Carceri: allarme suicidi, in Italia tre tentativi al giorno. Dal primo gennaio sono diciannove i detenuti che si sono tolti la vita


  Emergenza suicidi nelle carceri italiane. Ogni giorno, nei 206 istituti penitenziari della Penisola, si registrano almeno tre tentativi di suicidio da parte dei detenuti. L’anno scorso sono stati 800 e quest’anno, in poco più di tre mesi, già 250. Grazie al lavoro di vigilanza degli agenti di polizia penitenziaria, la maggior parte di questi tentativi si riesce a sventare, ma in alcuni casi non si fa in tempo a intervenire.

 Un ‘bollettino di guerra’ che cresce ogni giorno: dal primo gennaio 2010 ad oggi sono già 19 i detenuti che si sono tolti la vita in carcere. L’anno scorso, considerato un anno ‘nero’, si sono registrati 52 suicidi (ma potrebbero essere di più: per alcune fonti si arriva a 70), praticamente uno a settimana. Se continua così, quindi, il 2010 rischia di essere ricordato come un tragico anno record per le morti in carcere.

 Le cause di questo scenario allarmante sono molteplici, ma in primo luogo sembrano esserci le cattive condizioni di vita carceraria dovute al sovraffollamento, ai troppi detenuti: 67.271, di cui 42.288 italiani e 24.983 stranieri, a fronte di una ricettività regolamentare pari a circa 43 mila posti. La conseguenza di questo sovraffollamento e’ presto detta: “Detenuti stipati in cella come ‘sardine’, a volte 3-4 persone in 4 metri quadrati, con convivenze molto difficili”. E’ la fotografia sulle condizioni di vita nelle carceri italiane scattata dall’”AdN-Kronos Salute”, che ha interpellato il segretario generale del Sindacato autonomo polizia penitenziaria (Sappe), Donato Capece, il Garante dei detenuti del Lazio, Angiolo Marroni, e il coordinatore del Centro prevenzione suicidio dell’ospedale Sant’Andrea della II Facoltà di Medicina e Chirurgia dell’università Sapienza di Roma, Maurizio Pompili.

 Secondo gli esperti, questi problemi investono quasi tutti gli istituti di pena, in alcuni casi “vecchi e fatiscenti”. Ma non mancano le ‘eccellenze’, in negativo però. Un carcere dove le condizioni di vita di chi e’ dietro le sbarre sono assai problematiche sembra essere per esempio quello di Sulmona, dove proprio il 9 aprile si è registrato il 19esimo caso di suicidio del 2010. Ma anche all’Ucciardone di Palermo, al San Vittore di Milano e al Poggioreale di Napoli non mancano le difficoltà.

 Per arginare il triste fenomeno dei suicidi in carcere, il Centro prevenzione suicidio dell’ospedale Sant’Andrea della II Facoltà di Medicina e Chirurgia dell’università Sapienza di Roma, in collaborazione con il Dap (Dipartimento amministrazione penitenziario), fara’ partire a giorni un programma di prevenzione ad hoc.

 “Il progetto – spiega il coordinatore del Centro, Pompili – si basa su due capisaldi: l’informazione e la formazione attraverso specifici seminari. Rivolti sia ai detenuti che al personale degli istituti, tra cui gli psicologi. Si cercherà di insegnare a riconoscere i soggetti piu’ a rischio e a non sottovalutare alcuni segnali, come ad esempio le comunicazioni di suicidio fatte da alcuni detenuti, che spesso vengono sottovalutate”.

 Diversi i segnali di malessere possibili campanelli d’allarme. “I più evidenti – dice l’esperto – sono dormire e mangiare poco, o trascurarsi nell’igiene personale”. Il progetto, nelle intenzioni,

dovrebbe ‘coprire’ tutti gli istituti di pena del Paese. “Dipenderà dalle risorse che si vorranno investire”, precisa Pompili. “L’idea, comunque, e’ quella di partire con gli istituti per cosi’ dire più ‘difficili'”.

