianti”.

Un’ipotesi che risolverebbe almeno in parte il problema del sovraffollamento delle prigioni: sulle chiatte in mare i detenuti sarebbero trattenuti solo per pochi giorni, in attesa di essere smistati presso le tradizionali strutture penitenziarie.

Per questo , il colosso della cantieristica che costruisce soprattutto navi da crociera, ha già partecipato ad una riunione con i rappresentanti del ministero della Giustizia e dello Sviluppo Economico per verificare l’effettiva probabilità che il progetto (è proprio il caso di dirlo) vada in porto.

Questa soluzione sarebbe particolarmente indicata per la città di Genova, per un motivo molto semplice: il carcere di Marassi è a due passi dallo stadio “Luigi Ferraris”, per un binomio che può sempre rivelarsi esplosivo.

Parere contrario arriva però dal sindaco , che parla di “proposta incivile”, perché lontana dall’idea di recupero del primo cittadino e perché crea una serie di problemi logistici anche per i dipendenti della struttura: dalla sua parte ci sono probabilmente anche i parenti dei detenuti, che non impazziranno all’idea di uno spostamento marittimo per incontrare i propri cari.

da www.blitzquotidiano.it

Carceri sovraffollate, detenuti in protesta


Detenuti in protesta contro il sovraffollamento nelle carceri e il Sappe, sindacato autonomo di polizia penitenziaria, chiede un incontro urgente con il ministro della Giustizia Angelino Alfano. Sono stati tre gli episodi nelle ultime ventiquattro ore: a Genova, Lucca e Pescara. A Genova, al Marassi, si è registrato l’ennesimo tentativo di suicidio di un detenuto: alle 23,50 di ieri un detenuto magrebino, trentenne, rinchiuso nel circuito alta sicurezza del carcere di Genova è stato salvato in extremis dagli uomini della polizia penitenziaria. Il personale in servizio è stato allertato dall’odore di gas che proveniva dalla cella dove il detenuto era riverso a terra con una busta di plastica che gli avvolgeva il capo e al cui interno confluiva il gas di una comune bomboletta per fornellino.

A Lucca per circa un’ora ieri sera i detenuti hanno battuto le suppellettili contro inferriate e porte, per richiamare l’attenzione dell’amministrazione penitenziaria sul problema del sovraffollamento. Il carcere di Lucca ha una capienza regolamentare di 82 posti e ospita più di 200 detenuti, inoltre mancano 40 agenti rispetto all’organico previsto. Infine, anche a Pescara i detenuti oggi hanno protestato contro il sovraffollamento carcerario, battendo suppellettili contro le inferriate, gridando e protestando contro il sovraffollamento della struttura.

A denunciare le tre situazioni critiche è stato il Sappe, il cui segretario nazionale Donato Capece ha chiesto un incontro urgente con il ministro della Giustizia, Angelino Alfano, «per alcune proposte da inserire possibilmente nella stesura finale dell’annunciato Piano Carceri, il cui esame è dato per imminente al Consiglio dei Ministri». In una nota Capece ricorda come la situazione nelle carceri italiane sia «sempre più incandescente, con quasi 66mila detenuti a fronte dei 42mila posti regolamentari, e gli agenti costretti a turni pesanti in termini di stress e sicurezza». Nelle carceri italiane muoiono in media 150 detenuti l’anno, dei quali un terzo circa per suicidio (1.005 casi accertati, dal 1990 ad oggi), un terzo per cause immediatamente riconosciute come «naturali», e il restante terzo per «cause da accertare», che indicano tutti i casi nei quali viene aperta un’inchiesta giudiziaria.

fonte ilsole24ore