 Per migliorare le condizioni di vita in carcere è sceso in campo anche il Governo, che sta lavorando a una riforma del sistema penitenziario. Il ministro della Giustizia Angelino Alfano ha presentato un piano mirato, proprio per affrontare e risolvere i problemi degli istituti di pena nazionali. “Due mesi fa – ricorda Capece – il ministro ha presentato un piano-carceri, già approvato dal Consiglio dei ministri. Questo piano prevede risorse per 700 milioni di euro, destinate alla costruzione di 47 nuovi padiglioni detentivi più 17 carceri leggeri. E ancora, l’implementazione di 2 mila unità dell’organico della polizia penitenziaria. Il piano prevede inoltre il potenziamento delle pene alternative come i domiciliari, ma non solo”.

 Nel frattempo, però, la situazione nelle carceri è ‘esplosiva’. “L’anno scorso – continua Capece – ci sono stati 800 tentativi di suicidio, quest’anno in poco più di tre mesi già 250. E’ necessario intervenire al più presto per aumentare gli spazi e migliorare le condizioni di vita nelle carceri. Abbiamo anche suggerito delle soluzioni, come ad esempio la costruzione immediata di piattaforme galleggianti o sistemi modulari di sicurezza. Questi  ultimi si costruiscono in 6 mesi, sono capaci di contenere circa un migliaio di detenuti e hanno un costo di realizzazione che varia dai 20 ai 25 milioni di euro”.

 Ma non è solo un problema di spazi. “Mancano gli agenti di polizia”, osserva Capece. “Ne servirebbero almeno 6 mila in più. Al momento, nelle sezioni detentive lavorano circa 24.300 agenti. A volte un solo sorvegliante si ritrova a controllare 100 detenuti. Reclusi che, per mancanza di spazi, vivono in condizioni molto difficili, spesso costretti a restare ognuno nella proprio branda anche solo per poter parlare tra loro. Il sistema, così, rischia di implodere”.

 A scarseggiare non sono solo gli agenti della polizia penitenziaria. “Mancano anche psicologi, educatori, medici e operatori sanitari”, avverte Capece. “L’assistenza sanitaria all’interno delle carceri ora e’ in mano al Servizio sanitario nazionale. Naturalmente questo comporta che tutti i problemi che affliggono il Ssn si riflettono inevitabilmente anche sul servizio all’interno degli istituti. Da qui la carenza di medici”.

 Sulla stessa lunghezza d’onda anche il Garante dei detenuti del Lazio, Marroni, che denuncia le stesse problematiche: “L’affollamento all’interno delle carceri produce insofferenza. Molti spazi dedicati al sociale vengono trasformati in celle. Si riducono gli spazi e si riduce la vivibilità per i detenuti”.

 Per Marroni, la carenza degli agenti di polizia penitenziaria è una vera e propria emergenza. “Ne servirebbero almeno altri 5-6 mila. Anche per avere più attenzione nei confronti degli atti di autolesionismo e dei tentativi di suicidio dei detenuti, alcuni dei quali – puntualizza – sono persone con disturbi psichici”. Per arginare il problema legato al sovraffollamento, anche per Marroni sarebbe necessario pensare a misure detentive alternative. “Soprattutto – conclude – per le 25 mila persone detenute per piccoli reati legati alla tossicodipendenza. Non dovrebbero stare in prigione ma nelle comunità terapeutiche e nei centri di disintossicazione”.

 fonte Adnkronos

Le carceri secondo Fleres


di Rosamaria Gunnella

Gli episodi accaduti negli ultimi tempi negli istituti di pena italiani, decessi, sommosse, tentate evasioni, hanno riportato prepotentemente alla ribalta la difficile situazione in cui versa il “pianeta carcere”del nostro Paese. Le circa 200 strutture penitenziarie italiane attualmente utilizzate, alla data del 18 novembre 2009, hanno una capienza di 43.074 detenuti, estendibile ad una capacità massima consentita pari a circa 64.111 unità. Se si pensa che alla stessa data il numero dei detenuti è superiore al massimo consentito, allora si capisce come grande e urgente sia la soluzione del problema, che riguarda anche molti altri aspetti. A tal proposito abbiamo ascoltato il senatore del Pdl, Salvo Fleres, garante dei diritti dei detenuti in Sicilia e coordinatore nazionale dei garanti regionali.

In questi giorni si è parlato molto del sistema penitenziario del nostro Paese. Qual è la situazione attuale?

E’ sicuramente una situazione molto difficile e complessa. Attualmente in Italia ci sono oltre 65.702 detenuti dei quali 24.326 sono immigrati e più di 19.000 risultano tossicodipendenti e condannati per reati legati allo loro condizione sanitaria.  Questi numeri sono sufficienti per comprendere come le condizioni di vivibilità intracarceraria diventano insopportabili e disumane per i detenuti e assolutamente difficili e stressanti per gli agenti di polizia.

Quali sono le condizioni di lavoro della polizia penitenziaria?
Gli agenti di polizia hanno turni massacranti e al limite dei diritti dei lavoratori, e non solo a causa di un numero maggiore di detenuti sui quali occorre vigilare. Su un numero complessivo di 35.287 agenti, gli effettivi sono circa 34.000 con una riduzione di quasi 5000 unità negli ultimi cinque anni rispetto all’organico. Per questo ho proposto il rientro immediato del personale di custodia adibito ad altre funzioni e una redistribuzione dello stesso per una migliore efficienza della loro attività.

Come pensa di risolvere il problema dei tanti extracomunitari che affollano le nostre carceri?

Con accordi internazionali che consentano di far scontare la pena ai condannati stranieri nei loro paesi di origine, con il limite però per quei paesi dove è consentito l’uso della tortura e la pena di morte o dove non vi sono garanzie circa il rispetto delle convenzioni internazionali sui diritti umani.

E per quanto riguarda i tossicodipendenti?

Credo che delle convenzioni con comunità e strutture adibite per il loro recupero, anche per quei soggetti che sono sottoposti a cure psichiatriche, possano ovviare alla loro detenzione in carcere.

Un grande problema della situazione penitenziaria sono le stesse carceri, spesso situate in edifici inadeguati. Quale soluzione ritiene possibile?

Sicuramente la chiusura immediata delle strutture eccessivamente fatiscenti che determinano un trattamento inumano per i detenuti e anche per l’attività degli stessi operatori dell’amministrazione penitenziaria e, contemporaneamente, l’apertura di carceri già realizzate ma mai aperte a causa della lentezza burocratica. Ritengo inoltre che occorre recuperare le strutture penitenziarie con interventi infrastrutturali che rendano civile la detenzione e meno stressante l’attività dei vigilanti. Per fare un esempio, la mancanza di docce nelle celle, oltre a rendere difficile la permanenza per i detenuti, soprattutto nei mesi caldi, obbliga un’attività supplementare degli agenti che li devono seguire nel percorso e poi restare presenti durante l’utilizzo.

Quindi ci vogliono nuovi penitenziari?

Sono convinto che si debba ricorrere immediatamente al project financing per la dismissione di quelle carceri che sono ubicate nei centri storici, in vecchi edifici prebellici che non offrono alcuna garanzia dal punto di vista igienico, e per la realizzazione di nuove e moderne strutture che possono favorire, con la presenza di centri di socializzazione ,impianti sportivi, laboratori e aule scolastiche, il percorso rieducativo dei detenuti.

Una situazione difficile è anche quella dei bambini che sono “detenuti”con le loro madri…

A riguardo la mia proposta è quella di recuperare le strutture penitenziarie piccole non più in uso e destinarle a figure particolari del panorama carcerario, come appunto le donne in presenza di prole, utilizzate quindi come una casa famiglia.

Crede che, per quanto riguarda i detenuti per reati minori, sia possibile un diverso atteggiamento detentivo?

Fermo restando che bisogna garantire comunque la certezza della pena, sia quella alternativa che quella intramuraria, credo sia possibile l’applicazione di pene alternative per i reati minori. Per questo ho suggerito la realizzazione di strutture carcerarie a custodia attenuata per questi reati e anche per alcune tipologie di rei: incensurati, superiori ad una certa età, malati.

A proposito di detenuti malati…

Ritengo che per risolvere questo problema sia necessario un accordo nazionale con il Ministero della Salute che preveda la presenza in ogni ospedale situato in città sede di un Istituto penitenziario, o almeno in ogni provincia, di un reparto “blindato” per il ricovero di detenuti, migliorando così l’aspetto medico-sanitario riducendo i costi di sorveglianza.

 da www.opinione.it